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| << | < | > | >> |IndicePremessa V 1. In che mondo siamo? 3 2. La cultura cambia funzione 9 3. Un ecosistema globale e territorializzato 14 4. I fili, il tessuto 17 5. Il paradigma della cultura orizzontale 27 6. La generazione delle reti 40 7. Una nuova civiltà? 47 8. La parola scritta, i libri, la lettura 50 9. La mutazione digitale 62 10. La cultura del fare 68 11. I giovani e l'informazione 71 12. Porte diverse: come cambia l'accesso 85 13. Intrattenimento e partecipazione culturale 99 14. La musica 103 15. Le televisioni 113 16. La radio 130 17. Il cinema 137 18. I videogiochi 143 19. I festival 157 Considerazioni conclusive 161 Gli autori 179 Indice dei nomi 181 |
| << | < | > | >> |Pagina VDa poco sono stati celebrati i cinquant'anni di Internet e, nelle occasioni di discussione che hanno accompagnato l'anniversario, si è spesso affermato che questa invenzione ha cambiato profondamente la nostra esistenza. L'espressione secondo la quale ormai è 'tutto un altro mondo' vale anche per la cultura. Scopo di questo nostro lavoro è descrivere le forme di produzione e di partecipazione culturale nell'era della rete e, analizzando le attività svolte dal pubblico giovanile, cercare di comprendere se atteggiamenti e pratiche collettive possano essere utilizzati per individuare connotati utili per leggere meglio l'identità plurale di un'intera generazione. A noi è sembrato di poter individuare nella dimensione orizzontale l'elemento caratterizzante delle pratiche culturali in rete nei primi due decenni del XXI secolo ed è di questo che cerchiamo di dar conto nelle pagine che seguono. | << | < | > | >> |Pagina 6Dunque? In che mondo siamo? I dati che abbiamo appena riferito ci dicono che le pratiche di rete hanno strutturato un nuovo ecosistema che pervade tutti gli ambiti delle nostre attività. Detto in altri termini, la rete è diventata l'infrastruttura su cui poggia tutto ciò che facciamo. Da tempo ha smesso di essere semplicemente uno strumento a nostra disposizione che possiamo decidere di utilizzare o di ignorare. Da quando la rete è entrata nelle nostre tasche attraverso gli smartphone e accede a noi anche se non siamo noi ad accedere deliberatamente a essa, da quando cioè abbiamo la connessione in mobilità, si è rivoluzionato il rapporto tra noi e il tempo, tra noi e lo spazio. Il wireless è nell'aria che respiriamo e attraverso i social network anche gli aspetti più intimi della nostra quotidianità si sono trasferiti sulla rete. Internet non è solo un mezzo di comunicazione che è andato ad aggiungersi o a sostituire ciò che c'era prima: è un 'sistema' nuovo che ha modificato radicalmente le coordinate del contesto in cui operiamo.[...] E proprio in questi ultimi anni stiamo toccando con mano l'effetto di 'sconfinamento' prodotto dalla transmedialità. Eravamo abituati alla multimedialità: un contesto all'interno del quale operavano diversi mezzi di comunicazione, integrati tra loro, nel quale erano i media a occupare il centro della scena rispetto ai contenuti veicolati da ciascuno di essi. Ogni mezzo conservava, infatti, la propria specificità. Ora al centro della scena ci sono i contenuti, le diverse piattaforme sono retrocesse a veicoli di diffusione. | << | < | > | >> |Pagina 10Una costruzione e trasmissione orizzontale della cultura, dunque. Ma in che modo, con quali effetti e con quali funzioni questa modalità orizzontale opera rispetto alla precedente modalità verticale? Cercare di capirlo impone prima di tutto lo sforzo di non cadere nella trappola che ci spingerebbe a schierarci necessariamente con gli 'apocalittici' o con gli 'integrati', con i tecnoentusiasti o i tardo-umanisti.Non si scambi perciò per compiacimento, o nostalgia per il buon tempo andato, il rilevare che - dal punto di vista della funzione - in passato la cultura era intesa, in primo luogo, come agente di cambiamento e la crescita culturale consisteva in una progressiva conquista degli strumenti critici attraverso cui impadronirsi di contenuti articolati e complessi. [...] L'accelerazione dei processi di disintermediazione figura tra gli effetti più evidenti e importanti di questa rivoluzione. La rete ha indebolito la funzione dei corpi intermedi in qualsiasi ambito: da quello politico - pensiamo ad esempio al ruolo sbiadito dei partiti o dei sindacati - a quello culturale - pensiamo all'indebolimento del ruolo di insegnanti, critici, giornalisti, editori, bibliotecari, librai. La possibilità di un accesso immediato e diretto ha messo in discussione il metodo con il quale si è trasmessa la conoscenza per secoli, e cioè in modo organizzato e mediato dall'autorevolezza ovvero dalla competenza. Questo significa che la rete ha scardinato il sistema di accesso alla conoscenza a cui eravamo abituati? Come vedremo la risposta è complessa, parziale, necessariamente prudente. | << | < | > | >> |Pagina 28[...] Scrive Baricco:C'è qualcosa che possiamo fare, per cambiare l'inerzia di questa disfatta? Che io sappia, ammettere che la gente ha ragione. Riprendere contatto con la realtà e accorgersi del casino che abbiamo combinato. Mettersi immediatamente al lavoro per ridistribuire la ricchezza. Tornare a occuparci di giustizia sociale. Staccare la spina alle vecchie élites novecentesche e affidarsi alle intelligenze figlie del Game: farlo con la dovuta eleganza ma con ferocia. Dare un significato nuovo a parole come progresso e sviluppo, quello che hanno è ormai avvelenato. Liberare le intelligenze capaci di portarci fuori dal pensiero unico del There Is No Alternative. Smetterla di dare alla politica tutta l'importanza che le diamo: non passa da lì la nostra felicità. Tornare a fidarci di coloro che sanno, appena vedremo che non sono più gli stessi. Buttare via i numeri con cui misuriamo il mondo (primo fra tutti l'assurdo PIL) e coniare nuovi metri e misure che siano all'altezza delle nostre vite. Riacquistare immediatamente fiducia nella cultura, tutti, e investire sull'educazione, sempre. Non smettere di leggere libri, tutti, fino a quando l'immagine di una nave piena di profughi e senza un porto sarà un'immagine che ci fa vomitare. Il tempo ci dirà se questa ricomposizione è possibile. Non è la prima volta che il sapere consolidato è sotto attacco, ma oggi l'attacco viene portato all'interno di un quadro che è profondamente mutato: nella società dell'informazione forse sono meno sopportabili che in passato l'idea della disuguaglianza culturale e il privilegio di cui godono pochi depositari del sapere. Da un sacco di tempo abbiamo imparato che è meglio sapere molto delle cose prima di cambiarle, che è meglio conoscere molti uomini per capire se stessi, che è meglio condividere i sentimenti degli altri per gestire i nostri, che è meglio avere molte parole piuttosto che poche perché vince chi ne sa di più. Per comprendere la portata della rivoluzione che ci sta attraversando, la domanda da porsi è: le pratiche culturali online sono da considerarsi complementari a quelle cui partecipiamo nell'universo analogico, oppure diventeranno un modo alternativo di fare cultura? Molto dipenderà anche dal modo in cui le istituzioni culturali saranno capaci di orientare e governare i processi. Prendiamo come esempio l'attività formativa a distanza, che a volte diventa auto-formazione in modalità self-service: bisogna capire se l'utilizzo individuale dei materiali didattici disponibili in rete potrà mai generare un percorso formativo capace di sostituirsi a un sistematico e organico corso di studi o se non servirà, comunque, una integrazione di tipo 'analogico', come un servizio di coaching pedagogico. Senza disconoscere la necessità di un radicale rinnovamento delle istituzioni formative, non pensiamo sia opportuno assecondare la deriva che tende a delegittimarle, contribuendo a scavare un solco sempre più profondo tra i luoghi e le modalità dell'apprendimento canonico e le pratiche auto-formative delle giovani generazioni. Più in generale, dobbiamo chiederci se riusciamo autonomamente a dotarci degli strumenti critici per valutare, organizzare, gerarchizzare ciò che la rete ci mette a disposizione, dal momento che costruiamo da soli l'offerta che risponde alle nostre domande: la collezione libraria di riferimento per i nostri studi è quella che costruiamo sul desktop del nostro computer, non più quella corrispondente al materiale posseduto da una o più biblioteche, e non diversamente accade per l'intrattenimento. Un obiettivo potenzialmente alla portata di tutti, purché si abbia una 'competenza mediale' (media literacy). E tuttavia le abilità tecniche da sole non bastano. Gli effetti della disintermediazione e il venir meno del principio di autorità vanno valutati con grande attenzione, soffermandosi sugli aspetti di contesto che influenzano la produzione, la circolazione e il trasferimento delle conoscenze. Dunque, il paradigma della cultura orizzontale presenta varie facce e non tutte di segno positivo. Se si desidera massimizzarne le ricadute positive, è necessario comprendere anzitutto il fenomeno nella sua interezza per poi disaggregarlo nelle sue diverse componenti. La questione non è di natura ideologica, né si tratta di accettare o rifiutare quella che è incontestabilmente una situazione di fatto: la 'cultura' non è più un patrimonio precostituito da tramandare o del quale impadronirsi attraverso una ricezione individuale e passiva, ma è un insieme di «pratiche e conoscenze collettive» rese possibili quando una comunità è dinamicamente e unitariamente coinvolta nei processi che le determinano. | << | < | > | >> |Pagina 47Saranno loro, gli abitanti dell'oltremondo, per usare il lessico di Alessandro Baricco , coloro in cui si è compiuta la fusione tra mondo 'reale' e mondo digitale, a poter testimoniare gli esiti dei processi culturali in ambiente digitale. Sono le giovani generazioni quelle in cui si scorge una vera rivoluzione mentale, una nuova civiltà. Sono soprattutto i giovani a offrirci strumenti e chiavi interpretative per cercare di comprendere la portata delle trasformazioni in atto e gli effetti che esse potranno avere nel tempo sulle attività culturali praticate attraverso la rete. Per questo ci concentreremo sui loro comportamenti culturali, considerando non solo i dati quantitativi - 'cosa' e 'quanto' - ma piuttosto 'come' e 'dove' apprendono e fanno cultura. Una tale analisi dovrebbe aiutarci a prefigurare in parte quanto potrà accadere nei prossimi decenni. Focalizzarsi sulla generazione più giovane non significa assumere che siano soggetti 'antropologicamente diversi' o 'geneticamente modificati' rispetto agli adulti o ai giovani delle generazioni precedenti. Significa piuttosto osservare quanto essi abbiano assorbito in modo profondo il paradigma della rete: vale a dire la dimensione orizzontale della trasmissione culturale, l'insofferenza verso qualunque mediazione o processo di trasferimento delle conoscenze preconfezionate fondato sui principi di autorità e gerarchia, il rifiuto di una propedeuticità dello studio teorico rispetto alle pratiche applicative, o ancora la preferenza all'apprendimento visivo più che testuale. Grazie all'agilità con cui le nuove generazioni si spostano da un campo a un altro, da una forma di cultura a un'altra, si superano i confini tra i diversi canali di comunicazione culturale. Intanto perché la rete e i device mobili hanno reso possibile la fruizione culturale sempre e ovunque senza dipendere da un medium unico e specifico. E soprattutto perché non esistono più categorie culturali percepite come più nobili e 'alte' rispetto ad altre: il fumetto, le fiction, le serie televisive, i videogiochi, la letteratura di genere, la musica leggera, tutto è cultura, indistintamente. | << | < | > | >> |Pagina 62L'evoluzione digitale della specie non riguarda solo gli oggetti della lettura ma il concetto stesso di lettura e, più in generale, di accesso alla conoscenza. Va ricordato che nel corso dell'ultimo decennio sono radicalmente cambiate le condizioni in cui questo accesso avviene. La vera rivoluzione - la 'quinta rivoluzione', potremmo dire, parafrasando Gino Roncaglia e partendo da dove si ferma un suo interessante libro del 2010 - è dovuta alla connessione mobile, come già notavamo in precedenza. Il fatto di poter essere 'sempre connessi' incide sui comportamenti delle persone molto di più di quanto sia accaduto con la diffusione di Internet tramite la rete fissa: fino a quando bisognava sedersi alla scrivania, accendere un computer e collegarsi alla rete, l'attività di navigazione si è svolta all'interno di limiti spazio-temporali ben determinati ed era il risultato di una scelta consapevole. Se ci pensiamo bene, comportava una decisione simile a quella di sedersi in poltrona per leggere un libro: era 'una delle cose' che potevamo fare per impiegare il nostro tempo. Ora la rete è la dimensione permanente della nostra esistenza, la veicola, e ciò si sovrappone a tutte le altre attività che svolgiamo, mentre lavoriamo, mentre ci spostiamo, mentre mangiamo, e così via: forse è inutile sottolineare che questo vale per i giovani molto di più che per gli adulti. | << | < | > | >> |Pagina 65Ma l'aspetto che qui interessa approfondire riguarda la qualità della lettura, come forma di fruizione culturale. La lettura di libri è una pratica formativa, che richiede applicazione nella ricerca di relazioni con altre conoscenze o esperienze, che ci obbliga a 'stare sulle parole' per un tempo non breve. Ciò può accadere, ovviamente, anche in ambiente digitale, ma il fatto che in rete vi sia una grande quantità di contenuti facilmente accessibili e prontamente disponibili può farci credere che non ci sia bisogno di altro, che non valga la pena di 'perdere tempo' con strumenti lenti come i libri, e indurci ad accontentarci del molto che ci viene dato dalla rete. Ricchezza e facilità ci rendono passivi? Torniamo così al concetto di 'pazienza cognitiva', già enunciato in precedenza: la complessità che è propria del libro non riguarda solo la sua architettura, ma anche il fatto che esso ci predispone ad appropriarci progressivamente di contenuti articolati e complessi, attraverso uno sforzo di esercizio delle nostre capacità critiche.Sarebbe però una semplificazione eccessiva ritenere che la complessità sta al libro come la superficialità sta al testo digitale. È una questione di tempo: si appronteranno nuovi e più ricchi prodotti editoriali, ma soprattutto cambieranno le competenze e gli strumenti del fruitore della rete. Una lettura multitasking contaminata con altre attività e frutto dell'integrazione di canali e linguaggi comunicativi diversi stanno producendo cam biamenti di ordine cognitivo che possono consentire di sviluppare attitudini e abilità nuove che prenderanno il posto di altre che si stanno perdendo. Bisogna esserne consapevoli e capire, ad esempio, che la lettura in rete tollera (o, addirittura, richiede) che venga lasciata la porta aperta a 'distrazioni' che la lettura su carta non consente. Ciò può sviluppare una capacità di governo dell'accesso alla conoscenza di carattere più intuitivo, un'attitudine a un tipo di attenzione selettiva e alternata. L'alternativa dettata dalla rete non è perciò fra complessità e superficialità ma, semmai, fra attività e passività. Scorrere velocemente i testi con lo sguardo non è la stessa cosa che leggerli. Parlando delle forme di sapere che stiamo perdendo, il linguista Raffaele Simone ha scritto in modo netto che «guardare è più facile che leggere» e che quindi dobbiamo abituarci all'idea che si affermino nuovi 'stili conoscitivi', fondati sulla simultaneità e sulla iconicità, dove la visione delle immagini diventa la fonte primaria per acquisire conoscenze. Non deve sorprendere, quindi, se i file video coprono ormai il 58% del traffico di Internet. Dal canto suo, in un recente saggio sugli adolescenti, lo psicoanalista Massimo Ammaniti ha invitato alla prudenza sul tema delle eventuali modificazioni delle strutture cerebrali, in quanto non tutti gli adolescenti reagiscono allo stesso modo al multitasking: se per alcuni interferisce chiaramente sulla capacità di apprendimento, per altri può innescare un processo positivo. Sembrerebbe che il multitasking negli adolescenti crei difficoltà di performance solo quando, contemporaneamente, sia in atto un impegno cognitivo più complesso. Da non trascurare è infine la preoccupazione di diversi neuroscienziati: il cervello può ricevere in media solo sette informazioni indipendenti contemporaneamente, e ogni impulso in più è un ostacolo per la memorizzazione. | << | < | > | >> |Pagina 161Quanto abbiamo cercato di descrivere è talmente in divenire che sarebbe contraddittorio proporre a questo punto qualche considerazione che voglia essere davvero 'conclusiva'. Possiamo solo riprendere e sottolineare alcune questioni emerse dall'analisi che abbiamo proposto e che meritano, a nostro avviso, di essere seguite con particolare attenzione. Anzitutto, quanto abbiamo ricompreso sotto il concetto di 'orizzontalità'. Allo stato indica un processo che può assumere fisionomie assai diverse poiché è indicativo tanto della partecipazione e dell'ampia condivisione che la rete favorisce, quanto del rischio di un appiattimento: non sono liquidabili le questioni poste da formatori, docenti, insegnanti, maestri, che misurano nel tempo competenze, maturità, consapevolezze. Quantità di offerta, velocità e facilità di accesso sono forse gli elementi principali che caratterizzano il rapporto fra gli individui e la rete. Questo libro non ha lo scopo di analizzare l'ambiente digitale nella sua globalità, ma soltanto alcune pratiche culturali in rete. Ebbene, se quantità, velocità e facilità sono i connotati peculiari del modo in cui si produce e si fruisce cultura in rete - non possiamo dire che le cose stiano davvero così al cento per cento, ma questa affermazione ci sembra quanto meno verosimile in questo momento, considerando il tempo che stiamo vivendo - allora si profila all'orizzonte il pericolo di un impoverimento delle pratiche culturali e di una perdita di complessità che non può che preoccupare. Riteniamo che la cultura debba attivare processi di 'discernimento', e ciò vale a dire partire da quello che i sensi ci consentono di percepire e usare l'intelletto per distinguere, valutare criticamente, riflettere, comprendere, rielaborare attraverso un processo di progressivo confronto e arricchimento. Viceversa, se i comportamenti culturali diventano soltanto un consumo, a volte compulsivo, in cui non c'è spazio e non c'è tempo per accostarsi gradualmente e digerire in modo profondo e intimo l'essenza del contenuto che la rete ci offre, il timore può essere fondato. È vero che il mondo online alimenta l'intelligenza fluida, agile, immediata, ma noi non possiamo fare a meno di quella cristallizzata, di una memoria a lungo termine che permette contestualizzazione e comprensione degli eventi. Quanto detto a proposito dell'informazione, sulla crescente importanza della comprensione del contesto in un mondo orizzontale, vale a maggior ragione quando è in gioco la formazione. Bisogna essere consapevoli, però, che questa nostra affermazione può essere viziata da un approccio intimamente sbagliato, che di fatto impedisce una reale comprensione dei fenomeni in atto: chi si è formato in un'era pre-internettiana e si è accostato alla cultura attraverso forme e linguaggi propri dell'universo analogico (l'apprendimento impostato sulla lezione frontale, lo studio fondato sulla comunicazione scritta, la fruizione culturale praticata nei luoghi della cultura 'alta' come i teatri, i musei, le biblioteche) imposta inevitabilmente la sua osservazione delle evoluzioni in corso facendo un confronto fra il 'prima' e il 'dopo', fra il modo in cui si faceva cultura fino a una trentina di anni fa e il modo in cui la si fa adesso, tra ciò che rischiamo di perdere e il nuovo di cui facciamo fatica a comprendere le potenzialità. E molti dei nostri riferimenti culturali, degli autori citati, potrebbero essere vittime della stessa trappola. Il grande fenomeno di trasformazione e democratizzazione della cultura e dei consumi culturali, che abbiamo conosciuto nel corso del Novecento e che è stato definito anche con un'espressione come 'secolarizzazione della cultura', è stato accelerato negli ultimi decenni dalla rivoluzione digitale ed era in qualche modo inevitabile che un ceto come quello degli intellettuali italiani, già molto sospettoso nei confronti della cultura di massa e della civiltà massmediatica, accogliesse con non poche riserve il cambio di paradigma. La resistenza al cambiamento è stata ostinata ed è tuttora forte; figure autorevoli e rispettate hanno parlato di liquidazione delle forme tradizionali della cultura, di tramonto del moderno, di fine dell'umanesimo, di post-logos, di crisi della civiltà borghese europea. Spesso si è trattato e si tratta di difese della propria storia e dei propri studi, o di incomprensioni e scarse conoscenze tecnologiche. Fatto sta che, per evitare il rischio di cadere in trappole nostalgiche, non abbiamo voluto analizzare le pratiche culturali attraverso la rete nella loro globalità, ma preferito osservarle soprattutto attraverso il modo in cui giovani e adolescenti stanno vivendo questa era: si tratta, infatti, di una generazione che conosce le pratiche tradizionali, per il solo fatto di aver avuto probabilmente i primi contatti con la produzione culturale in quelle forme, ma che si è poi rapidamente immersa in un universo totalmente nuovo, che sembra abbia voglia di mettere da parte o addirittura cancellare tutto ciò che c'era prima. Finora non è stato così e, come ci insegna la storia sociale dei mezzi di comunicazione e trasmissione culturale, «con l'introduzione di nuovi media i vecchi non sono stati abbandonati, ma sono coesistiti e hanno interagito con i nuovi arrivati. I manoscritti sono rimasti importanti nell'età della stampa, come i libri e la radio nell'età della televisione. I media vanno visti come un sistema, un sistema in perenne mutamento, nel quale i diversi elementi giocano un ruolo maggiore o minore». Questa volta stiamo forse vivendo una trasformazione più profonda, perché non siamo in presenza di una nuova invenzione o dell'apertura di un nuovo canale, ma assistiamo al mutamento dell'ecosistema della conoscenza. I giovani, i nati dopo l'avvento della rete, sono attraversati da questo cambiamento e per questo motivo l'osservazione del mondo giovanile ci è parso il modo migliore per cogliere la portata della transizione che tutti stiamo vivendo, ma che vede i giovani 'cresciuti nella rete' come veri protagonisti: per loro, a differenza di quanto accade per gli adulti e gli anziani, il web non è solo un ambiente nel quale fare in modo diverso le stesse cose che si facevano prima, o per aggiungere al vecchio qualcosa di nuovo, ma è 'il modo' per fare le cose. [...] Un'altra chiave di lettura, forse più efficace, riguarda non tanto cosa fanno i giovani ma come e dove lo fanno. Abbiamo motivato le ragioni di questo approccio: come si è detto più volte in precedenza, il rapporto con le tecnologie digitali è forse il principale elemento distintivo per giovani e giovanissimi, essendo il web l'ambiente in cui oggi i giovani sono calati. Ciò conferma la definizione di 'generazione delle reti' che Alleva e Barbieri hanno utilizzato per etichettare i nati dopo il 2000. A volte, l'insieme degli adolescenti viene perfino chiamata touch generation, per sottolineare la svolta epocale rappresentata dagli schermi tattosensibiii. La rete è il 'terreno di coltura' in cui questa generazione sta crescendo, al punto che si è ipotizzata una evoluzione digitale della specie ed è stata creata, forse a sproposito, l'espressione digital natives, come se le capacità d'uso dei dispositivi digitali si acquisissero insieme al latte materno, al pari della lingua madre: bene ha fatto Roberto Casati a chiarire che si tratta di competenze acquisite, magari durante la prima infanzia, non innate. [...] Prendiamo in prestito un'altra metafora, racchiusa in una parola, in un'immagine che circola molto tra coloro che in precedenza sono stati definiti tardo-umanisti: l'alveare, lo sciame. Essere sempre connessi, vivere nel flusso delle notifiche e delle esperienze online rappresenta forse anche una torsione rispetto al modo in cui per secoli ci si è formati, si è strutturato il pensiero, si sono costruite le relazioni. È la grande preoccupazione di molti studiosi del pensiero classico: la miniaturizzazione del mondo in uno schermo e l'incantamento del telefono intelligente hanno anche l'effetto di inibire il processo di maturazione che avviene nel continente profondo. L'incessante ronzio dello sciame che riempie la rete dell'interconnessione globale non può non influire sul dialogo che ognuno ha con sé stesso, e che per Platone era il luogo di formazione del pensiero stesso, senza il quale la polis è priva di pensiero e la conversazione che vi intratteniamo con gli altri è solo un chiacchiericcio che non ha il potere di promuovere la pluralità e l' amor mundi. Scrive Robert Pogue Harrison, riprendendo proprio Platone: «ai nostri giorni la quiete del pensiero ha nemici diversi dalla propaganda invasiva. Una rete globalizzata di voci ci ridurrebbe tutti a dei ronzii, e chiunque cercasse di disconnettersi da essa sentirebbe da ogni parte risuonare lo stesso ritornello: 'Resistere è inutile'. Ciò può essere vero, ma non cambia il fatto che, se il mondo che io penso scompare, il mondo della città perde il suo opposto e diventa essenzialmente privo di pensiero [...] e un mondo senza pensiero non è un mondo ma un alveare [...] quando i giovani non riescono a isolarsi nel pensiero, l' amor mundi non può attecchire adeguatamente in loro». | << | < | > | >> |Pagina 172In conclusione, l'infrastruttura di rete sta sostituendosi all'infrastruttura urbana: come vale per lo shopping online, che mette in crisi non solo il commercio al dettaglio, ma anche la grande distribuzione e i centri commerciali, non deve sorprenderci se le attività culturali si trasferiscono, almeno in parte, sulla rete, a volte riproducendosi allo stesso modo che nell'universo analogico, altre volte subendo trasformazioni imposte dal mezzo che si utilizza.Possiamo parlare di 'giovani fuori posto', nel senso che la loro identità è indipendente dai luoghi e dal contesto sociale in cui vivono: se esiste un condizionamento ambientale, è la rete a determinarlo perché la rete è l'ecosistema in cui viviamo. Poi, come ci hanno insegnato la sociologia e la psicologia sociale, le spinte trovano controspinte, i processi omologanti suscitano reazioni, e la vita perennemente online ha un suo rovescio, costituito dai refrattari, dalle controculture, dagli anticonformisti, ma soprattutto dalle cose che non si possono riprodurre su supporto digitale e ricondurre a una fruizione 'addomesticata', nel senso letterale del termine. Andare in discoteca o frequentare un pub sono pratiche che si identificano con un luogo fisico e sfuggono alla smaterializzazione del web. Così come continuano ad attrarre i grandi eventi di massa, come i concerti musicali e, in parte, alcune manifestazioni sportive, dove incontrare persone animate dalla stessa passione e con cui è gratificante condividere queste esperienze. Ma la rete resta comunque l'ambiente in cui ognuno di noi in varia misura si trova immerso, e i giovani, spesso maggiormente recettivi agli sconvolgimenti sociali, ne vengono investiti fin dai primi anni di vita e vi acquisiscono quindi molto velocemente dimestichezza. Non deve sorprenderci, quindi, se in particolare nelle giovani generazioni la rete si sia imposta come hub dei consumi, snodo centrale intorno a cui ruota ogni altro aspetto, base fondante su cui costruire un'infinità di nuovi servizi e contenuti, sempre meno provenienti dall'alto e sempre più percepiti come vicini, adattabili alle nostre esigenze. Il cuore pulsante del villaggio globale è proprio la piazza pubblica del web e in quest'ottica possiamo analizzare alcuni fenomeni che sono emersi dalla nostra analisi dei consumi culturali dei giovani: senza la rete non sarebbe possibile né l'ascesa della playlist né il tramonto del palinsesto monodirezionale; la filosofia del do it yourself, che pure non è nuova alla scena culturale giovanile - si pensi all'ondata punk, che ne fece un pilastro -, guadagna forza pari all'esposizione digitale dei suoi adepti, che scelgono di apprendere da soli, magari senza altra mediazione che un tutorial su YouTube. Un'altra conseguenza di questa mutazione possiamo individuarla nel rifiuto del 'mercato della cultura'. Diciamo subito che intanto è diverso (e ridotto) il valore che viene attribuito al danaro e al concetto di proprietà intellettuale: si fa fatica ad immaginare di dover pagare l'accesso all'enorme quantità di contenuti che sono a disposizione attraverso un semplice click. Aveva colto questo punto Chris Anderson , uno dei padri della rivoluzione digitale: «Lo sviluppo della freeconomics, l'economia del gratis, è stimolato dalle tecnologie dell'era digitale». Dimenticando con ciò che la produzione culturale è anche un'attività economica che deve dare da vivere a tante persone (non solo agli 'intellettuali', ma anche a tipografi, maestranze ed esercenti del cinema o del teatro, e così via). Nonostante i giovani si muovano con disinvoltura in questa nuova forma di economia fondata sulla gratuità, non bisogna illudersi che la rete sia un paese dei balocchi che offre tutto a tutti e che prefigura l'utopia di un mondo senza mercato. Non è affatto così: quello che accade è che si sposta il business dalla vendita di un oggetto o di un servizio alla valorizzazione del traffico e dei contatti. Si parla molto di queste nuove forme dell'economia di mercato e non sono soltanto i manager della finanza o delle tecnologie a discuterne. In un suo recente pamphlet lo scrittore Walter Siti ha scritto: «Sì, è vero, lavori gratis, ma in compenso puoi ottenere gratis molte cose, la Rete ti toglie e la Rete ti dà, quindi mugugna pure se questo ti procura sollievo, ma non azzardarti a ribaltare veramente il tavolo. [...] Lo stesso concetto di 'comprare' è andato in crisi: man mano che tutto si computerizza, le cose che compriamo non ci appartengono davvero - le abbiamo soltanto in uso, con una licenza». Lo streaming sta diventando la 'forma' che emblematicamente rappresenta la fruizione culturale e forse ogni genere di consumo nel nostro tempo. Ovviamente ciò che non si paga non è affatto gratis. «Google saprà tutto di noi, ci convincerà che noi siamo Google - spiega Siti -, e contemporaneamente avrà abbastanza denaro per ingaggiare i migliori ricercatori che inventeranno nuovi modi per far entrare Google nella nostra vita». Non a caso si comincia a parlare di 'capitale documediale' che deve essere redistribuito. Ma le facce della medaglia sono tante: il movimento open source che promuove l'accesso libero alla conoscenza, sia quella depositata in libri e riviste sia quella necessaria a produrre applicazioni informatiche, è fondato sul nobile principio che tutto ciò che è stato prodotto attraverso finanziamenti pubblici, come la ricerca scientifica, debba essere messo liberamente a disposizione della collettività senza doverlo pagare una seconda volta, ciò anche per massimizzarne la diffusione e il riuso. Ma in parallelo troviamo anche un mercato sommerso e illegale: la possibilità di accedere gratuitamente a libri, giornali, film, musica, software e altri contenuti è legata spesso a pratiche di pirateria e a veri e propri reati, talvolta commessi per ingenuità o per un infantile rifiuto delle leggi di mercato. [...]
Se è vero che l'approccio multiculturale, multidimensionale, onnivoro, della
generazione delle reti riposa sul presupposto tecnico e da un certo punto di
vista 'filosofico' della vastità mondiale degli stimoli che
tutti riceviamo, è anche vero che quegli stimoli hanno
bisogno di essere messi in forma, ordinati, che il sapere
ha bisogno di essere correlato, che le conoscenze hanno
bisogno di essere consolidate e organizzate. La cultura
orizzontale in altre parole non può fare a meno della cultura verticale.
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