Copertina
Autore Fernando Vallejo
Titolo La puttana di Babilonia
EdizioneNuovi Mondi, Modena, 2012 [2007] , pag. 314, cop.fle., dim. 14x21x2,7 cm , Isbn 978-88-8909-198-2
TraduttoreAlberto Frigo
LettoreGiorgia Pezzali, 2013
Classe religione , storia sociale , storia criminale , storia
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Pagina 7

La puttana, la gran puttana, la grandissima puttana, la bacchettona, la simoniaca, l'inquisitrice, la torturatrice, la contraffattrice, l'assassina, l'orrenda, la folle, la maligna; quella del Sant'Uffizio e dell'Indice dei libri proibiti; delle Crociate e della Notte di san Bartolomeo; colei che mise a sacco Costantinopoli e inondò di sangue Gerusalemme; che sterminò gli albigesi e i ventimila abitanti di Béziers; che annientò le culture native americane; che arse vivo Segarelli a Parma, Jan Hus a Costanza e Giordano Bruno a Roma; la detrattrice della scienza, la nemica della verità, la mistificatrice della Storia; la persecutrice d'ebrei, l'appiccatrice di roghi, la bruciatrice di streghe ed eretici; la truffatrice di vedove, la cacciatrice d'eredità, la venditrice d'indulgenze; l'inventrice di quell'invasato di Cristo il Pazzo e di quello stolto di Pietro la Pietra; quella che promette l'insulso regno dei cieli e minaccia col fuoco eterno dell'inferno; che imbavaglia la parola e opprime la libertà dell'anima; che dove comanda reprime le altre religioni e pretende libertà di culto dove non comanda; che non ha mai amato gli animali né ha mai avuto compassione per loro; l'oscurantista, l'impostora, la raggiratrice, la diffamatrice, la calunniatrice, la repressa, la reprimitrice, la guardona, l'impicciona, la contumace, la relapsa, la corrotta, l'ipocrita, la parassita, l'infingarda; l'antisemita, la schiavista, l'omofoba, la misogina; la carnivora, la sanguinaria, la questuante, la falsa, la bugiarda, l'infida, la traditrice, la rapinatrice, la predona, la manipolatrice, la saccheggiatrice, la sopraffattrice; la perfida, l'ingannevole, la famelica, la ribalda; l'aberrante, l'incoerente, l'assurda; la cretina, la stolta, l'imbecille, la stupida; la travestita, la ciarlatana, la culattona; l'autocratica, la dispotica, la tirannica; la cattolica, l'apostolica, la romana; la gesuitica, la domenicana, quella dell'Opus Dei; la concubina di Costantino, di Giustiniano, di Carlo Magno; la spalleggiatrice di Mussolini e di Hitler; la prostituta delle prostitute, la meretrice delle meretrici, la puttana di Babilonia, l'impunita bimillenaria ha un conto in sospeso con me sin dalla mia infanzia, e in queste pagine ho intenzione di farglielo pagare.

Verso la metà del 1209 e al comando d'un esercito di assassini, il legato pontificio Arnaldo di Citeaux mise sotto assedio Béziers, roccaforte degli albigesi d'Occitania, promettendo che, se gli fossero stati consegnati duecento degli eretici più noti che vi si rifugiavano, avrebbe risparmiato la città. Arnaldo era un monaco cistercense al servizio di Innocenzo III; il suo esercito era una marmaglia di mercenari, duchi, conti, servi, borghesi, contadini, vescovi del feudo e cavalieri disoccupati; mentre gli albigesi erano i più devoti seguaci di Cristo, o meglio, di colui che gli ingenui credono sia stato Cristo: l'uomo più nobile e giusto che l'umanità abbia generato, la nostra ultima speranza. E fu così che, appesi alla croce di quella speranza, finirono massacrati. Gli abitanti di Béziers decisero di resistere e di non consegnare i loro protetti, ma a causa dell'imprudenza di alcuni giovani scriteriati la città cadde in mano agli assedianti, i quali, con cattolico zelo, si abbandonarono al saccheggio e allo sterminio. Ma come distinguere gli ortodossi dagli albigesi? L'ordine di Arnaldo fu: "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi". E così, senza distinzioni, eretici e cattolici cominciarono a cadere sgozzati tutti allo stesso modo. In preda alla confusione e al terrore, molti si rifugiarono nelle chiese; ma gli invasori si misero ad abbatterne le porte a colpi d'ascia: entravano intonando il Veni Sancte Spiritus e davano inizio alla carneficina. Nella sola chiesa di Santa Maria Maddalena massacrarono settemila persone, senza risparmiare donne, vecchi e bambini. "Oggi, Vostra Santità" scriveva quella sera Arnaldo a Innocenzo III, "sono stati passati a fil di spada ventimila cittadini, senza distinzione di sesso né di età". Albigesi o no, quei ventimila erano tutti cristiani. E così quel papa criminale che portava il nome beffardo di Innocenzo riusciva ad ammazzare in un sol giorno e in una sola città un numero di correligionari dieci o venti volte maggiore di quanti ne avessero accoppati gli imperatori romani ai tempi della cosiddetta "epoca dei martiri" in ogni angolo dell'Impero. Li avessero ammazzati tutti! Non avremmo avuto Arnaldi, né Innocenzi, né Medioevo. Come sarebbe felice oggi il mondo senza l'abominevole ombra di Cristo! Invece no: lo Spirito Santo, che caga lingue di fuoco, aveva disposto altrimenti.

Il successivo nell'elenco degli Innocenzi, il quarto, che all'apice del suo delirio si definiva praesentia corporalis Christi, fu quello che, con la bolla Ad extirpanda, istigò l'Inquisizione a ricorrere alla tortura per estorcere alle sue vittime la confessione di eresia. E un altro Innocenzo, l'ottavo, non appena fu eletto papa (da un conclave in cui regnavano la corruzione e l'intrigo), promulgò la bolla Summis desiderantes affectibus, che scatenò la più feroce persecuzione contro le streghe; fece sposare una Medici a suo figlio Franceschetto, e per ratificare il patto nominò cardinale un figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni, che all'epoca aveva solo 13 anni. All'età di 37 anni questo Medici sarebbe asceso al soglio pontificio, che si godette gozzovigliando di banchetto in banchetto per il resto della sua vita. Divenne Leone X, benché del feroce animale portasse soltanto il nome: grasso, miope, con gli occhi sporgenti, cavalcava all'amazzone come una donna a causa di una fistola nel didietro forse contratta nel corso dei suoi trastulli omosessuali e che gli guastava (ma non troppo) la festa. I bordelli della città Eterna (che all'epoca disponeva, su una popolazione di cinquantamila abitanti, di settemila prostitute ufficialmente registrate) gli pagavano la decima. Mise all'asta e vendette duemilacentocinquanta cariche ecclesiastiche, tra cui svariati cardinalati a trentamila ducati l'uno, anche se al cugino illegittimo Giulio de' Medici (il futuro Clemente VII) il cappello cardinalizio lo diede gratis: e si trattò proprio del suo, nel corso della cerimonia d'incoronazione, che si tolse da sé per ficcarsi in testa la tiara pontificia. Il Tribunale della Storia, che giudica ma non punisce, ha registrato le sue prime parole da pontefice, rivolte in quel momento a suo cugino, felice come una Pasqua: "Poiché Dio ci ha dato il Papato, godiamocelo". Le novantacinque iraconde tesi di Lutero non lo impressionarono affatto: era uno spirito lieto, agli antipodi dell'acido Paolo VI di più recente memoria, e ammazzò soltanto un cardinale, il perfido Alfonso Petrucci di Siena, che in un complotto ordito con altri quattro porporati voleva avvelenarlo "contro natura", usando l'uscita come ingresso: col pretesto di curargli la fistola, avevano dato ordine al medico toscano Battista da Vercelli di somministrare a Sua Santità un veleno machiavellico, fatto arrivare da Firenze, ficcandoglielo su per il deretano. Ma gli andò male. Il papa scoprì la congiura, giustiziò Petrucci, sbatté gli altri quattro cardinali a marcire in prigione e visse parecchi altri anni, felice, con la coscienza tranquilla e godendosi quello che Giovanni Paolo Il ha definito qualche anno fa, nel bel mezzo del focolaio dell'AIDS in Africa Centrale, "il banchetto della vita", finché non fu Miss Morte a convocarlo al suo banchetto di vermi: come a tanti altri papi che lo precedettero o vennero dopo di lui, anche a lui inviò, nella soffocante estate romana, una cattiva zanzara che gli inoculò la malaria. Ma per concludere con Innocenzo VIII, è a quest'altro campione della simonia che si deve l'astuta trovata di chiamare "Re Cattolici" Ferdinando e Isabella, quelli di Spagna. Mi pare il minimo, per una coppia che ha perseguitato mori e giudei, fondato l'Inquisizione spagnola e sovvenzionato Torquemada! Delle migliaia e migliaia di innocenti che questo folle domenicano ha torturato e bruciato sul rogo, sono loro in ultima istanza i responsabili: è stato a causa loro che se ne sono andati dritti dritti in cielo.

Dopo Béziers, a cadere fu Carcassonne, dove Arnaldo nominò conte della città un veterano della quarta crociata, Simone di Montfort, affidandogli en passant il comando di quel variopinto esercito, con la raccomandazione di trattare l'intera Occitania come una terra di eretici e di sentirsi libero di sterminarne quanti ne volesse senza fare prigionieri. Consiglio che, in un primo momento, il novello conte non seguì: a Bram non ammazzò nessuno, si limitò a cavare gli occhi a tutti. O meglio, a tutti meno uno, che lasciò guercio affinché col suo unico occhio potesse condurre gli altri fino a Cabaret. La colonna di ciechi avanzava in questo modo: il cieco dietro con le mani sulle spalle del cieco davanti, e davanti a tutti il guercio, in modo che alla vista di quel mostruoso millepiedi i nemici di Innocenzo fossero assaliti da un sano timore di Dio. All'epoca, questo pontefice che era stato eletto a 37 anni (la stessa età di Giovanni de' Medici) ne aveva 48: pochi, se paragonati ai 78 ai quali è salito al trono di Pietro il nostro attuale Benedetto XVI, ma molti in confronto ai 20 di Giovanni XI, o ai 16 di Giovanni XII, per tacer di Benedetto IX, il Mozart — o il Rimbaud — dei papi, che fu eletto a 11 anni. Che precocità! E non solo religiosa, sessuale! Ancora intonava salmi con la sua vocetta acuta da bimbo, che già Sua impubere Santità correva dietro alle damigelle. Se solo ci fossi stato io, nella sua Roma, per accoglierlo col precetto evangelico del "Lasciate che i pargoli vengano a me"! Quali intime cordicelle avrei pizzicato a quel liuto!

Benedetto IX (nome di battesimo: Teofilatto) era nipote di Giovanni XIX (nome di battesimo: Romano), che era succeduto a suo fratello Benedetto VIII (un altro Teofilatto), a sua volta nipote di Giovanni XII (nome di battesimo: Ottaviano), che era figlio del principe romano Alberico II, a sua volta figlio (e nipote) di puttana: rispettivamente, di Marozia e di Teodora, la coppia di puttane, madre e figlia, che fondarono quella dinastia di Teofilatti che diede alla cristianità sei papi, vale a dire i quattro già citati più Giovanni XI, figlio illegittimo di Marozia e di papa Sergio III (e assurto al pontificato all'età di 20 anni, come già detto, grazie agli intrighi della sua mamma), e Giovanni XIII, figlio di Teodora la giovane (sorella di Marozia) e di un vescovo. Sei papi che si fa presto a elencare, usciti in ultima istanza da una sola vagina pontificia pluripara, quella di Teodora la vecchia o Teodora la giovane! Secondo il vescovo di Cremona Liutprando, il grande cronachista del papato di quest'epoca, Giovanni XIII aveva l'abitudine di cavare gli occhi ai suoi nemici e passò a fil di spada metà della popolazione di Roma. E sempre secondo quel cronachista, Giovanni XII era un gran cacciatore e giocatore di dadi, aveva stretto un patto col Diavolo, ordinò vescovo un bambino di 10 anni in una stalla, fece castrare un cardinale provocandone la morte, cavò gli occhi al suo direttore spirituale e in una frettolosa fuga da Roma svaligiò San Pietro e scappò con quanto riuscì a caricare del suo tesoro. Convisse con la vedova del suo vassallo Rainier, cui regalò calici d'oro e città, nonché con la concubina di suo padre, Stefania, con la sorella di Stefania e financo con le proprie sorelle. Stuprò pellegrine, donne sposate, vedove, giovinette e trasformò il Palazzo del Laterano in un bordello. Ovvio, dal momento che era nipote e pronipote di puttane! Un marito geloso lo sorprese a letto con la moglie e lo ammazzò con una martellata in testa. Chissà se era riuscito a eiaculare? Aveva solo 24 anni. Un altro a morire nel bel mezzo di un adulterio per mano d'un marito cornuto fu Benedetto VII, successore di Benedetto VI. Ma torniamo alla "pornocrazia", come uno storico della Chiesa, il cardinale Baronio, ha battezzato questo periodo del papato di cui il vescovo-cronachista Liutprando fu testimone diretto. Un nome che calza a pennello: come un dito in culo, o come un anello al dito di un cardinale. Ma non solo per quel periodo: per tutta la Storia della Puttana!

Nihil novum sub sole, recita l'Ecclesiaste, certo, ma anche no: c'è sempre una prima volta per ogni cosa. Giovanni XIX succedette a suo fratello, Benedetto VIII; ma già in precedenza Paolo I era succeduto al fratello Stefano III. Papa Ormisda generò papa Silverio; ma già in precedenza papa Anastasio I aveva generato papa Innocenzo I. Bonifacio VII strangolò Benedetto VI e avvelenò Giovanni XIV; ma prima di lui Sergio III aveva assassinato il suo predecessore Leone V e l'antipapa Cristoforo, mentre Pelagio I aveva ucciso papa Vigilio perché era corrotto. Anche se, a voler essere precisi, nessun papa può ammazzarne un altro, perché al momento del crimine l'omicida non è ancora papa. Finché lo Spirito Santo non dà il suo exequatur in un conclave, non c'è nessun papa. Ovvero: non possono esserci due papi vivi. Uno sì, con il suo antipapa e persino con due antipapi; oppure nessuno, durante gli interregni e finché non eleggono il successore di quello morto. Ma due insieme, no: è una cosa che ripugna, teologicamente parlando. Pertanto, per ripugnanza teologica, parlare di un papa papicida è un'assurdità. Papi assassini e genocidi, quanti ne volete! Ma papi papicidi no. Giovanni VIII fu avvelenato e finito a martellate. Ruffiano e servile come pochi, questo campione d'opportunismo incoronò Carlo il Calvo affermando che Dio aveva decretato la sua elezione a imperatore sin "da prima della creazione del mondo", e ne ottenne come ricompensa un considerevole ampliamento dei possedimenti pontifici; fu prodigo di scomuniche quanto il nostro Wojtyla lo fu di canonizzazioni; fondò la prima flotta reale con barche spinte da rematori ridotti in schiavitù e uccise come "bestie selvagge" un'infinità di saraceni. Avvelenò e finì a martellate un parente che aspirava a succedergli: malleolo, dum usque in cerebro constabat, percussus est, expiravit (finché il martello non gli restò conficcato nel cervello), stando a quanto dicono gli Annales Fuldenses con un'elegante concisione degna d'uno storico romano.

Adriano III, che aveva ordinato di denudare e frustare per le strade di Roma una nobildonna e che aveva fatto cavare gli occhi a un alto ufficiale del Palazzo del Laterano, fu assassinato: oggi è un santo, e la sua festa si celebra l'8 luglio. Stefano VII fu incarcerato e strangolato. Questo papa, figlio di un sacerdote, fu quello che fece riesumare il predecessore, papa Formoso, nove mesi dopo la sua morte, per processarlo nel famoso "Sinodo del cadavere", nel corso del quale lo rivestì dei suoi paramenti pontifici, lo fece sedere sul trono di Pietro, lo processò per tre giorni e lo condannò per "ambizione smodata all'ufficio di pontefice"; quindi gli strapparono di dosso le vesti pontificie, lo vestirono di stracci, gli mozzarono tre dita della mano destra perché guarisse dal vizio di benedire, lo trascinarono per le strade tra beffe e risate fragorose, lo seppellirono nuovamente (stavolta in una spelonca), lo riesumarono un'altra volta, lo spogliarono, e così — nudo, mutilato, martoriato e putrefatto — lo gettarono nel Tevere.

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Dei duecentosessantatré papi con cui il Paraclito ha benedetto l'umanità — che fortunata! — dieci sono durati meno di trentatré giorni, cioè quanto è riuscito a totalizzarne di recente il nostro Albino Luciani, alias Giovanni Paolo I, e parecchi altri un paio di mesi. Non vi sembra decisamente strano? Dipenderà dai disegni imperscrutabili di quella colomba birichina, che a volte tiene in scacco un conclave per settimane, mesi e addirittura anni, e poi alla fine, gelosa!, convoca il suo eletto a pochi giorni dall'incoronazione? Ma chi detiene il record dei pontificati brevi è Giovan Battista Castagna, alias Urbano VII, che non riuscì neppure ad arrivare all'incoronazione: uscendo dal conclave si ammalò di malaria e nel giro di pochi giorni assurse all'Altissimo. Era nipote del cardinale Verallo e aveva un curriculum burocratico impressionante. Tra gli svariati uffici ecclesiastici che aveva ricoperto figurano quelli di Consulente e di Inquisitore Generale del Sant'Uffizio, grazie ai quali aveva accumulato una piccola fortuna. Il giorno stesso in cui fu eletto successore di Pietro, la zanzara ammazza-papi gli si posò addosso con le sue lunghe zampe e gli iniettò la sua dose letale di Plasmodium per conto dello Spirito Santo. La piccola fortuna la lasciò per la tutela delle bambine povere. Certo, mica se la poteva portare in paradiso! Dicono che Albino Luciani sia morto "di cuore". E ci credo! Quando si ferma il cuore, tutti muoiono.

Il primo papa inquisitore, tuttavia, non fu Urbano VII, perché lo era stato Adriaan Floriszoon Boeyens, alias Adriano VI, uno dei successori di Torquemada in Spagna. Né sarebbe stato l'ultimo. Senza andare troppo lontano, anche il nostro attuale Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, è stato un Inquisitore: ed è proprio dal trampolino dell'Inquisizione (oggi furbescamente chiamata "Congregazione per la Dottrina della Fede") che questo astuto Führer ha spiccato il balzo ed è arrivato al papato. Nell'omelia della messa officiata per l'eterno riposo di Giovanni Paolo II ha detto che la Chiesa non era "relativista". Due giorni dopo, conclave; tre giorni dopo, papa; quattro giorni dopo, contrordine: è sempre tutto relativo, dipende tutto dalle epoche, dai luoghi e dalle circostanze, e la Chiesa ortodossa va riunita con quella romana sotto un unico pastore (lui), con un unico bastone (il suo, che è quello che si rizza meglio). Del resto, quale papa non è un inquisitore? Son sempre tutti là a indagare nella coscienza altrui, a ficcanasare, a impicciarsi, a spiare dal buco della serratura.

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Quale sia stato il papa più spregevole non è cosa che si possa stabilire, a meno di non inventare un apparecchio in grado di misurare la meschinità dell'anima. Ciò che invece si può sapere eccome, perché possiamo quantificarlo, è quale sia stato il peggior assassino e quale il più nefasto. Il peggior assassino è stato l'italiano Lotario di Segni, alias Innocenzo III, che con le sue tre crociate (quella albigese, la quarta contro gli infedeli e quella dei fanciulli) fu il papa che ammazzò (o comunque spinse alla morte) il maggior numero di persone. E quello più nefasto, il polacco Karol Wojtyla, alias Giovanni Paolo II, il più grande sponsor della procreazione, che nel corso dei ventisei anni del suo pontificato, senza che la cosa gli facesse né caldo né freddo, ha contribuito più di chiunque altro ad aumentare la popolazione mondiale di due miliardi di individui, che si fan presto a dire ma che defecano parecchio. Viaggiava in jet privato e si considerava la voce dei poveri.

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La prima crociata la lanciò Urbano II (nome da single: Ottone di Lagery), un corruttore e mascalzone di secondo piano che tuttavia, plagiando Maometto cinquecento anni dopo che quest'assassino l'aveva teorizzata, introdusse in Occidente la jihad, o guerra santa, con la concomitante promessa del paradiso per quanti fossero morti in battaglia. Ed ecco l'origine del grande mercato delle indulgenze che, unito alla vendita di reliquie, si sarebbe rivelato tanto proficuo per la Puttana nei secoli a venire. Vendevano schegge della croce di Cristo, spine della sua corona, piume dell'arcangelo Gabriele, prepuzi del bambin Gesù, mestruo della Vergine. Lanciata da Urbano dalla cittadina di Clermont-Ferrand, nel cuore della Francia, al grido di Deus vult (Dio lo vuole), che radunò un'orda di cacciatori d'indulgenze provenienti da mezza Europa, e promossa da Pietro l'Eremita (che esibiva una lettera di approvazione inviatagli da Dio tramite Cristo), Gualtieri Senza Averi e altri monaci folli, questa prima crociata fu un successo dall'inizio alla fine. Oh, ne scorse di sangue! Prima di lasciare l'Europa alla volta della Terra Santa, e giusto per farci la mano, i seguaci del Crocifisso si allenarono ammazzando un po' di ebrei. Una marmaglia guidata da Emich di Leiningen (al quale apparve miracolosamente una croce sul petto) bruciò sul rogo quelli di Magonza e di Worms. E altre guidate dai preti Volkmar e Gottschalk massacrarono quelli di Praga e di Ratisbona. L'orda vandalica attraversò Ungheria, Jugoslavia e Bulgaria – paesi cristiani – devastando campagne e città. A Zemun, Pietro l'Eremita uccise quattromila cristiani e poi diede alle fiamme Belgrado. Il tutto con la benedizione dei vescovi che li accompagnavano. Una volta giunti in Asia Minore si misero a decapitare infedeli ovunque passassero, per poi lanciarne le teste oltre le mura delle città che assediavano (come Nicea, Antiochia e Tiro) allo scopo di demoralizzare i loro difensori, che ricambiavano catapultandogli indietro le teste dei propri concittadini cristiani. Ma l'apoteosi dell'orrore fu a Gerusalemme. I saraceni venivano torturati per giorni, costretti a saltare dalle torri, ammazzati a colpi di freccia, decapitati; mentre i giudei che avevano cercato rifugio nella sinagoga vennero arsi vivi. "E nel tempio di Salomone", scrive il cronachista Raimondo di Aguilers, "il sangue arrivava alle briglie dei cavalli, quale giusta e meravigliosa punizione di Dio agli infedeli". I cadaveri di infedeli e cavalli si ammucchiavano nelle strade tra teste, mani e piedi mozzati. Due settimane prima che i crociati prendessero Gerusalemme, Urbano morì, senza fare in tempo a ricevere la notizia. Dio, che è cattivo persino coi suoi sgherri, lo privò di quel piacere.

Dal punto di vista dei crimini dei cavalieri cristiani, le altre sette crociate, paragonate alla prima, sono roba da poco. La seconda, predicata da san Bernardo di Chiaravalle, fu un fiasco. La terza, predicata dall'arcivescovo Guglielmo di Tiro, pure – benché Riccardo Cuor di Leone, che vi aveva preso parte, abbia massacrato ad Acri tremila persone ordinando di squartarne i cadaveri alla ricerca di gioielli, vuoi mai che i proprietari li avessero ingoiati per portarseli nell'aldilà. Nella quarta, lanciata dal nostro Innocenzo III, le cose andarono un po' meglio: distrussero Zara, mentre Costantinopoli fu saccheggiata e incendiata. Racconta il cronachista Goffredo di Villehardouin che mai, dalla creazione del mondo, era stato fatto un tale bottino in un'unica città. Innocenzo, insuperbito e felice, scriveva all'imperatore greco dicendogli che "il giusto giudizio di Dio" aveva punito i suoi per essersi rifiutati di consegnargli la tunica inconsutile di Cristo. Va' a sapere perché questo papa, che era straricco e padrone di mezzo mondo, voleva una tunica senza cuciture tutta sdrucita! Forse per venderla in reliquie da un millimetro l'una? La quinta crociata fu un altro fiasco, la sesta anche, e pure la settima e l'ottava intraprese da Luigi IX di Francia, detto Il Santo, che Dio, i cui disegni sono insondabili, permise ai musulmani d'Egitto di fare prigioniero a Mansura. Grazie al pagamento di un ingente riscatto Il Santo si salvò, ma – stolto come pochi – non capì la lezione, ci ricascò e intraprese l'ottava crociata, che gli costò la vita. Dio, punendolo per la sua ostinazione, stavolta mandò una pestilenza al suo accampamento a Tunisi e lo prese in gloria. E che cosa ci faceva questo santo re in Egitto e a Tunisi, che si trovano al di fuori della Terra Santa? Oh, be', stava solo conquistando qualche altro pezzettino di terra per il Crocifisso. La sua festa si celebra il 25 agosto, e lo si prega così: "San Luigi re di Francia, re crociato, non permettere che una perniciosa ostinazione mi porti a commettere stoltezze e a ricadere negli errori. Grazie e amen". È il santo dei testardi, ma non serve a un cazzo. A cosa può servire, se non è riuscito a salvare neanche sé stesso!

Le otto crociate sopra elencate sono quelle degli adulti; adesso viene quella dei fanciulli, sebbene in senso stretto non si possa considerare una crociata, in quanto non godette della ratifica del papa. Lui, il nostro Innocenzo, non l'approvò. Anzi, la deplorò e ne lamentò il fallimento. Tutto ebbe inizio quando il pastorello francese Stefano di Vendôme, seguendo gli ordini di Cristo, di cui aveva delle visioni, reclutò un esercito di cinquantamila bambini e adulti squattrinati e partì alla riconquista della Terra Santa. Riuscì ad arrivare a Parigi, dove il suo esercito si disperse. Allora lo rimpiazzò un altro fanciullo, stavolta tedesco (tale Nicola di Colonia), che nelle terre del Reno e della Bassa Lorena radunò un esercito ancor più grande di quello del francesino. I primi fanciulli disertarono a Magonza, ma gli altri valicarono le Alpi e giunsero in Italia, dove il branco continuò a disgregarsi: alcuni si diressero verso Venezia, altri verso Pisa, altri verso Piacenza e Genova, altri verso Roma, altri ancora verso Marsiglia, senza che della maggior parte di loro – che perirono in viaggio – si sapesse più nulla. Di quelli che arrivarono a Pisa, alcuni riuscirono a imbarcarsi alla volta della Terra Santa, ma solo per cadere nelle mani di certi corsari saraceni che dovettero farsene una sontuosa scorpacciata degna di padre Maciel e dei suoi Legionari di Cristo. Il fanciullo cristiano, di ieri come di oggi, è una scimmia imitatrice: fa ciò che vede fare ai grandi. Era da tempo che i deliranti appelli di Pietro l'Eremita, di Gualtieri Senza Averi, dell'arcivescovo di Tiro e di san Bernardo di Chiaravalle risuonavano per mezza Europa, e nelle piccole zucche vuote di quelle sventurate creature trovarono terreno fertile. Tutta colpa della Puttana, che infiamma le teste quanto i roghi.

Sebbene l'Inquisizione – l'invenzione più mostruosa dell'umanità – venga attribuita a Ugolino di Segni, alias Gregorio IX, in ultima istanza la si deve anche, come tanti altri orrori, a suo zio Innocenzo III: fu lui, infatti, a inviare in Occitania Domenico di Guzmán, il fondatore dei domenicani (i primi scagnozzi pontifici organizzati in un ordine), affinché convertisse gli albigesi e li sottomettesse con le buone. Quando questo rozzo spagnolo fece fiasco, si scatenò la crociata contro gli albigesi di cui abbiamo parlato in queste pagine. Ebbene, l'Inquisizione nacque per proseguire il rogo di eretici iniziato in Linguadoca nel corso di quella crociata. Quindi si mise a bruciare streghe, ebrei, musulmani, protestanti e chiunque rifiutasse di prestare una cieca obbedienza al tiranno in sottana di Roma. Gregorio IX, il nipote di quell'assassino e assassino a sua volta, istituì quell'orrore in qualità di tribunale indipendente dai vescovi e dalle corti diocesane e lo mise nelle mani dei domenicani, che rispondevano soltanto a lui. Decretò formalmente la pena di morte per gli eretici (che di fatto si applicava ormai da decenni) e rovesciò il vecchio principio giuridico del diritto romano e di quello germanico in base al quale un accusato è innocente finché non si dimostri che è colpevole: ora era colpevole finché non avesse dimostrato di essere innocente. E innocenti, per l'Inquisizione, non ce ne furono mai: la presunzione d'innocenza attentava alla sua stessa ragion d'essere. Ciò che gli inquisitori dovevano stabilire non era la colpevolezza o l'innocenza dell'indiziato, ma solo la misura della sua colpevolezza. Di quel Gregorio IX l'imperatore Federico II diceva che era "un fariseo assiso sulla cattedra di un dogma perverso, unto con l'olio della malvagità". E quale papa non lo è? Con la sua frase Federico aveva appena inventato la "gregorimia", nuova figura retorica in cui l'individuo vale per la specie.

Forti dell'innovativo principio giuridico dell'innocente-colpevole introdotto da Gregorio IX (nonché del più assortito armamentario di tortura e misericordia che per salvare le anime permetteva loro di soffocare, fracassare ossa e bruciare vivo il prossimo senza spargere una goccia di sangue) i seguaci di Domenico di Guzmán si dedicarono dunque alla loro opera pia di mentire, calunniare, torturare, espropriare, rapinare e uccidere che li mantenne impegnati cinque secoli. Domini canes, li chiamavano: "i cani del Signore". Testa rapata, orecchie ritte, occhi vigili, labbroni lussuriosi, denti affilati e piedi nudi infilati in sandali da cui spuntano dita deformi e dai lunghi artigli, i Domini canes indossano una tonaca bianca con cappa e cappuccio neri, e come cintura portano un laccio di cuoio o una corda che gli può anche servire, in caso di fretta, per impiccare qualcuno. Dall'inguine gli penzola un pene e dalla cintura un rosario; il pene non li fa vivere, il rosario li distrae. Gli antichi dipinti ce li raffigurano mentre brandiscono un crocifisso facendo smorfie da squilibrati. Macché! Sono mansueti come la tigre del Bengala. Ma purtroppo non è facile vederli: ne restano pochi, sono una specie in via d'estinzione. Nella lotta per la sopravvivenza, i loro feroci rivali, i gesuiti (ai quali si sono recentemente aggiunti i nuovi grandi cacciatori di eretici dell'Opus Dei) li hanno via via sterminati. La selezione naturale, che è implacabile come l'Inquisizione, non perdona.

Procedevano in questo modo: arrivavano in un paese o in una città e pubblicavano un editto che offriva un periodo di grazia (diciamo una settimana) affinché gli eretici del posto confessassero spontaneamente in cambio di una punizione clemente. E si sedevano sulle chiappe ad aspettare. A volte non arrivava nessuno, ma altre volte, come a Tolone, si presentavano in diecimila, e allora i poveri notai al servizio dei Domini canes non bastavano a gestire tante confessioni d'eresia. Ma che cosa confessavano? Il maggior numero di cose possibile, perché guai a chi si fosse tenuto scarso nella confessione: meglio sarebbe stato per lui non esser nato dal canale anteriore di sua madre! Anonimi delatori protetti dalle ombre della notte si avvicinavano agli inquisitori per sporgere denuncia. Ma chi denunciavano? Quelli che invidiavano o che odiavano, o i cui beni bramavano, perché qualcosa di quanto veniva confiscato sarebbe andato a loro, anche se la parte maggiore, ovvio, spettava al papa: in questo modo Niccolò III accumulò una fortuna. Il sistema della delazione anonima fruttava agli inquisitori una tale messe d'eretici da mandare al rogo che in Europa la legna cominciò a scarseggiare. Tra eretici, apostati, streghe, bigami, usurai, giudei, mori e cristiani, Torquemada (che papa Sisto IV nominò Inquisitore Generale di Spagna su raccomandazione dei Re Cattolici, dal momento che era il confessore della regina) inflisse svariate pene, nei suoi undici anni di servizio alla causa del Crocifisso, a centoquattordicimila persone, e ne bruciò sul rogo diecimila. Era un santo: non mangiava carne, digiunava, non fornicava; e nel suo palazzo aveva solo duecentocinquanta servitori a piedi e cinquanta a cavallo. Torturato dalla repressione sessuale che si infliggeva da solo, fu un torturatore infelice. Non rideva. Il suo severo cipiglio non si rilassava mai. E se qualche volta eiaculava involontariamente (in vacuo, nella sottana) era per colpa dei maledetti corpi nudi delle sue vittime che era costretto a osservare e palpeggiare per cercare nelle loro intime pieghe il sigillum diaboli, o marchio di Satana: un neo nero e peloso. (Per quanto liquido seminale vada perduto in queste eiaculazioni involontarie non c'è peccato, d'accordo?, che adesso non ve ne veniate fuori con la Summa teologica del pingue aquinate). Ormai Tomás de Torquemada, l'inquisitore per antonomasia, il prototipo del domenicano, ha abbandonato il suo palazzo e le sue inquisizioni ed è asceso al cielo dove oggi, proprio ora mentre scrivo, canta nei cori celesti e gode della presenza ininterrotta di Cristo tra angeli, arcangeli, cherubini e serafini. Beatus ille.

Di Torquemada, certamente, non ne nascono tutti i giorni: lui è unico. Juan Antonio Llorente, che fu Segretario Generale dell'Inquisizione a Madrid alla fine del XVIII secolo, calcolava che, fino ad allora, in Spagna fosse stato bruciato sul rogo un totale di trentamila persone. Vale a dire che, in trecento anni, una sfilza d'inquisitori ne aveva aggiunte soltanto ventimila alle diecimila bruciate da Torquemada nei suoi undici anni scarsi di pratica incendiaria. Come Mozart, Torquemada vale per quanti sono venuti prima e dopo di lui. Si confrontino queste umili cifre altrui con le sue: Robert le Bourge bruciò centottantatré persone; Bernardo Gui quarantadue; Corrado di Marburgo una ventina. In Portogallo ne arsero vive centottantaquattro, tremilaottocento a Goa, venti a Salem. Che delusione! La razza ispanica non la batte nessuno. Il papato ci è debitore di tre tesori: i domenicani, i gesuiti e l'Opus Dei. Dove li trova Sua Santità dei lacchè e degli scagnozzi come questi?

Innocenzo IV autorizzò la tortura, e a quel punto le prigioni dell'Inquisizione si trasformarono nell'anticamera dell'inferno. Gli accusati venivano rinchiusi in celle isolate, non potevano vedere i propri famigliari né conoscere i nomi dei loro accusatori. A chi non confessava subito venivano applicati come aperitivo i serrapollici, delle ghiere che si chiudevano con una morsa e trituravano e slogavano lentamente le dita. Non confessava? Lo passavano allora agli stivali spaccatibie, per farlo poi sedere a riposare sulla sedia inquisitoria: una sedia con un braciere sotto un sedile metallico irto di chiodi affilati che diventavano incandescenti. Ancora non confessava? Allora gli spezzavano le braccia e le gambe sulla ruota o sul cavalletto. Oppure gli infliggevano il supplizio della corda, che consisteva nell'appendere il cocciuto, con le braccia legate dietro la schiena, a una corda che passava per una puleggia, e nel farlo andare su e giù finché non gli si slogavano le spalle. Urlava di dolore? Gli tappavano la bocca con uno straccio. Sveniva? Allora continuiamo la seduta domani. Fretta non ce n'era. E aspergevano d'acqua benedetta gli strumenti di tortura per disinfettarli. A proposito di acqua e straccio, il giorno dopo inzuppavano d'acqua lo straccio e la facevano ingoiare all'ostinato, brocca dopo brocca, fino a soffocarlo: era il supplizio dell'acqua. Oppure gli disarticolavano le mandibole spalancandogliele al massimo. "Per l'amor di Dio, confessa per salvare la tua anima" lo supplicava l'inquisitore, "non farmi soffrire così". "Salvare", come "convertire", è sempre stata una delle priorità della Puttana. Che coniuga senza sosta questi due verbi. Le vittime smembrate venivano gettate in buche piene di serpenti, abbandonate nude e legate a ratti affamati, oppure sepolte vive.

E non solo l'indiziato doveva confessare, ma per giunta veniva costretto a denunciare moglie, figli e amici in quanto nemici di Dio. A quelli che confessavano in fretta venivano semplicemente confiscati i beni, gli si prescriveva qualche messa e qualche frustata e li si obbligava a portare cucite sui vestiti le due croci gialle dell'ignominia: una davanti e una sulla schiena. Il problema della confessione non erano tanto le due croci, o il fatto che il condannato si ritrovasse scalzo come un carmelitano e costretto a dormire all'addiaccio, quanto piuttosto che si stabiliva un precedente di eresia e che perciò, da quel momento in avanti, chiunque – per invidia, odio o gelosia – lo poteva accusare di recidiva: e allora sì che sarebbero state le fiamme del rogo a danzare la "Danza rituale del fuoco" del signor Manuel de Falla attorno al corpo seminudo del relapso. Morire bruciati è peggio che morire crocifissi. A Cristo è andata di lusso: Caifa e Pilato l'hanno trattato con grande benevolenza. Infine, per non contaminare la santità della Chiesa, il rogo era a carico delle autorità civili, non di quelle ecclesiastiche. Era il cosiddetto "autodafé", che aveva luogo nella piazza reale al cospetto del popolino riunito, felice di assistere a un bel falò. Una vera festa cristiana.

L'inquisitore faceva sia da accusatore sia da giudice. Pertanto, in quanto accusatore, non perdeva mai una causa. Non svelava mai all'indiziato i suoi capi d'accusa e gli proibiva di fare domande. Qualunque testimone gli andava bene: spergiuri, assassini, ladri. Ricorrere in appello non era possibile: a chi rivolgersi, in ogni caso? Al papa? Ma se era lui l'Inquisitore Maggiore e il primo persecutore di eretici!

– Cos'è l'eresia?

– Eresia è qualunque disobbedienza al papa, nelle opere come nei pensieri, nelle azioni come nei propositi.

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Una volta approvata la persecuzione delle streghe, l'orrore divampò con rinnovato brio. La nuova opportunità di confische e ricchezze si profilava tanto ghiotta che i vescovi, desiderosi di dare una mano e in concorrenza sleale coi domenicani, allestirono le proprie inquisizioni e i propri roghi. E lo stesso fecero i protestanti, tanto in Europa quanto in America (quando si tratta di terre e denari, cattolici e protestanti sono culo e camicia). Il vescovo di Treviri bruciò sul rogo trecentosessantotto streghe, quello di Ginevra cinquecento, quello di Bamberga seicento e quello di Würzburg novecento. Tra domenicani e vescovi, vennero rasi al suolo villaggi e regioni intere. A Oppenau, tra il 1631 e il 1632, fu bruciato sul rogo circa il due per cento della popolazione. Per porre fine alla tortura le presunte streghe ne denunciavano altre, e queste altre ancora, in una reazione a catena che poteva protrarsi per decenni. La cifra totale delle persone arse per stregoneria non si conoscerà mai. C'è chi dice trentamila, chi settantamila, chi trecentomila (Wojtyla direbbe una dozzina). Ciò che invece sappiamo è che per la maggior parte erano donne. Ci sono cifre relative a questo o quell'anno, a questo o quel luogo. Ad esempio, a Como, in Lombardia, nel 1416 ne bruciarono trecento, nel 1486 sessanta, nel 1514 trecento, e negli anni successivi continuarono al ritmo di cento all'anno. Cento furono bruciate a Sion nel 1420. A Mirandola, nel 1522, ne arsero centinaia. In Danimarca, nel 1544, cinquantadue. In Germania, nel 1560, parecchie centinaia. A Parigi, tra il 1565 e il 1640, cento. A Ginevra, nel maggio del 1571, ventuno. Nella Lorena, dal 1576 al 1606, tra le due e le tremila. A Bordeaux, nel 1577, quattrocento. In Inghilterra, tra il 1560 e il 1600, trecentoquattordici. Nella Val Mesolcina, nel 1593, soltanto otto, ma per opera nientemeno che del cardinale Carlo Borromeo, che la Puttana ha poi canonizzato. Nel corso del XVI secolo, in Danimarca, mille, così come in Scozia, e duecento in Norvegia. In Polonia, tra il 1650 e il 1700, diecimila. Nella contea del Suffolk, in Inghilterra, tra il 1645 e il 1647, il cacciatore di streghe Matthew Hopkins ne impiccò novantotto, in maggioranza giovani donne, dopo averle torturate e violentate. E il grande inquisitore Baltasar Ross andava di paese in paese con un tribunale itinerante processando e bruciando come un ossesso.

Le streghe erano accusate di cannibalismo, di zoofilia, di volare sulle scope, di guastare il raccolto, di far abortire le donne, di provocare impotenza negli uomini, di bere il sangue dei bambini, di fare orge, di trasformarsi in rane e gatti, di baciare il culo a Satana, di accoppiarsi con lui nei sabba e dargli dei figli. Il Malleus Maleficarum racconta di una strega che di notte evirava gli uomini mentre dormivano e custodiva i loro peni in un nido nella chioma di un albero. E di un contadino castrato che un giorno arrivò a supplicarla che per l'amor di Dio gli restituisse il pene, ché aveva moglie e figli ed era povero in canna. La strega lo mandò a cercarlo sulla chioma dell'albero. Il contadino salì, frugò nel nido, si scelse il pene più grande della collezione e scese a terra col suo tesoro. "Quello no" gli disse la strega togliendoglielo. "È di un parroco".

Alle streghe bucavano gli occhi con degli spilli, le impalavano dalla vagina o dal retto fino a smembrarle come punizione per essersi accoppiate col Diavolo, le facevano trascinare dai cavalli fino a farle a pezzi, le soffocavano... A scatenare la persecuzione contro le streghe fu Innocenzo VIII con la sua ignobile bolla Summis desiderantes affectibus, che promulgò tre mesi dopo essersi fatto eleggere papa con l'intrigo e con la corruzione. Abbiamo già accennato a questo mostro, corrotto tra i corrotti, criminale tra i criminali. Una volta promulgata la bolla, chiamò Heinrich Kramer e James Sprenger ("l'apostolo del rosario") a dirigere in sua vece il massacro di streghe in Germania, due domenicani cui l'Occidente deve il più completo e sistematico manuale su quelle malvagie donne, sul male che causano e sulle modalità secondo cui vanno cacciate, processate, torturate e bruciate: il Malleus Maleficarum, o "Martello delle streghe", il libro più criminale che sia stato partorito da mente umana fecondata dal perfido seme di Cristo. E pensare che la Puttana ha sostenuto per secoli, sin dal suo Canon episcopi dell'anno 906, che credere alle streghe fosse un'eresia! Adesso saltava fuori che era il contrario.

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E alle bolle bisogna aggiungere le decisioni dei concili: ecumenici, come il Quarto Lateranense, convocato da Innocenzo III nel 1215 (a quale orrore non avrà preso parte questo mostro?), oppure particolari, come quello di Vannes del 465, quello di Agde del 506, quello di Vienna del 517, quello di Clermond del 535, quello di Mâcon del 581, quello di Parigi del 615, eccetera, eccetera, per calpestare in tutte le forme possibili gli "assassini di Cristo". E oggi, ad Auschwitz, dove i cristiani nazisti hanno assassinato novecentosessantamila ebrei, il teologo Ratzinger chiede: "Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?". La risposta è ovvia: "Per ciò che i tuoi correligionari e predecessori hanno fatto agli ebrei nell'arco di millesettecento anni, brutto stronzo". E adesso ti becchi una lista dei vescovi nazisti della tua terra, casomai qualche nome ti suonasse familiare tra un rintocco di campane e l'altro:

il vescovo castrense Rarkowski, il chierico militare tedesco di più alto rango, che incensava Hitler come "nostro Führer, custode ed estensore del Reich".

Il vescovo Werthmann, vicario generale del precedente e suo vice nell'esercito.

Jäger, l'arcivescovo di Paderborn, che fu cappellano militare del Führer.

Il cardinale Wendel, che fu il primo vescovo castrense.

Berning, il vescovo di Osnabrück, che inviò a Hitler una copia della sua opera Katholische Kirche und deutsches Volkstum (Chiesa cattolica ed etnia nazionale tedesca) "quale segno della mia venerazione" e che Göring nominò membro del Consiglio di Stato di Prussia.

Buchberger, il vescovo di Ratisbona, che nel foglio episcopale della sua diocesi scriveva che "il Führer e il governo hanno fatto tutto quanto è compatibile con la giustizia, il diritto e l'onore del nostro popolo per preservare la pace della nostra nazione".

Ehrenfried, il vescovo di Würzburg, che diceva: "I soldati assolvono il proprio dovere nei confronti del Führer e della patria con il massimo spirito di sacrificio, consegnando completamente le loro persone così come imposto dalle Sacre Scritture".

Kaller, il vescovo di Ermland, che in una lettera pastorale esortava così i suoi fedeli: "Con l'aiuto di Dio metterete il massimo impegno per il Führer e per il popolo e adempirete fino alla fine al vostro dovere a difesa della nostra amata patria".

Machens, vescovo di Hildesheim, che li arringava dicendo: "Assolvete il vostro dovere di fronte al Führer, al popolo e alla patria! Assolvetelo, se necessario, mettendo a repentaglio le vostre stesse vite" e pregava Dio di "inviare il suo angelo" (quale dei tanti?) alle truppe naziste.

Kumpfmüller, il vescovo di Augusta, che davanti alla prepotenza hitleriana nei confronti dell'Europa dichiarava che "il cristiano rimane fedele alla bandiera cui ha giurato di obbedire, succeda quel che succeda".

Il vescovo Wienkens, che rappresentava l'episcopato tedesco presso il Ministero della Propaganda nazista.

Preysing, il vescovo di Berlino, che firmava le lettere di sostegno a Hitler scritte congiuntamente dai suoi confratelli.

Il vescovo Frings (in seguito cardinale di Colonia), che in qualità di presidente della Conferenza Episcopale tedesca pretendeva di versare fino all'ultima goccia di sangue per il Führer.

Il vescovo Hudal, che dedicò a Hitler il suo libro Die Grundlagen des Nationalsozialismus (I fondamenti del nazionalsocialismo) definendolo "il Sigfrido della speranza e della grandezza tedesche", e che dopo la disfatta nazista aiutò F. Stangl — accusato della morte di quattrocentomila persone nel campo di concentramento di Treblinka — a fuggire in Brasile, procurandogli denaro e documenti falsi.

Gröber, l'arcivescovo di Friburgo, finanziatore delle SS, che perorava la causa della necessità dello "spazio vitale" tedesco; che contribuiva con il denaro delle sue arcidiocesi a finanziare la guerra; e che scrisse diciassette lettere pastorali, da far leggere dai pulpiti, in cui esortava all'abnegazione e all'audacia.

Kolb, l'arcivescovo di Bamberga, il quale predicava che "quando combattono gli eserciti di soldati ci dev'essere a sostenerli un esercito di sacerdoti che prega nelle retrovie".

Il cardinale e conte von Galen, il "leone di Münster", che salutò la Wehrmacht quale "protettrice e simbolo dell'onore e del diritto tedeschi", e che nella Gazzetta ecclesiastica della sua regione scriveva: "Sono stati loro, gli inglesi, a dichiararci guerra. E in seguito il nostro Führer ha offerto loro la pace, addirittura due volte, ma loro l'hanno rifiutata sdegnosamente".

Il cardinale Bertram, di Breslau, presidente della Conferenza episcopale, che "su commissione dei vescovi di Germania" inviava a Hitler questo telegramma: "Il fatto grandioso del consolidamento della pace tra i popoli serve da pretesto all'episcopato tedesco per esprimere le sue felicitazioni e la sua gratitudine nel modo più rispettoso e per ordinare che domenica prossima si proceda solennemente a far suonare le campane a festa".

Il cardinale Schulte, di Colonia, che in una lettera pastorale scriveva: "Non dobbiamo forse aiutare tutti i nostri valorosi sul campo di battaglia con la nostra fedele preghiera quotidiana?".

Il cardinale Faulhaber, "il leone di Monaco", che nel 1933 definiva Pio XI "il miglior amico dei nazisti", che nel 1934 vietava al Congresso Ebraico Mondiale anche solo di menzionare il suo nome a proposito di una sua presunta difesa degli ebrei, definendola una "affermazione delirante", che prima di mettersi al comando dell'episcopato bavarese era stato vescovo castrense, che imponeva di pregare per Hitler e faceva suonare le campane a festa in suo onore, che dopo il fallito attentato contro di lui offrì una solenne messa di ringraziamento nella Frauenkirche di Monaco e che, insieme a tutti i vescovi della Baviera, gli inviò una lettera di felicitazioni per essersi salvato. Da perfetto discepolo della Puttana di Babilonia che va a letto col vincitore di turno, questo "leone di Monaco" fu antinazista prima del 1933, nazista entusiasta tra il 1933 e il 1945, e indignato antinazista dopo il 1945.

E questo fu, né più né meno, il comportamento tenuto dall'episcopato austriaco al tempo dell'Anschluss: il cardinale Innitzer, l'arcivescovo Waitz e i vescovi Hefter, Pawlikowski, Gföllner e Memelauer passarono in blocco dalla parte di Hitler e firmarono una dichiarazione in cui approvavano l'annessione del proprio paese al Reich tedesco ed esortavano i loro fedeli ad appoggiare il regime nazista. E quando Hitler fece il suo ingresso in Austria lo accolsero con campane a festa e croci uncinate appese in tutte le chiese di Vienna. E oggi, dopo tutto ciò che è successo, con una profonda sofferenza teologica che gli sgorga dall'intimo dell'essere, Ratzinger chiede, nel bel mezzo di Auschwitz: "Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?". Ma certo che Dio esiste! Deve esistere, affinché esista un inferno dove questo bastardo finisca a bruciare. Ecco la mia "prova Ratzinger" dell'esistenza di Dio.

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Il mio papa preferito è Rodrigo de Borja y Doms (in italiano, Rodrigo Borgia), alias Alessandro VI, nipote di Alonso Borgia, alias Callisto III, i due unici papi di razza ispanica che abbiano servito la Puttana, entrambi simoniaci e nepotisti, anche se lo zio in misura minore: arrivato vecchio a ricoprire la carica, non gli restò molto tempo per regnare. Questo Callisto fece cardinali due suoi nipoti poco più che ventenni, uno dei quali era Rodrigo; un altro lo nominò governatore di Castel Sant'Angelo e prefetto di Roma; ed era sul punto di metterne un quarto sul trono di Napoli quando i vermi lo reclamarono alla loro tavola. Vietò ai cristiani d'intrattenere qualunque relazione sociale con gli ebrei. Annullò, è vero, la sentenza contro Giovanna d'Arco. Ma venticinque anni dopo che l'avevano bruciata viva a Rouen! Riconobbe che non era stata né una strega né un'eretica, e tante scuse. Lanciò una crociata per liberare Costantinopoli, appena conquistata dai turchi, ma fu un fiasco. E questo è tutto riguardo allo zio, che per quanto se ne sa non ha lasciato eredi. Passiamo al nipote, che fu un fornicatore e un procreatore nato.

Calunniato come Nerone, vilipeso persino dagli storici più servili della Puttana, dicono che Alessandro VI sia stato il papa peggiore. E come fanno a stabilirlo? In base alle amanti che si è fatto? Ai figli che ha messo al mondo? Alla protezione che gli ha dato? Ai cardinali che ha corrotto? Alle indulgenze che ha venduto? Alle orge che ha organizzato? E chi non l'ha fatto! È tutto assolutamente papesco, perfettamente umano! Rientra nell'ordine naturale delle cose: gli uccelli volano, il fiume scorre, il vento soffia. Ha bruciato sul rogo Savonarola? E vabbè! Non l'avesse bruciato, sarebbe stato quel fanatico d'un ayatollah a bruciare lui! Dicono che abbia comprato un conclave? Quanti dei suoi predecessori e dei suoi successori non hanno comprato conclavi! Te li vendono già con colomba e tutto! Che abbia venduto indulgenze? E quale bottegaio non vende! Che abbia gozzovigliato per tutto il pontificato finché ebbe fiato in corpo? Beatus ille! Se le sembra una cosa disdicevole, caro lettore, eviti di gozzovigliare à la Borgia qualora la eleggano papa: faccia la carità, raccatti bambini dalla strada, ami i poveri. Dei ventidue porporati del Collegio Cardinalizio da cui fu eletto, lui era il secondo più ricco: ne corruppe diciassette, tra cui il cardinale di Venezia, novantaseienne, che gli costò cinquemila ducati, e il cardinale Sforza, che gli costò quattro muli carichi d'oro. Due dei cinque cardinali che non si lasciarono comprare, peraltro, si fecero eleggere papa a loro volta: Piccolomini, alias Pio III, il diretto successore di Borgia, che regnò solo diciassette giorni giacché morì "di gotta"; e Della Rovere, alias Giulio II, il successore del precedente, che dovette corrompere persino Cesare Borgia, il figlio di papà Rodrigo, che era in corso di putrefazione da appena un mese. Cardinal che non si vende compra. "Vende Alessandro altari e chiavi e Cristo; e ben lo può, ché pria ne fece acquisto" diceva in quei giorni il vento, mentre spazzava Roma.

"Sono papa! Sono papa!" gridava il cardinale Borgia, più felice di un cane con l'osso, non appena fu eletto, mentre s'infilava da solo i paramenti pontifici e usciva di corsa a benedire lo stupido pecorume e a dar riposo al pastorale. Quante ne ha combinate! Quanto se l'è spassata! Come aveva afferrato bene ciò che mezzo millennio più tardi Wojtyla avrebbe chiamato, nell'epicentro dell'AIDS, in Africa, "il banchetto della vita"! Da Vannozza Catanei ebbe quattro figli: Giovanni, Cesare, Lucrezia e Goffredo. Dalla bella Giulia Farnese, che aveva quarant'anni meno di lui, due maschietti: un Rodrigo, come lui, e un altro Giovanni. E parecchi altri, di cui non si sa nulla, da parecchie altre donne, di cui nulla si sa. Il suo primo Giovanni lo nominò duca di Gandia all'età di 16 anni; Cesare lo fece cardinale a 18 anni; a Lucrezia combinò tre matrimoni principeschi; e il fratello di Giulia, Alessandro Farnese, lo fece cardinale a 25 anni, spianandogli così la strada affinché diventasse in seguito sia papa che papà: Paolo III, con quattro figli che gli diedero dei nipoti, due dei quali furono da lui nominati cardinali all'età di 15 e 16 anni! Prima di Innocenzo VIII, che era stato l'immediato predecessore di Alessandro VI, i papi generavano solo nipoti. Con questi due coraggiosi papi la faccenda cambiò: perché un papa doveva vergognarsi della propria progenie? Se ne vergognano per caso i falegnami, i medici, i conigli, i cavalli? E l'apostolo Pietro, non aveva forse una moglie e una suocera che furono guarite da Gesù? Che l'ignorante legga i vangeli. A Innocenzo VIII davano del "Santo Padre" perché lo era di mezza Roma, benché lui abbia riconosciuto solamente una figlia e Franceschetto, che ricoprì d'onori e ricchezze e fece cardinale all'età di 13 anni. In una sola notte, giocando con un altro porporato, questo Franceschetto perse quattordicimila ducati: il giorno dopo il papa costrinse quel cardinale imbroglione a restituire il maltolto al suo ragazzo. Una volta in cui il Santo Padre era sprofondato in uno dei suoi abituali accessi di letargia, il Santo Figlio, Franceschetto, si sgraffignò il tesoro pontificio. Che lo rubasse pure! Che importava! Non per niente era suo figlio!

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Meritano una menzione speciale (per l'attestato che il loro zietto mandò a mia madre) Marcantonio, Carlo e Giulio Pacelli, nipoti di Eugenio Pacelli (alias Pio XII, complice di Mussolini), che furono da lui nominati principi traendone ogni vantaggio possibile e immaginabile, dentro e fuori dal Vaticano: erano colonnelli della Guardia nobile, presidenti e consiglieri di banche e società, di congregazioni e concistori, di istituti e compagnie, consulenti legali, delegati, procuratori, nunzi, beccavano soldi a destra e a manca, alla Ferrosmalto, all'Italgas, alla Ceramica Pozzi, alla Saniplastica, al cinema, in radio, alla televisione, presso società immobiliari, nelle assicurazioni, nell'industria farmaceutica, in quella editoriale, alla Banca di Roma, negli aeroporti... Dio solo sa dove non avevano le mani in pasta, dov'è che non intascavano soldi! Tra tutti e tre accumularono una fortuna di centoventi milioni di marchi, cui bisogna aggiungere gli ottanta milioni che, morendo, gli lasciò lo zio, in oro e titoli, meno qualunque bazzecola si fosse intascata suor Pascalina. Questa suora e il papa facevano a gara a chi risparmiava più luce elettrica, cosa che mi ricorda mia madre quando rincorreva i suoi venti figli spegnendo lampadine come un'ossessa. Uno zio dello zio, Ernesto Pacelli, in qualità di lacchè di fiducia di Pio IX, era stato direttore della Banca di Roma, di cui la Curia possedeva delle azioni, nonché il fondatore dell' Osservatore Romano, il Granma del Vaticano, un foglio satirico tendenzioso che ancora oggi, dopo un secolo e mezzo di meschinità e settant'anni dopo aver leccato il culo ai nazisti, continua impunemente a circolare felice e contento come se in cielo non ci fosse alcun Dio. Al momento si sta spendendo per la canonizzazione di Pio XII, con la balla che avrebbe raccattato dei bambini ebrei per battezzarli e salvarli dai nazisti. E che gli avrebbe pure offerto la colazione.

È molto importante ricordare a papa Ratzinger, ora che va in giro a visitare campi di concentramento, il comportamento tenuto dal suo predecessore Pio XII di fronte al nazismo. Ho già fatto a Sua Santità l'elenco dei vescovi tedeschi suoi conterranei che adulavano Hitler, tutti in coro come se recitassero il rosario. Forse che Pio XII ha detto qualcosa al riguardo? Una parola purchessia nel corso dei suoi molteplici discorsi radiofonici, nei suoi messaggi natalizi, nelle sue esortazioni, nelle sue riflessioni, nelle sue encicliche e nelle sue lettere pastorali, per ripudiare quel pazzo criminale e censurare l'atteggiamento abietto dei suoi vescovi tedeschi? Tante quante ne ha dette per condannare Jozef Tiso quando questo prete, appoggiato dalle SS, era presidente della Repubblica fascista di Slovacchia, alleata dei nazisti. E cosa poteva mai dire, se lo ha persino ricevuto in Vaticano, gli ha conferito il titolo di Gentiluomo di Sua Santità e lo ha nominato vescovo! Il presidente-vescovo Tiso mise a disposizione di Hitler tre divisioni da cinquantamila soldati. Alla fine della guerra fuggì in Austria con tutto il suo governo, ma finì impiccato. "Muoio come martire e difensore della civiltà cristiana" disse. A cos'avrà voluto alludere, questo Gentiluomo di Sua Santità, con l'espressione "civiltà cristiana"? Alla persecuzione degli ebrei, ai roghi di streghe ed eretici, ai massacri in nome del Crocifisso che abbiamo fin qui elencato?

E ha detto per caso qualcosa quando Jan Vojtassak, vescovo conterraneo del vescovo Tiso, si impadronì delle proprietà degli ebrei di Betlanovce e Baldovce? Ha forse spronato il suo prelato a restituire la roba d'altri ricordandogli il settimo comandamento, quello del "non rubare"? Sua Santità avrà pensato che fosse impossibile, ontologicamente parlando, rubare a un ebreo. E non richiamò all'ordine nemmeno monsignor Voloshyn al tempo in cui presiedeva il governo nazista dell'Ucraina carpatica, dimostrandogli chiaramente d'essersi messo al soldo di un regime criminale. Non sarà forse che aveva intravisto nell'Ucraina una testa di ponte per la rievangelizzazione della scismatica Russia (il classico bene superiore di fronte a mali minori)? Può darsi: era un grande statista. Così, quando subodorò l'annessione di Danzica, per non procurare noie al Führer rimpiazzò il vescovo irlandese filo-britannico della cittadina polacca, O'Rourke, con monsignor Cari Maria Splett, filo-nazista. Splett, che era uno di quelli che suonavano le campane a festa per celebrare i successi del Reich, vietò le confessioni in polacco e fu collaboratore della Gestapo. "Si confessa solo in tedesco" recitava un cartello ben visibile nei confessionali di Danzica, come se i poveri polacchi non avessero nemmeno il diritto di peccare nella loro lingua. Dopo la disfatta nazista, questo monsignore fu condannato all'ergastolo, ma fu liberato e ricevuto in udienza dal papa.

Dopo l'aperitivo di Danzica, Hitler passò alla Polonia. Forse che Pacelli aprì bocca per denunciare non dico i tre milioni di polacchi ebrei che sterminò ma almeno i venti milioni di polacchi cattolici che prese a legnate? Sì, disse: "Ah, Polonia, quanta pena!". La stampa clandestina polacca lo accusava di non essere né un apostolo né un padre né niente, di ostentare una compassione fasulla nonché di essersi schierato col più forte e di aver sacrificato la Polonia per riconquistare la Russia. Può darsi. Forse il Santo Padre voleva aggiungere al suo titolo di Patriarca d'Occidente anche quello d'Oriente. In fin dei conti, i polacchi sono scemi e, per quante legnate gli si diano, continueranno a essere cattolici fino alla fine, fino alla grande battaglia dell'Armageddon, quando li useranno come carne da cannone. Dopo la Polonia fu la volta della Norvegia, della Danimarca, del Belgio, dell'Olanda, della Francia, della Jugoslavia, della Grecia... Cadevano, quei Paesini, come tessere del domino, e il papa stava muto. Qualcosa gliel'avrebbe potuto dire, ai quaranta milioni di cattolici del Reich tedesco, ad esempio che fermassero quell'assassino. Invece no, il previdente pastore taceva, non fosse mai che il lupo facesse del male alle sue pecorelle. Era stato per nove anni nunzio di Pio XI in Germania, dove aveva imparato il tedesco e ad amare il popolo ariano-teutonico grazie alla sua suor Pascalina. Però non era nazista, no, questo non lo credo. E non credo neanche che la Blitzkrieg, la "guerra lampo", lo sorprendesse, abituato com'era a vedere di tanto in tanto il Paraclito in uno spiegamento di lingue di fuoco. Se stava zitto era per prudenza. Che ottusi questi polacchi! Meno male che Hitler li ha presi a legnate!

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Ma dove la Puttana diede il meglio di sé fu in Croazia (e nella sua appendice della Bosnia-Erzegovina), dove il fondatore del Partito Fascista Croato degli Ustascia, Ante Pavelič, il poglavnik ("duce" in croato), con l'appoggio finanziario e militare dei nazisti tedeschi e quello spirituale dei vescovi locali instaurò una sanguinaria dittatura razzista che massacrò (o deportò in campi di sterminio) intere città di serbi, ebrei e musulmani, e i cui effetti hanno continuato a ripercuotersi nella guerra che ha recentemente disintegrato quello che si riteneva lo Stato jugoslavo, ma che in realtà era soltanto una fragile trapunta di scampoli tenuta insieme dall'odio di cattolici, ortodossi e musulmani, tre piaghe dell'umanità che non possono vivere fianco a fianco perché si ripugnano a vicenda.

Pavelič, il poglavnik, era cattolico. Dire Pavelič il poglavnik è come dire Hitler il Führer, Mussolini il Duce o Franco il caudillo. Il non plus ultra! Ho qui davanti agli occhi una sua foto dov'è circondato dall'episcopato cattolico: dieci travestiti in vestaglia da donna e fascia rossa, cinque a sinistra e cinque a destra, e in mezzo il poglavnik in uniforme militare e stivali come un gallo tra le galline. Il primo alla sua destra è l'arcivescovo di Zagabria, Aloizij Stepinac, mentre il primo alla sua sinistra è l'arcivescovo di Sarajevo, Ivan Šarič. Tra i rimanenti otto vescovi ci devono essere Axamovic, di Dakovo, J. Gavic, di Banja Luka e Salis-Sewis, vice di Stepinac. Oltre a essere stato nominato Vicario generale delle Forze Armate ustascia dal Vaticano, Stepinac era presidente della Conferenza Episcopale Croata, membro del parlamento ustascia, arcivescovo primate di Zagabria e in seguito cardinale e beato: Wojtyla ha fatto ai croati il favore di beatificarlo in cambio di una di quelle accoglienze trionfali à la Tito e Vespasiano che tanto erano gradite a quel pavone dalla coda perennemente spiegata. Fu a Stepinac che, in qualità di arcivescovo primate, spettò l'onore di annunciare dal pulpito della cattedrale di Zagabria la fondazione dello Stato Indipendente di Croazia, che in realtà era lo "Stato Criminale Fascista di Croazia": un'appendice del Terzo Reich. Pavelič lo decorò con la Gran Croce dell'Ordine della Stella, tanto meritata quanto la beatificazione: grazie a un regime di terrore convertì al cattolicesimo duecentocinquantamila serbi ortodossi e aiutò il poglavnik a farne fuori altri settecentocinquantamila, per tacere dell'ottanta per cento degli ebrei jugoslavi. Oggi è il santo patrono del genocidio, e lo si prega per proteggersi dalle mine antiuomo. Dopo la disfatta nazista fu accusato di tradimento e venne condannato a diciassette anni di lavori forzati, ma dopo cinque era già libero, e fu allora che Pio XII lo nominò cardinale. In seguito si dedicò a difendere l'uso della bomba atomica, à la MacArthur, quale principale strumento di conversione di Russia e Serbia al cattolicesimo. "Lo scisma della Chiesa ortodossa" diceva "è la più grande maledizione d'Europa, quasi quanto il protestantesimo. In esso non v'è morale, né princìpi, né verità, né giustizia, né onestà". Io riformulerei il suo primo enunciato in questo modo: la Chiesa cattolica, quella ortodossa e quella protestante sono la più grande maledizione dell'umanità, quasi quanto l'Islam.

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Durante i pontificati di Pio XI e del suo successore Pio XII, le alte gerarchie della Puttana si sono piegate a Mussolini e a Hitler con una sola voce, quella del despota pontificio: cardinali, arcivescovi e vescovi, a partire da quelli italiani, passando per quelli tedeschi per finire con quelli dell'intera Europa occupata dai nazisti. A indicare la via furono gli italiani: i cardinali Gasparri (quello che ha negoziato i Patti Lateranensi), Vannutelli (che era il decano del Sacro Collegio Cardinalizio), Ascalesi (che elogiava il Duce definendolo "il rinnovatore d'Italia"), Mistrangelo (che lo abbracciava e lo baciava sulle guance), Cerreti e Merry del Vai, oltre ai ventinove arcivescovi e ai sessantuno vescovi che appoggiarono l'invasione dell'Abissinia tramite sermoni dal pulpito, telegrammi di solidarietà pubblicati dall' Osservatore Romano e la vendita di croci, medaglie e anelli d'oro al fine di finanziare quella spedizione di saccheggio giustificata da Pio XI come "guerra difensiva". Una guerra difensiva contro il Paese più povero e arretrato del pianeta! Due anni dopo l'invasione dell'Abissinia novecento vescovi (l'intero episcopato mondiale, tranne due vescovi spagnoli) riconobbero la legittimità della sedizione franchista, definendola una "crociata per la religione cristiana e la civiltà". In questo modo il papa non aveva nemmeno bisogno di una rete di spionaggio per sapere cosa stava succedendo: a tramare dietro i novecento vescovi fascisti c'era lui.

Non appena Pacelli capì che i fascisti stavano per essere sconfitti e che la caduta del Reich era imminente, si affrettò a condannarli e a schierarsi con gli Alleati. Con la sfacciataggine che ha sempre contraddistinto la Puttana, la serpe passò dalla parte degli angloamericani la sera prima che sbarcassero in Italia. Questa sanguisuga ingrata va sempre a letto con chi vince. Ecco perché oggi i preti spiano per conto degli Stati Uniti, cui Wojtyla ha messo a disposizione l'enorme rete di spionaggio che aveva ereditato dai papi nazisti. È la sua regola, la formula che l'ha esaltata sin dai tempi di Costantino, millesettecento anni fa, e che non l'ha mai delusa: stare sempre dalla parte del vincitore. E nonostante oggi sia proprietaria di banche e di innumerevoli imprese, continua a farsi mantenere con l'elemosina, che riceve per la maggior parte dai cattolici di Stati Uniti e Germania, oggi come oggi i più grandi ruffiani della Puttana.

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Lo storico ebreo Flavio Giuseppe, che visse approssimativamente tra il 37 e il 100, e che scrisse in greco la Guerra giudaica in sette volumi, le Antichità giudaiche in venti, una breve autobiografia e Contro Apione, un'apologia della razza ebraica, è la massima fonte (per non dire l'unica) della storia della Palestina nel secolo I della nostra era. La Puttana, che è senza ritegno e particolarmente propensa a manipolare la verità, sostiene che i vangeli in realtà non siano biografie ma piuttosto kerygma, una specie di credo ampliato. D'accordo: ma il credo, abbreviato o ampliato, è un atto di fede, e io non accetto che mi s'imponga tramite atti di fede l'esistenza storica di chicchessia. D'altronde, in nessuno dei quattro vangeli si afferma che chi li scrive sia stato ispirato da Dio. Perché allora la Puttana lo sostiene? Da dove ha tirato fuori la santità e l'ispirazione divina di quei testi? E la reale esistenza di queste quattro entelechie con nomi d'esseri umani? Ecco un'altra dimostrazione di come, nel primo secolo della nostra era, queste entelechie ignorassero la storia ebraica. Scrive l'entità-Giovanni (2:19-20): "Rispose loro Gesù: 'Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere'. Gli dissero allora i Giudei: 'Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?'". Ed ecco cosa dice Flavio Giuseppe nell'undicesimo capitolo delle sue Antichità (XV, 11, 421), interamente dedicato alla descrizione della costruzione del secondo tempio da parte di Erode nel diciottesimo anno del suo regno: "Ma il tempio stesso fu costruito dai sacerdoti in un anno e sei mesi, dopodiché il popolo fu colmo di giubilo". Deciderete voi a chi credere, se a Flavio Giuseppe, che è uno dei grandi storici dell'antichità e i cui libri sono costellati di nomi e dati concreti, o a quel tossico di Giovanni, che nomina soltanto tre personaggi storici (Pilato, Anna e Caifa) e il cui vangelo narra fatti accaduti non si sa dove, non si sa quando e tra i fumi rintronanti dell'hashish. Alla faccia del Logos! Ma quale cazzo di Logos! Giovanni Evangelista è il precursore degli hippie.

Matteo (2:19-23) racconta che, "morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: 'Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino'. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: 'Sarà chiamato Nazareno'". Ancora Balzac nei vangeli! Come faceva Matteo a sapere cos'aveva sognato Giuseppe in Egitto e in Israele? E voglio proprio vedere chi mi mostra un versetto dell'Antico Testamento dove un profeta dica che "sarà chiamato Nazareno". Insomma, quel che in realtà voglio sottolineare è che, alla morte di Erode il Grande, suo figlio Archelao ereditò effettivamente la Giudea; però – cosa che l'evangelista non registra – l'altro suo figlio, Erode Antipa, ereditò la Galilea, dove si trovava Nazaret. E questo Erode Antipa fu precisamente colui che insieme a Pilato e Caifa finì per crocifiggere Cristo, il che rende tutta questa faccenda un crudele scherzo dell'Altissimo. Quel che l'angelo avrebbe dovuto dire a Giuseppe era: "Non uscire dall'Egitto col bambino, ché quei due fratelli sono cattivi quanto il padre. Se anche lo salvi da uno dei due, presto o tardi sarà l'altro a ucciderlo". Figuriamoci! Gli angeli sono inutili. Non son buoni manco a dettare Corani. E un'altra cosa: Nazaret è un'altra delle invenzioni della Puttana. All'epoca non esisteva, né ve n'è traccia in Flavio Giuseppe. Se invece di Nazaret gli evangelisti avessero scritto Terazan sarebbe stato lo stesso. Anche se, in questo caso, Gesù non sarebbe stato "il nazareno" bensì "il terazano".

Infine, gli evangelisti scrivono in greco, ma la Puttana sostiene che Cristo parlasse aramaico. Perché allora il Padre non ha dettato i vangeli in aramaico, in modo da non fargli correre il rischio di tradire il pensiero di suo Figlio? La Puttana, che è cinica e s'inventa sempre le risposte più strampalate, dirà che i disegni del Signore sono imperscrutabili. Poiché (visto che non conoscono la geografia di nessuna delle due regioni) gli evangelisti non erano ebrei della Palestina né greci della Decàpoli, che si trova a est del Giordano, non può darsi che fossero ebrei ellenizzati della diaspora? Per "diaspora" si intende erroneamente solo la dispersione del popolo ebraico che fece seguito alla distruzione del tempio di Gerusalemme, nel settembre dell'anno 70, per mano di Tito. Ma già a partire da due secoli prima, come minimo, c'erano ebrei disseminati per buona parte del bacino del Mediterraneo, con una grande comunità ad Alessandria, in Egitto, dove la Bibbia ebraica fu tradotta in greco nella cosiddetta versione dei Settanta, o Septuaginta; mentre a Gerusalemme continuarono a essercene fino all'anno 135, quando l'imperatore Adriano soffocò la rivolta ebraica di Bar Kochba e li espulse definitivamente dalla città, che ribattezzò Aelia Capitolina e consacrò a Giove.

Ad Alessandria (e durante i secoli III e II p.e.v.) era stata realizzata la prima traduzione greca della Bibbia ebraica, la Septuaginta, così chiamata perché la leggenda l'attribuiva a settanta traduttori. Ed è questa traduzione greca quella che gli evangelisti citano e dalla quale attingono le loro profezie manipolate, visto che non conoscono l'originale ebraico. Anzi, non conoscono bene neanche la versione greca. Il Vangelo di Marco inizia dicendo: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: 'Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada'". Ma Marco si sbaglia. La citazione non appartiene a Isaia, bensì a Malachia: si tratta dell'inizio del primo versetto del terzo capitolo dell'omonimo libro. La Puttana sostiene che gli evangelisti siano stati ispirati da Dio. Ma come li ha ispirati male! Dio gli ha dettato tutto sbagliato. Se l'Altissimo non conosce manco l'Antico Testamento, non so perché si metta a dettare quello Nuovo.

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Cristo è un mostro forgiato da Roma, centro dell'Impero e del mondo ellenizzato, a partire dall'anno 100, attraverso la fusione di caratteristiche attinte dai miti di Attis (dalla Frigia), di Dioniso (dalla Grecia), di Buddha (dal Nepal), di Krishna (dall'India), di Osiride e suo figlio Horus (dall'Egitto), di Zoroastro e Mitra (dalla Persia) e di tutta una serie di divinità e redentori del genere umano che l'hanno preceduto di secoli, o addirittura millenni, e di cui il mondo mediterraneo è venuto a conoscenza grazie alla conquista della Persia e dell'India da parte di Alessandro Magno. Il cristianesimo dei primi tempi dovette competere con parecchi dei culti misterici dell'Asia Minore e specialmente con il mitraismo, la grande religione dell'Impero da cui tanto ha attinto e sulla quale si è potuta imporre solamente con l'aiuto di Costantino e dei suoi successori, ben oltre l'inizio del IV secolo. Cristo nacque il 25 dicembre da una Vergine, e nella stessa data, che è il solstizio d'inverno, nacquero Attis, dalla Vergine Nana; Buddha, dalla Vergine Maya; Krishna, dalla Vergine Devaki; e Horus dalla Vergine Iside, in una mangiatoia e in una grotta. Anche Mitra nacque il 25 dicembre, da una vergine, in una grotta; e anche a lui fecero visita dei pastori che gli portarono dei regali. E da una vergine nacque anche Zoroastro, o Zarathustra.

Attis morì per la salvezza dell'umanità crocifisso a un albero, discese nel mondo sotterraneo e dopo tre giorni risuscitò. Mitra ebbe dodici discepoli; pronunciò un Discorso della Montagna; fu chiamato il Buon Pastore; fu considerato la Verità e la Luce, il Logos, il Redentore, il Salvatore e il Messia; si sacrificò per la pace del mondo; fu sepolto e risuscitò dopo tre giorni; il suo giorno sacro era la domenica e la sua religione celebrava un'eucaristia (o Cena del Signore) in cui diceva: "Chi non mangia del mio corpo e non beve del mio sangue, cosicché dimori in me e io in lui, non si salverà".

Buddha fu battezzato con acqua alla presenza dello Spirito di Dio, insegnò nel tempio all'età di 12 anni, guarì i malati, camminò sull'acqua e sfamò cinquecento uomini con un cesto di pane; i suoi seguaci facevano voto di povertà e rinunciavano al mondo; fu chiamato il Signore, Maestro, la Luce del Mondo, Dio degli Dèi, Altissimo, Redentore e Santo; risuscitò e ascese fisicamente al Nirvana.

Anche Dioniso risuscitò e fu chiamato Re dei Re, Dio degli Dèi, l'Unigenito, l'Unto, il Redentore e il Salvatore. Horus fu battezzato nel fiume Eridano da Anup il Battista, che fu decapitato; a 12 anni insegnò nel tempio e a 30 fu battezzato; fu chiamato "l'Unto", la Verità, la Luce, il Messia, il Figlio dell'Uomo, il Verbo Incarnato, il Buon Pastore e l'Agnello di Dio; compì miracoli, esorcizzò demoni, risuscitò El-Osiris (Al-Azarus) e camminò sull'acqua; pronunciò un Discorso della Montagna e si trasfigurò sulla cima di un monte; fu crocifisso tra due ladri e risuscitò dopo essere stato sepolto per tre giorni in una tomba.

Krishna era figlio di un falegname, la sua nascita fu annunciata da una stella che splendeva a oriente e attesa da pastori che gli portarono in regalo delle spezie; ebbe dodici discepoli, fu chiamato il Buon Pastore e identificato con l'agnello; fu chiamato anche il Redentore, il Primogenito e il Verbo Universale; compì miracoli, risuscitò defunti e guarì lebbrosi, sordi e ciechi; morì intorno ai 30 anni per la salvezza dell'umanità e alla sua morte il Sole si oscurò; risuscitò dai morti, ascese al cielo e divenne la seconda persona di una Trinità.

Zoroastro fu battezzato in un fiume con acqua, fuoco e vento sacro; fu tentato nel deserto dal Diavolo e iniziò il suo ministero a 30 anni; scacciò demoni e restituì la vista a un cieco; predicò di paradiso e inferno, di risurrezione, giudizio, salvezza e apocalisse.

E cosa sono le parole attribuite a questo mostro mitologico che è Cristo, se non un guazzabuglio tirato fuori dai libri canonici e apocrifi della Bibbia ebraica e dalla saggezza popolare?

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Fozio è stato uno dei più grandi eruditi cristiani. Tra le sue opere si annoverano la Mistagogia dello Spirito Santo, la prima confutazione della dottrina latina del Filioque che, come ho già riferito, lo contrappose a papa Niccolò I; e la Biblioteca, o Myriobiblon, una monumentale raccolta di epitomi di duecentottanta testi religiosi di grande interesse, grazie alla quale oggi siamo a conoscenza di molte opere dell'antichità greca e dei primi secoli del cristianesimo che altrimenti ci risulterebbero completamente ignote. Nel Myriobiblon (codice 33), Fozio scrive: "Ho letto la Cronologia di Giusto di Tiberiade, che inizia la sua storia da Mosè e termina quando era ancora in vita Erode Agrippa. Giusto fu uno storico molto conciso nel suo linguaggio e si soffermò leggermente solo su quei fatti che meritavano di essere presentati con maggiore attenzione. Essendo dominato dal pregiudizio giudaico, in virtù della sua origine prettamente giudaica, egli non fa alcuna menzione dell'apparizione del Cristo o di qualunque cosa connessa a questa figura o dei meravigliosi prodigi che egli fece. Egli fu il figlio di un certo giudeo, il cui nome era Pistus. Giusto fu un uomo, come ci viene descritto da Giuseppe, dal carattere scapestrato e dissoluto". Giusto di Tiberiade era uno storico ebreo contemporaneo e rivale di Flavio Giuseppe, che nell'appendice autobiografica aggiunta alle sue Antichità lo scredita ampiamente. Delle opere storiche di Giusto di Tiberiade non ci resta più nulla, dal momento che dopo Fozio sono andate perdute; ma, per quel che riguarda quest'ultimo, ciò che risulta fin troppo chiaro è che conosceva molto bene entrambi gli storici ebrei della seconda metà del I secolo, e che nessuno di loro parla di Cristo.

La copia più antica in nostro possesso dei volumi che vanno dall'XI al XX delle Antichità giudaiche di Giuseppe è il codice F 128 della Biblioteca Ambrosiana, risalente all'XI secolo. Il fatto che questa copia contenga il Testimonium flavianum significa che discende dal gruppo di copie contraffatte che si associano al nome di Eusebio: Eusebio vescovo di Cesarea, biografo di Costantino, sul cui carro della vittoria saltò insieme alla Puttana, nonché autore della Storia ecclesiastica, che è la terza Storia di questa cortigiana molto brava a scaldare il letto, essendo le prime due le memorie di Egesippo (scritte intorno all'anno 180 durante il pontificato di Eleuterio e di cui ci sono rimasti soltanto i paragrafi citati proprio dal nostro vescovo storiografo) e gli Atti degli Apostoli, che risalgono alla stessa epoca di Egesippo e sono — se possibile — altrettanto falsi dei vangeli. Stando a quanto sostiene la Puttana, con uno scarto di almeno cent'anni, gli Atti degli Apostoli sarebbero stati scritti prima della distruzione di Gerusalemme, che avvenne nell'anno 70: ma non ha modo di dimostrarlo. E, colmo della sfacciataggine, sostiene che racconterebbero la pura verità storica e che sarebbero stati scritti da Luca, l'autore del terzo vangelo. Ma né Luca è esistito, né l'autore del vangelo che porta il suo nome è lo stesso di quello degli Atti degli Apostoli, né questa mostruosità sotto forma di libro racconta la verità storica. Gli Atti degli Apostoli li ha scritti lo Spirito della Menzogna, che oggi come ieri (e come da milleottocento anni a questa parte) continua a ingravidare l'infame meretrice di cui stiamo parlando. In questo momento ho qui davanti a me l'edizione del Nuovo Testamento della Facoltà di Teologia dell'Università di Navarra, uscita dalla lurida vagina dell'Opus Dei. Questa associazione criminosa, truffatrice di vedove, complice dei potenti, frutto ipocrita della Spagna beota del beato Escrivá de Balaguer, oggi domina il Vaticano, la Babilonia romana, dove la Grande Puttana poggia le sue sudicie natiche sul trono di San Pietro.

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Nel 1639 Urbano VIII, il benevolo Maffeo Barberini che tanto aiutava i suoi parenti e che per poco non manda al rogo Galileo per disobbedienza, promulgò la bolla antischiavista Commissum Nobis, indirizzata al suo amato figlio, il Collettore generale dei diritti della Reverenda Camera Apostolica del Portogallo, che così inizia: "Essendoci stata affidata la più alta carica apostolica dal Signore, ci è ordinato che la salvezza di tutti non ci sia indifferente, e non solo quella dei fedeli cristiani ma anche quella di coloro che ancora si trovano al di fuori del grembo della Chiesa, nelle tenebre della superstizione indigena (Commissum Nobis a Domino Supremi Apostolatus officii ministerium postulat ut nullius hominis salutem a cura nostra alienam ducentes, non solum in Cristifideles, sed etiam in eos qui adhuc in ethnicae superstitionis tenebris ex gremio Ecclesiae versantur)". E si mette poi a proibire che gli indigeni del Paraguay, del Brasile e del Río de la Plata vengano ridotti in schiavitù, venduti, comprati, scambiati, donati, separati dalle mogli e dai figli, spogliati dei loro beni, trasportati da un luogo all'altro, privati della libertà e tenuti in schiavitù, pena la scomunica latae sententiae. E quanti ne ha scomunicati Barberini latae sententiae per essere stati schiavisti ed encomenderos? Che me lo dica la Puttana!

Alle ipocrite bolle antischiaviste si vennero poi ad aggiungere le subdole "istruzioni" (instructii) della Congregazione del Sant'Uffizio, con cui a partire dalla metà del XVI secolo il Magistero della Puttana cominciò a pronunciarsi in merito al nuovo fenomeno della caccia e della tratta di neri (nigros) e nativi (sylvestres) del continente africano. Dico "nuovo", ma solo per i cristiani che all'epoca iniziavano l'attività, non per i negrieri musulmani che si dedicavano a quell'infame commercio sin dall'XI secolo, degni seguaci quali sono di quel mostro di Maometto, che sulla riduzione dei popoli in schiavitù ha fondato un impero. Ecco alcune parole molto rivelatrici tratte dall'Istruzione numero 1293 della Sacra Congregazione per il Sant'Uffizio, datata 20 giugno 1866, nel bel mezzo del pontificato dell'infallibile papa Pio IX, e scritta in risposta a una serie di domande poste dal reverendo padre Guglielmo Massaia, Vicario Apostolico presso la tribù dei Galla, in Etiopia: "Nonostante che i Pontefici Romani non abbiano nulla lasciato di intentato per abolire la schiavitù presso tutte le genti, e a questo si debba principalmente il fatto che già da diversi secoli non si trovino più schiavi presso molti popoli cristiani (a pluribus saeculis nulli apud plurimas christianorum gentes servi habeantur), tuttavia la schiavitù, di per sé, non ripugna affatto né al diritto naturale né al diritto divino (tamen servitus ipsa per se et absolute considerata iuri naturali et divino minime repugnant), e possono esserci molti giusti motivi di essa, secondo l'opinione di provati teologi e interpreti dei sacri canoni (pluresque adesse possunt iusti servitutis tituli quos videre est apud probatos theologos sacrorumque cononum interpretes). Infatti, il possesso del padrone sullo schiavo, non è altro che il diritto di disporre in perpetuo dell'opera del servo, per le proprie comodità, le quali è giusto che un uomo fornisca ad un altro uomo (Dominium enim illud, quod domino in servum competit non aliud esse intelligitur quam ius perpetuum de servi operis in proprium commodum disponendi, quas quidem homini ab homine praestari fas est). Ne consegue che non ripugna al diritto naturale né al diritto divino che il servo sia venduto, comprato, scambiato o donato, fintantoché in tale vendita, o acquisto, o scambio, o dono, siano osservate le condizioni che i suddetti provati autori accettano e ampiamente chiariscono (Inde autem consequitur iuri naturali et divino non repugnare quod servus vendatur, ematur, commutetur, donetur, modo in hac venditione, emptione, commutatione, donatione, debitae conditiones accurate serventur quas itidem probati auctores late perse quuntur et explicant)". E questa chicca, che arriva quasi alla fine: "Non è facile rispondere alle domande 17 e 18. In generale gli schiavi che sono stati ridotti in schiavitù ingiustamente hanno il diritto di fuggire; ma non gli schiavi che si trovino in una condizione di giusta schiavitù (servi qui iustam subeant servitutem), salvo che il padrone intenda indurli a qualsivoglia peccato o siano trattati con inumanità". Ah, Puttana infame e baciapile, fino a quando abuserai della nostra pazienza? Già tirarti una bomba atomica sarebbe poco.

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Pagina 171

Oggi — autorizzati dalla Bibbia, dai vangeli e dal Corano — due miliardi di cristiani, un miliardo e quattrocento milioni di musulmani e dieci milioni di ebrei si sentono in diritto (divino: consacrato nella Genesi) di disporre degli animali come gli pare e piace: di metterli in gabbia, di ferirli, cacciarli, deriderli, torturarli, accoltellarli negli allevamenti intensivi, nelle riserve di caccia, nelle arene della corrida, nei circhi, nelle arene per il combattimento dei galli, nei mattatoi, nei laboratori e negli istituti che praticano la vivisezione. "Dio è amore" dicono i protestanti. No. Dio è odio. Odio contro l'uomo, odio contro gli animali. E infami sono le tre religioni semitiche che invocano il suo nome.

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Pagina 176

Nel 1967, durante il pontificato di Paolo VI, la Congregazione per la Dottrina della Fede (l'antico Sant'Uffizio, l'antica Inquisizione) abolì con la più assoluta faccia tosta il giuramento antimodernista, esattamente come l'anno precedente la Puttana aveva annunciato che non avrebbe pubblicato ulteriori edizioni dell' Indice dei libri proibiti , che il catalogo esistente cessava d'essere vincolante e che di conseguenza veniva ritirata la sanzione della scomunica per quanti leggessero i libri in esso contenuti. Quella mostruosità che era l' Indice la dobbiamo a un altro Paolo, papa Carafa, alias Paolo IV, grande persecutore d'ebrei nonché uno dei papi più sanguinari, che fu colui che lo istituì nel 1557 per scongiurare i pericoli della stampa (il modernismo del suo tempo). Con lui la Puttana calpestò per quattro secoli la libertà d'espressione in Occidente, finché un bel giorno, come se niente fosse, si volta pagina e tanti saluti. E non è forse da poco che la Puttana, per bocca dell'infame Wojtyla, ha ritirato anche la condanna contro Galileo, che era stata sul punto di mandare al rogo? In quanto ai crimini dell'Inquisizione, oggi la Puttana dice che non sono stati tanti, e che se ne è stato commesso qualcuno bisogna inquadrarlo nel suo contesto storico e quale frutto di una mentalità d'altri tempi.

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Pagina 179

Il cristianesimo non è stato fondato da nessuno in particolare. Sono stati in molti a fondarlo, e in diversi luoghi: Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Costantinopoli, Efeso. Parlando in senso stretto, un "cristianesimo primitivo" non esiste. All'inizio ci sono stati parecchi cristianesimi, tra loro distinti se non addirittura in contraddizione reciproca, opera di diverse sette e ciascuna col suo Cristo. Senza allontanarsi troppo dal Nuovo Testamento, il Cristo di Paolo è un'entità teosofica quasi priva di corporeità e che malgrado ciò muore e risuscita; mentre quello dei vangeli sinottici mangia e beve persino dopo la risurrezione, perché — come abbiamo visto — non appena appare risorto agli apostoli chiede loro da mangiare ed essi gli danno del pesce arrostito. E il Cristo del Vangelo di Giovanni non è lo stesso di quelli sinottici. La Puttana parla di un solo Cristo, ma è proprio lei ad averne svariati. E nessuno dei suoi Cristi è uguale a quello degli gnostici. Col passare del tempo, una di quelle prime sette cristiane, la Gran Puttana, andò a letto con quel macellaio di Costantino, s'appropriò d'ogni cosa e fece fuori le altre. Questo delinquente, cui la Gran Puttana deve ciò che è stata e ciò che è oggi, era figlio di una locandiera (stabularia), sant'Elena, puttana anche lei. Impiccò suo suocero, fece avvelenare il figlio Crispo, strangolare due cognati e affogare nel lavatoio la moglie Fausta. Prima della battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio vide un segno davanti al sole e la frase In hoc signo vinces: con questo segno vincerai. Il segno erano due pali incrociati, una croce. E a quella croce la leggenda ha appeso un pazzo.

[...]

Prima dell'invenzione della stampa i libri erano scarsi e costosi perché si dovevano copiare uno ad uno, parola per parola. Così, per quasi un millennio e mezzo, fino a Gutenberg, la Bibbia rimase all'esclusiva portata della pretaglia, della mafia tonsurata al servizio della Puttana che deteneva il potere con la scusa di essere l'unica interprete autorizzata della parola di Dio. Quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili e la Bibbia si poté diffondere a tutto il gregge, la Puttana la chiuse gelosamente nella cassaforte del latino impedendo che venisse tradotta nelle lingue vernacolari. E faceva bene. Non c'è peggior nemico della Bibbia che la Bibbia stessa. Quando la tradusse in tedesco, Lutero non sapeva quel che faceva: aveva scoperchiato il vaso di Pandora. Il primo grande scisma della Puttana lo dobbiamo al papa romano Leone IX e al patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, che nel 1054 la divisero in due: la Puttana d'Occidente e la Puttana d'Oriente. Il secondo lo dobbiamo a Lutero, che il 31 ottobre 1517 affisse le sue novantacinque tesi di protesta alla porta della chiesa del castello di Wittenberg e divise a sua volta la Puttana d'Occidente in altre due Puttane: quella protestante e quella cattolica. Dio ti benedica, Martin Lutero, chierico farabutto. E benedica anche Michele Cerulario e Leone IX. E infine, già che ci siamo, Dio benedica pure Mikhail Gorbaciov, il pavone gonfiato alla cui inettitudine dobbiamo il crollo del comunismo. Liberati dal giogo della Puttana cattolica, i protestanti si dedicarono con fervore alla lettura della Bibbia, alla sua interpretazione e, come c'era da aspettarsi, alla scoperta delle sue immoralità e delle sue carognate, delle sue contraddizioni e delle sue stupidaggini. Grazie a Lutero è stato possibile Locke; grazie a Locke è stato possibile l'Illuminismo; grazie all'Illuminismo è stata possibile la Rivoluzione Francese; grazie alla Rivoluzione Francese è stato possibile il Risorgimento italiano; grazie al Risorgimento italiano è stata possibile la perdita del potere temporale da parte della Puttana di Roma; ed è grazie alla sconfitta della Puttana di Roma che oggi il gentile lettore ha in mano questo libro: se non si fosse data questa concatenazione di fortunati eventi il suo autore sarebbe stato bruciato sul rogo già da un bel po'!

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Pagina 187

Alle prime stupide carognate di Pio IX appartiene la condanna della Costituzione Austriaca del 1848, che aboliva la schiavitù dei contadini e consentiva a protestanti ed ebrei di avere proprie scuole e università. "Noi dichiariamo che queste leggi sono, e saranno per il futuro, nulle e vuote", diceva infuriato il papocchio, inaugurando il suo pontificato, "ed esortiamo i loro autori, specialmente quelli che si ritengono cattolici, e che hanno osato approvarle ed eseguirle, a ricordare le censure e le pene spirituali nelle quali incorrono ipso facto, in accordo con le costituzioni apostoliche e i decreti dei Concili Ecumenici, per tutti coloro che violano i diritti della Chiesa". Ma certo! Peccato che i suoi sudditi romani chiedessero a quell'autocrate la medesima libertà. Gli si ribellarono, uccisero il suo primo ministro, il conte Rossi, lo assediarono al palazzo del Quirinale, lo costrinsero a fuggire a Gaeta sotto mentite spoglie e proclamarono la Repubblica Romana; solo che, mannaggia, siccome per ogni buco c'è sempre una pezza e per ogni Puttana c'è sempre un pappone, i francesi vennero in suo aiuto, lo rimisero sul suo scranno e lo protessero finché non se ne dovettero andare a causa dello scoppio della Guerra franco-prussiana. Erano gli anni del Risorgimento, cui l'Empio si oppose con un decreto vietando ai cattolici di appoggiarlo. Trovandosi a metà dello stivale italico, e separando pertanto il nord dal sud, Roma e lo Stato Pontificio rappresentavano il principale ostacolo all'unificazione italiana. Ciò che a quel tempo la Puttana rischiava di perdere erano i suoi preziosi possedimenti temporali, cui teneva quanto alle proprie pupille. Che spettacolo di meschinità e avarizia seppe dare! E mentre Garibaldi marciava verso il Vaticano l'Empio, in atteggiamento di sfida, diceva: "Eccoli che arrivano. Ma io ho la mia artiglieria". E indicava il crocifisso che gli penzolava sul petto come un pene flaccido.

Oltre che per l'epilessia e la faccia da pomodoro, Empio IX si contraddistingueva anche per essere un devoto dell'8 dicembre. Quel giorno, nel 1854, proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria nella sua lettera apostolica Ineffabilis Deus. Ancora quel giorno, nel 1864, promulgò l'enciclica Quanta cura, cui allegò il Sillabo. E sempre quel giorno, nel 1869, convocò il Concilio Vaticano I per farsi dichiarare infallibile. Ma a che pro, se già lo era! Quando proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione lo fece in quella veste, altrimenti quella proclamazione non sarebbe stata un dogma, bensì un semplice parere pontificio. La novità era grande, dunque, perché dal Concilio di Nicea del 325 erano stati soltanto i concili generali a decidere cosa fosse un dogma e cosa no. Dogma o non dogma, dire che Maria era stata concepita senza peccato gettava in ogni caso alle ortiche la dottrina paolina della passione di Cristo quale espiazione per il peccato originale di Adamo ed Eva che aveva macchiato tutto il genere umano senza eccezione. Fino al XII secolo, la dottrina dei Padri della Chiesa aveva sostenuto che a essere concepito verginalmente fosse stato Gesù e nessun altro, nemmeno sua madre. Una cosa era che Maria fosse vergine quando ebbe Gesù, un'altra che fosse stata "concepita senza peccato". Quando, nel XII secolo, i canonici di Lione istituirono una nuova festività religiosa per celebrare l'Immacolata Concezione della Vergine, san Bernardo di Chiaravalle dimostrò loro, inorridito, che allora il medesimo criterio del concepimento immacolato avrebbe dovuto applicarsi anche ai progenitori di Maria e a tutti i loro antenati, dal momento che la Puttana ritiene da sempre peccaminoso ogni atto sessuale. Dato che Maria è nata da un rapporto sessuale, se ne deve dedurre che è stata concepita peccaminosamente. Ciò che dunque si doveva celebrare, raccomandava san Bernardo ai lionesi, era la nascita di Maria, non il suo concepimento. E nei decenni a seguire, il "Magister Sententiarum" Pietro Lombardo, il "Dottore Serafico" san Bonaventura e il "Dottore Angelico" san Tommaso d'Aquino furono d'accordo con lui. E come potevano non esserlo, visto che san Bernardo era l'autore delle Lodi della Vergine Madre, il grande trattato di "mariologia", o scienza che studia la Vergine Maria (e che non va confusa con la "malacologia", che è lo studio scientifico dei molluschi)! Ma poco dopo, purtroppo, arrivò Duns Scoto, il "Dottor Sottile", ad appoggiare la festività dei lionesi guastando invece la festa ai suoi colleghi teologi, con la proposta della tesi per cui Maria sarebbe stata resa immune al peccato originale prima d'essere concepita. E su questa sottile idea del Dottor Sottile si basò secoli dopo Pio IX per imporre il suo dogma. Ma, vi starete domandando, si può rendere immune, come con un vaccino, qualcuno che non è ancora nato? Ma certo! Come Pio IX ha potuto essere infallibile quindici anni prima che il Concilio Vaticano I lo dichiarasse tale, così la Vergine Maria è stata vaccinata contro il peccato originale prima di esistere. Sono due, dunque, e intimamente collegati, i dogmi che segnano la vita di Pio IX, beatificato pochi anni fa da quel maniaco delle canonizzazioni che era Wojtyla: quello dell'Immacolata Concezione e quello dell'infallibilità papale, che per l'indignazione che hanno suscitato nel mondo civilizzato, al di fuori del gregge, hanno rischiato di sotterrare la Puttana.

Il 18 luglio 1870, tra tuoni e fulmini, mentre una spaventosa bufera si abbatteva sulla Basilica di San Pietro come se il Padreterno la stesse sfondando dall'alto, 531 vescovi contro 2 contrari (il resto dei conciliari se l'era svignata da Roma nei giorni precedenti per non dover votare né in un senso né nell'altro) dichiararono infallibile Pio IX. La città Eterna non era mai stata teatro di una tormenta più iraconda. Che Dio fosse offeso coi suoi prelati per quanto si accingevano a fare? "No" disse il cardinale Manning (un anglicano convertito), "accadde lo stesso sul Sinai al tempo dei dieci comandamenti". Il Concilio Vaticano I fu un concilio suicida perché, se il papa era infallibile, allora che bisogno c'era di convocare altri concili di centinaia di vescovi, da portare a Roma, alloggiare e sfamare, se la semplice parola del Vicario di Cristo era sufficiente?

Ma dove Pio IX si supera in idiozia è nel suo Syllabus errorum, o "Elenco contenente i principali errori del nostro tempo", una collezione di 80 verità che aveva condannato nel corso degli anni presentandole come falsità in allocuzioni concistoriali, lettere apostoliche ed encicliche, e che pubblicò insieme alla sua enciclica Quanta cura. Ecco, citati testualmente, alcuni di quegli errori condannati dalla Puttana:

1. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest'universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni.

3. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male.

6. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell'uomo.

7. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.

12. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.

15. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.

21. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.

26. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.

38. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.

40. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agli interessi della umana società.

53. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose.

55. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.

80. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

Ma come possono essere errori simili verità! Casomai saranno verità parziali perché, ad esempio, riguardo alla proposizione 53, quel che bisogna abrogare sono gli ordini religiosi, non le leggi che li proteggono; riguardo alla 55, sarebbe opportuno che una Chiesa non ci fosse affatto; e riguardo alla 80, il Romano Pontefice semplicemente non deve esistere. Ciò di cui abbiamo bisogno è che l'umanità prenda coscienza della situazione e si armi di coraggio e pistola, come il turco Ali Agca. Punto e basta. Via il dente, via il dolore.

Il rifiuto generato dal Sillabo nel mondo civilizzato fu tale (e tale fu l'odio di cui a Roma l'Empio che lo concepì fu fatto oggetto per le sue mascalzonate) che tre anni dopo la sua morte, mentre di notte la vile pretaglia traslava di nascosto da San Pietro i resti di quel papa epilettico per seppellirli nella basilica di San Lorenzo fuori le mura, al momento di attraversare Ponte Sant'Angelo con la bara l'impaurito corteo fu assaltato dalla folla romana, avvertita dell'evento e intenzionata a gettarla nel Tevere. Come se non fossero stati nel 1878 con le macchine a vapore, le ferrovie, i preservativi, l'omosessualità e gli altri progressi che l'età moderna porta con sé, ma mille annaddietro, quando si defecava all'aperto, nei secoli bui di papa Formoso! Meno male che non sono riusciti nel loro intento. Avrebbero inquinato non solo il fiume ma anche Roma, l'Italia, l'Europa, l'Oceano Mare e l'Universo Mondo.

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Pagina 197

— Bambini, quanti (e chi) sono i papi moderni o ipocriti?

— I papi moderni o ipocriti sono undici, vale a dire: Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che oggi vive e regna per la grazia di Dio.

— E qual è il più buono, tra tutti loro?

— Il meno cattivo di tutti è Giovanni Paolo I, perché ha regnato solo trentatré giorni.

— E perché solo trentatré giorni?

— Perché l'hanno fatto fuori.

— E chi è stato a farlo fuori?

— Sono stati la Curia e lo Spirito Santo.

— Molto bene, bambini. Continuate a impegnarvi così e vedrete che quando sarete grandi vi daranno una borsa di studio per studiare teologia all' Angelicum di Roma.

"Ora la lotta è con i razionalisti, i quali, basandosi parimenti sul proprio giudizio, ripudiano nel modo più assoluto persino questi stessi elementi della fede cristiana ricevuti dai padri. Essi infatti negano del tutto sia la divina rivelazione, come l'ispirazione e la sacra Scrittura, e vanno dicendo che altro non sono se non artifici e invenzioni degli uomini, che non contengono vere narrazioni di cose realmente accadute, ma inutili favole o storie menzognere; così non abbiamo in esse vaticini od oracoli, ma soltanto predizioni fatte dopo gli eventi o presagi di intuito naturale; non presentano veri e propri miracoli e manifestazioni della potenza divina, ma si tratta o di fatti meravigliosi, mai però superiori alle forze della natura, o di magie e miti. I vangeli poi e gli scritti apostolici sono certamente, dicono, da attribuirsi ad altri autori". Ed è così, in effetti. Con grande spirito di sintesi e nel miglior stile delle sentenze dell'Inquisizione o del Sillabo di Pio IX, che presentavano come menzogne una serie di verità, nella sua Providentissimus Deus Leone XIII ci stava dando una grande lezione di chiarezza espositiva. Non ci sono miracoli, né profezie, né libri sacri, né Rivelazione: sono tutte balle.

– Quali sono i più grandi nemici della Bibbia, a parte la Bibbia?

– I più grandi nemici della Bibbia, a parte la Bibbia, sono: l'archeologia, la filologia, la paleografia, l'analisi del testo e lo studio delle lingue semitiche.

– Molto bene, bambini. Come premio per il vostro impegno, venerdì mattina non verrete a scuola. Liberi tutto il weekend!

"Spargono il loro veleno esiziale con libri, opuscoli e quotidiani; lo insinuano nelle adunanze, nei discorsi: hanno ormai pervaso ogni campo, e tengono nelle loro mani molte scuole di giovani, sottratte alla tutela della chiesa, in cui si corrompono miseramente le ancor credule e docili menti e si spingono al disprezzo delle Scritture, anche ricorrendo al ludibrio e agli scherzi osceni". Ed è così, in effetti. La Providentissirnus Deus è stata un'enciclica luminosa.

Gli amministratori della Puttana hanno parlato ex cathedra (cioè "infallibilmente") due volte: Pio IX, nel 1854, per proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, di cui abbiamo già parlato, e Pio XII, nel 1950, per proclamare quello dell'Assunzione, che sostiene che la madre di Gesù, al termine della sua vita, fu trasferita in paradiso sia con l'anima sia con il corpo. "Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica". Oh, che paura! Quello è un anatema. Più velenoso della neurotossina del pesce palla. Ma quant'erano ossessionati, questi Pii, da quella signora che manco è esistita! Perché, per poter essere stata madre di Dio, ci doveva essere anzitutto un Dio, cosa che non è ancora stata dimostrata. Abbaiava parecchio, questo dodicesimo Pio, anche se, essendo sdentato, non mordeva poi molto. L'anno precedente aveva dichiarato in un minaccioso proclama che i cattolici che avessero appoggiato il comunismo si sarebbero ritrovati "automaticamente" scomunicati. Cioè: come quando uno schiaccia un campanello e quello suona. E nel suo messaggio natalizio del 1950 annunciò ufficialmente il ritrovamento della tomba dell'apostolo Pietro sotto l'altare maggiore della Basilica di San Pietro a Roma, dov'erano appena terminati gli scavi. Che bella notizia! Se esistono le ossa di Pietro vuol dire che Pietro è esistito. E se è esistito Pietro, l'apostolo di Cristo, vuol dire che è esistito anche Cristo. E se è esistito Cristo, il Figlio di Dio, vuol dire che Dio esiste. Non c'è Figlio senza Padre né apostolo senza Figlio. Perciò le ossa di Pietro erano di un'importanza capitale. Le trovarono completamente pietrificate. Tanto che, quando fu possibile sottoporle all'esame genetico con l'amplificatore di DNA, venne fuori che erano pietra! La Puttana non ha più parlato ex cathedra né ha più accennato alla faccenda delle ossa. Non c'era nessun osso, non c'era nessun Pietro, non c'era nessun Cristo, non c'era nessun Dio. C'era solo una pietra su cui è stata edificata una chiesa.

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Negli anni in cui Hus cominciava a predicare le dottrine di Wycliffe in Boemia, a Roma nasceva Lorenzo Valla, che fu il primo a smascherare l'imbroglio della Donazione di Costantino nonché a demolire il dogma secondo cui le Sacre Scritture sarebbero parola di Dio. La storia della Donazione di Costantino viene affrontata nella sua Declamatio, del 1440, la dissertazione in cui dimostra che il latino dell'anonimo autore della donazione non poteva risalire all'epoca di Costantino ma era invece posteriore di parecchi secoli. In quegli anni Valla lavorava come segretario e storiografo regio presso la corte di Alfonso V di Aragona, re di Napoli, il quale (essendo all'epoca rivale di papa Eugenio IV) trovava molto conveniente minare le basi delle aspirazioni pontificie al dominio della penisola italica. Per quanto riguarda il dogma dell'ispirazione divina delle Sacre Scritture, nella sua opera filologica In Novum Testamentum ex diversorum utriusque linguae codicum collatione adnotationes (Annotazioni sul Nuovo Testamento) Valla mostrava le molte differenze presenti fra tre manoscritti latini e tre greci da lui messi a confronto, oltre ai vari errori nella traduzione dal greco al latino di alcuni passaggi del Nuovo Testamento di capitale importanza per la fede, mandando all'aria la panzana per cui Dio sarebbe l'ispiratore delle Sacre Scritture. Ma c'è di più. Valla mise in dubbio che gli apostoli fossero gli autori del Credo nonché l'autenticità della lettera di Cristo a re Abgar citata da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica. Valla disprezzava la metafisica, la Scolastica, il gergo dei filosofi, la Vulgata di san Girolamo, san Tommaso e Aristotele, criticava i voti di povertà, castità e obbedienza, correggeva gli errori dello storico Tito Livio e sosteneva che Quintiliano fosse un prosatore migliore di Cicerone. E chi osava contraddire (per lo meno su quest'ultimo punto) l'autore dell' Elegantiae linguae latinae, la prima grammatica latina che fosse stata scritta dall'antichità! Valla era unico. A questo punto, a onor del vero, non posso omettere di menzionare un latinista nato poco dopo la morte di Valla, il cardinale Pietro Bembo, che si rifiutava di leggere le epistole paoline per timore che nuocessero al suo latino. Manco fosse stato Caruso che si preoccupava della voce! E se le leggeva nella loro lingua originale, allora? Non temeva, il raffinato Bembo, che nuocessero al suo greco? Perennemente alla ricerca di equivalenti classici agli obbrobri stilistici dei vangeli, Bembo chiamava lo Spirito Santo "l'alito dello zefiro celeste". Io lo chiamo la colomba cagona...

Tornando a Valla, nel suo trattato De voluptate (Il piacere) sosteneva che il piacere fosse il bene supremo e che la prostituta fosse preferibile alla suora, poiché la prima rende l'uomo felice mentre la seconda è stata condannata a un vergognoso nubilato. Sosteneva che la legge contro l'adulterio fosse un sacrilegio, che le donne dovessero essere una proprietà comunitaria e andare in giro nude, e che fosse irrazionale morire per la patria o qualunque altro ideale. E apostrofava il papa in questi termini: "Che t'importa se distruggono il tuo regno? Lo hai già distrutto tu. Se saccheggiano i tuoi templi? Li hai già saccheggiati tu. Se stuprano le nostre vergini e le nostre matrone? Le hai già stuprate tu. Se inondano la città col sangue dei suoi abitanti? L'hai già inondata tu". La sua ultima performance in pubblico testimonia meglio d'ogni altra cosa quale grande provocatore sia stato: nel marzo del 1457 i domenicani lo invitarono a tessere il panegirico di Tommaso d'Aquino nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, nel corso delle celebrazioni per l'anniversario della morte del santo. Ebbene, invece di farne un panegirico Valla denigrò questo vile grassone dall'anima tanto torbida quanto il suo latino. I domenicani non riuscirono a bruciarlo sul rogo perché Dio, che è grande, lo chiamò a sé poco dopo.

Ma Valla non fu un precursore della Riforma. Lo furono invece Wycliffe, Hus ed Erasmo, il principale erede dell'umanesimo di Valla, sebbene con una differenza sostanziale: Erasmo, in ultima istanza, non fu che l'ennesimo fiancheggiatore della Puttana, mentre Valla la sbugiardò e basta. Per trovare qualcuno più lucido di Lorenzo Valla bisogna attendere fino all'ateismo e al sarcasmo antireligioso del barone d'Holbach, quello di Le christianisme dévoilé (Il cristianesimo svelato, del 1761) e del Système de la nature (Il sistema della natura, del 1770). Valla è più grande di Erasmo, nonché il precursore di qualcosa di più grande della Riforma protestante: il Secolo dei Lumi, il grande movimento libertario dell'Occidente che, proseguito dalla Rivoluzione Francese, è stato sul punto di liberarci per sempre della Puttana. Non ce l'abbiamo fatta allora e, fintantoché permetteremo che continuino a nascere i Wojtyla, i Bush e le altre bestie nere della loro risma, non ce la faremo mai.

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Un precursore di Serveto (in quanto demonizzato tanto dai calvinisti quanto dalla Puttana di Roma) che non posso omettere di menzionare tra gli uomini illustri arsi dalla nostra già tante volte menzionata sgualdrina fu il francese Étienne Dolet, un umanista della stirpe di Valla ed Erasmo nonché autore dei Commentarii linguae latinae. Fu incarcerato tre volte perché era ateo e per aver pubblicato un dialogo di Platone che negava l'immortalità dell'anima. La Facoltà di Teologia della Sorbona finì per condannarlo; poi fu torturato e arso vivo sul rogo. Ancora oggi non si sa se Dolet fosse protestante oppure un libero pensatore razionalista e anticlericale o che altro. Quel che è certo è che, per quanto nel corso del XVI secolo cattolici e protestanti si scontrassero in ogni campo, su un punto si erano messi d'accordo: la necessità di far fuori le streghe, gli eretici, gli scettici, i difensori della tolleranza religiosa e gli spiriti liberi che si stavano coraggiosamente lanciando nella grande avventura della scienza moderna. Dolet è stato definito "il primo martire del Rinascimento", ma dipende da quando intendiamo far cominciare il Rinascimento (o far finire il Medioevo). Bruciare vittime impossibilitate a difendersi è stata in ogni caso la grande specialità della Puttana da quando, nel 313, è salita al potere e quella che fino ad allora era stata una religione di stolti si è trasformata in un'impresa di assassini. Fatele spuntare di nuovo gli artigli, e vedrete se non tornano i roghi! Occhio a quella travestita dell'odierna Benedetta, con le scarpette rosse di velluto e quei gonnelloni dal biancore immacolato: è un'inquisitrice nata! La falsità dei gesuiti gliela si legge negli occhi. Al di là di tutte le sue infamie, di una cosa oggi dobbiamo esser grati a quel rude monaco che era Lutero: il fatto di aver spaccato in due la Puttana d'Occidente, un'impresa senza la quale non sarebbero stati possibili né il Secolo dei Lumi né la Rivoluzione Francese né tutti gli altri movimenti libertari venuti in seguito. Senza di lui, forse, dal Rinascimento saremmo risprofondati nel Medioevo, e oggi ci troveremmo in quelle tenebre da cui i musulmani non sono ancora emersi. Contrapposte l'una all'altra, la Puttana protestante della Riforma e quella cattolica della Controriforma si sarebbero strappate il cuore a morsi per fare a gara a chi era la più assassina. Be', la seconda, quella cattolica; l'altra non è stata che un passatempo.

Nel 1534, mentre gli anabattisti espugnavano Münster, Enrico VIII d'Inghilterra dichiarava instaurata nella sua isola la Chiesa anglicana. Nei due anni precedenti aveva sciolto uno dopo l'altro tutti i suoi vincoli con il papato in segno di rappresaglia dopo che Clemente VII aveva rifiutato di annullare il suo matrimonio con la zia di Carlo V, Caterina di Aragona, da cui ebbe la futura Bloody Mary, la sanguinaria Maria Tudor. Nel 1532, con il sostegno del parlamento, costrinse il clero inglese a riconoscerlo come capo della Puttana inglese, sciolse tutti gli ordini monastici e ne distribuì le proprietà tra i nobili in cambio del loro appoggio. L'anno seguente si sposò in segreto con Anna Bolena e la fece incoronare regina da Thomas Cranmer, che aveva appena nominato arcivescovo di Canterbury e che lo aveva aiutato ad annullare il suo matrimonio con Caterina. Giovanni Fisher e Tommaso Moro (canonizzati nel 1935 dalla Puttana cattolica) li fece decapitare a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro perché erano due leccaculo del papa e perché si erano opposti sia al divorzio sia al nuovo matrimonio. E malgrado ciò lui stesso, quando a sua volta era un leccaculo del papa e un fervente cattolico, aveva fatto bruciare sul rogo l'erudito di Cambridge Thomas Bilney e il traduttore inglese della Bibbia William Tyndale perché erano riformisti. Ormai completamente ribelle, proseguì nella sua furia incendiaria e condannò al solito rogo il frate Forest perché era papista e John Nicholson perché era luterano. Poi gli venne il ticchio della decapitazione. E dopo aver decapitato Giovanni Fisher e Tommaso Moro proseguì con la sua bella Anna Bolena, cui fece tagliare la testa accusandola di adulterio con svariati uomini e d'incesto con suo fratello. Si sposò quindi con Jane Seymour, che presto morì nel dare alla luce colui che gli sarebbe succeduto col nome di Edoardo VI. Poi si sposò con Anna di Clèves, dalla quale divorziò immediatamente perché era brutta, per sposarsi con Catherine Howard, ventenne, che poco dopo fece decapitare nella Torre di Londra come punizione per gli amanti che aveva avuto prima del matrimonio. Delle sei mogli che ebbe (tra cui tre Caterine e due Anne) fece chinare la regale testa a una Caterina e a un'Anna. La sua ultima sposa, Caterina Parr, scampò allo sgarbo perché Barbablù fu chiamato al giudizio di Dio. E pensare che, prima di scontrarsi con Roma, questo mostro bizzoso e crudele aveva scritto un libro a difesa dei sette sacramenti (nel quale attaccava Lutero, che disprezzava), l' Assertio septem sacramentorum adversus Martinum Lutherum, che gli fece ottenere dal papa il titolo di "difensore della fede"!

Il figlio avuto da Enrico VIII con Jane Seymour, Edoardo VI, succedette a suo padre all'età di soli 10 anni, per morire di tubercolosi sei anni più tardi e lasciare il posto alla sorellastra Maria Tudor, la summenzionata figlia di Enrico e Caterina di Aragona, Bloody Mary o Maria la Sanguinaria, cattolica come sua madre e dunque devota praticante del rogo: nei cinque anni del suo regno bruciò trecento membri dell'alto clero protestante, tra cui quel ruffiano dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, il vescovo di Worcester, John Hooper, il riformatore Hugh Latimer e il vescovo di Londra, Nicholas Ridley – arsi, questi ultimi, sulla stessa pira a Oxford. A un passo dalle fiamme, Latimer esortava il suo compagno di martirio con queste parole: "Be of good comfort, Master Ridley, and play the man! We shall this day light such a candle by God's grace in England as, I trust, shall never be put out" (Non ti crucciare, maestro Ridley, e comportati da uomo: oggi, per grazia di Dio, abbiamo acceso una candela così luminosa in Inghilterra che credo non sarà mai estinta). Bel consiglio! Non esiste candela che non si estingua, né eroe che non venga dimenticato. Chi ricorderebbe oggi Latimer e Ridley, a parte me e solo perché sto facendo l'inventario dei crimini della Puttana? E andiamo avanti. Giovanna d'Arco non la conto perché, sebbene anche lei sia stata arsa, era solo una pazzerella megalomane che sentiva "le voci".

Proseguiamo dunque con una delle pagine più nere (e più note) della Storia della Puttana, la Notte di san Bartolomeo, l'eccidio dei protestanti francesi, o ugonotti, che ebbe luogo all'alba del 24 agosto 1572 e durante il quale la Puttana cattolica, per mano dei suoi scherani (il re di Francia, Carlo IX, e sua madre, Caterina de' Medici) massacrò a tradimento gli ugonotti di Parigi e quelli che dalla provincia erano convenuti alle nozze di Margherita di Valois, figlia di Caterina, con l'ugonotto Enrico III di Navarra.

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— Bambini, quali sono, in ordine cronologico, i tre santi piromani della Controriforma cattolica?

— In ordine cronologico sono: san Pio V, san Carlo Borromeo e san Roberto Bellarmino.

— E quanti ne hanno bruciati, tra eretici, ebrei, protestanti e streghe?

— Tre miliardi di trilioni di triliardi.

— Non esagerate, bambini: al massimo cento. E per quale altro motivo, a parte aver bruciato dei consimili, san Pio V è degno d'essere ricordato?

— Per aver incaricato l'artista Daniele da Volterra, il Braghettone, di coprire il pistolino agli uomini nudi che Michelangelo aveva dipinto nella Cappella Sistina.

— E com'era san Pio V?

— Grasso, miope, con baffi e barbetta, molto stupido e molto cattivo.

— E san Roberto Bellarmino?

— Molto peggio: un leccaculo del papa che tradì Galileo e lo consegnò all'Inquisizione.

Esatto, un leccaculo del papa e un traditore. Nel suo libro De Romano Pontifice scrisse: "Il papa è il supremo responsabile nelle incerte questioni relative alla fede o alla morale. Se però il papa errasse, ordinando vizi o proibendo virtù, la Chiesa è tenuta a credere che i vizi siano cosa buona, e le virtù malvagie, se non si vuole peccare contro coscienza.

— Cosa vuol dire "peccare contro coscienza", bambini?

— Farsi le seghe pensando alle donne.

— No. Quella è eterosessualità.

E non solo san Roberto Bellarmino consegnò Galileo all'Inquisizione, ma fu anche quello che gettò più legna sul rogo in cui fu arso vivo Giordano Bruno per aver difeso prima di Galileo la tesi copernicana secondo cui la Terra gira intorno al Sole, oltre che per aver sostenuto che le stelle sono dei soli lontani dotati di pianeti propri, che l'universo è infinito, che tramite la negromanzia e la magia si possono evocare le anime dei morti e che la storia della Santissima Trinità è tutta una balla, ossia la vecchia tesi antitrinitaria che era costata la vita a Michele Serveto. Come lui, Giordano Bruno finì al rogo: fu bruciato nella piazza romana di Campo de' Fiori all'inizio del 1600.

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Sabato 2 aprile 2005 (dopo ventisei anni, dieci mesi e diciassette giorni di pontificato durante i quali ha contribuito più di chiunque altro ad aumentare la popolazione mondiale di due miliardi d'individui e ha fatto quasi esplodere il calendario dei santi con i quattrocentottantadue nuovi santi e i milletrecentotrentotto nuovi beati in attesa d'essere canonizzati che la sua mano disinvolta ha creato come per magia) finalmente è morto Wojtyla, il papa più deleterio, perfido e malvagio che questa fottuta terra abbia mai partorito in tutta la sua fottuta storia. Oltre al polacco, con cui la Menzogna l'aveva allattato, era in grado di mentire in undici lingue. Non appena salì al soglio di Pietro per un colpo di fortuna dopo il fugace pontificato di Albino Luciani (che Dio solo sa se non è stato assassinato) mise in moto tutto l'apparato vaticano al servizio della propria vanità, che aveva meno limiti dell'universo. Voleva essere visto, ascoltato, applaudito; voleva sempre stare al centro dell'attenzione di tutti e tutto. E cosa diceva? Stupidaggini. Era omofobo tanto per il gusto di esserlo, a meno che non fosse stato una frocia velata, il che può tranquillamente darsi. L'idea del seme altrui per angustam viam lo faceva diventare pazzo come il Dottore Angelico e l'Inquisizione. Invece se ne strafotteva del fatto che nei mattatoi uccidessero le mucche. Non ha tirato via dalla strada un solo bambino né un cane abbandonato. E quanti bambini con l'AIDS sono nati in Africa mentre lui predicava contro l'interruzione di gravidanza e il preservativo! Però dei settecento milioni di spermatozoi che (per stare bassi) vanno perduti in ogni eiaculazione e delle innumerevoli eiaculazioni che vanno perdute nel corso della vita di ogni uomo questo furfante tonsurato non diceva niente. Viveva in sfarzosi palazzi, circondato da servi e più protetto del tesoro di Tutankhamon. Viaggiava in jet privato, appariva in televisione giorno e notte e inondava il pianeta con la sua immagine bacchettona. Beneficiava spudoratamente dei traguardi della scienza atea che la Puttana che lui rappresentava ha combattuto e ostacolato per secoli, sempre contraria a ogni progresso e a ogni ricerca. Ha amministrato la Puttana come un tiranno e non ha mai tollerato il benché minimo dissenso. Ha sempre viaggiato in jet privato e nella sua oscena agonia durata mesi ha occupato un intero piano del Policlinico Gemelli come fosse stato un principe saudita invece del "più umile tra gli umili" come pretendeva di essere.

In quei ventisei anni, dieci mesi e diciassette giorni durante i quali ha inscenato la farsa della santità ha visitato centotrenta Paesi, duecentosessantanove città italiane e duecentosettantaquattro delle trecentoventotto parrocchie della diocesi di Roma, percorrendo complessivamente un milione e trecentomila chilometri, l'equivalente di più di tre viaggi dalla Terra alla Luna. Ha promulgato tredici encicliche, tredici esortazioni apostoliche, quarantuno lettere pontificie, dieci costituzioni apostoliche e diciannove motu proprio; ha convocato otto concistori e quindici sinodi; ha scritto più di cento documenti, lettere o costituzioni; ha ricevuto più di quattordici milioni di fedeli nel corso di ottocentosettantasette udienze settimanali, alle quali vanno aggiunte cinquecentottantaquattro visite ufficiali di capi di Stato e ottantadue di primi ministri; ha pronunciato duemilaquattrocento discorsi, sermoni o come li volete chiamare; e ha ordinato centocinquantasette nuovi cardinali. Nel corso dei suoi nove viaggi apostolici in Africa ha visitato trentadue Paesi. Degne d'essere ricordate sono le sue visite all'epicentro dell'AIDS: Congo, Zaire e Sudafrica, dov'è andato in giro a demonizzare il preservativo e a dire ai bambini neri senza futuro né genitori che erano "invitati al banchetto della vita". L'idea che l' immissio penis in vaginam sia l'origine di tutte le disgrazie del mondo proprio non gli entrava in quell'ottusa zucca di bacchettone. Devoto alla Vergine Maria, visitò varie volte i suoi santuari di Knock, in Irlanda, di Fàtima, in Portogallo, di Lourdes, in Francia e della Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, in Messico, per controllare gli inesauribili fiumi di denaro che da lì scorre verso le insaziabili casse della Puttana. Il 15 maggio 1995, a Manila, officiò una messa davanti alla più grande concentrazione di bipedi gregari mai registrata dalla Storia: tra i quattro e gli otto milioni di persone. Il 27 ottobre 1986 riunì ad Assisi centoventi rappresentanti di tutte le sette cristiane e delle altre religioni per passare un giorno intero in loro compagnia a pregare e digiunare, sottraendo in questo modo il record di digiuno al presidente del Messico, quel gran farabutto di Carlos Salinas de Gortari, che aveva digiunato dalla colazione al pranzo in segno di protesta perché non l'avevano lasciato rubare abbastanza.

Wojtyla è stato il primo papa a visitare una sinagoga, quella di Roma, il 13 aprile 1986. E nel marzo del 2000 è andato a visitare il memoriale nazionale israeliano dell'Olocausto, lo Yad Vashem, e a fare il divo a Gerusalemme toccando e benedicendo il Muro del Pianto, il luogo più sacro agli ebrei, ai quali ha chiesto perdono per le atrocità commesse dalla Puttana nei loro confronti da quando hanno ammazzato Cristo. Dopo la morte di quel parrocchetto bugiardo, la Lega Antidiffamazione (Anti-Defamation League) ha emesso un comunicato in cui dichiarava che Giovanni Paolo II aveva rivoluzionato i rapporti tra cattolici ed ebrei, e che "i suoi ventisei anni di pontificato avevano apportato un miglioramento più grande di quello avvenuto nei quasi duemila anni precedenti". E cosa vorrebbe dire questa stupida dichiarazione? Che la visita a una sinagoga e il fatto di toccare un muro e di pronunciare qualche parola melliflua cancellano duemila anni di persecuzione, tortura, deportazioni e assassini commessi in nome di Cristo contro gli ebrei? Se così fosse, allora, perché non ripristiniamo il Terzo Reich, che li ha perseguitati soltanto una decina d'anni? Nel maggio del 1999 è stato invitato in Romania dal patriarca Teoctist della Puttana ortodossa rumena, diventando così il primo papa a visitare un Paese prevalentemente ortodosso dai tempi del Grande Scisma del 1054. A quanto pare quello spudorato di Wojtyla si era messo in testa di battere in sfacciataggine tutti i suoi predecessori per entrare alla grande nel Guinness dei primati. Il suo grande sogno era visitare la Russia a caccia di nuovi sudditi, ma non è mai riuscito a realizzarlo. Era arrivato persino a restituire ai russi l'icona della Madonna di Kazan per vedere se lo invitavano. "Il tema della visita del papa in Russia" aveva risposto Vsevolod Chaplin a nome della Puttana ortodossa russa, "è connesso alle questioni tra le due Chiese, attualmente irrisolvibili, e non ha nulla a che fare, come credono i giornalisti, col semplice gesto di restituire uno dei tanti oggetti sacri che sono stati rubati e trafugati illegalmente dalla Russia".

Ha ricevuto quattro volte in udienza privata in Vaticano quel terrorista di Yasser Arafat; una volta il criminale nazista Kurt Waldheim, presidente dell'Austria; e una volta Fidel Castro, cui ha contraccambiato la visita un anno più tardi, legittimando la dittatura con la sua presenza a Cuba. Dov'è che non è andato, dov'è che non ha parlato, quale tiranno o furfante con un briciolo di potere non ha incontrato? Ancora un po' e riusciva ad abbracciare quel genocida di Saddam Hussein, su cui aveva già messo gli occhi. Ha nominato Segretario di Stato (la più alta carica della gerarchia vaticana dopo la sua) Angelo Sodano, amico di Pinochet e complice dei suoi crimini durante gli undici anni in cui era stato Nunzio Apostolico in Cile. Ha canonizzato quell'ipocrita cacciatore d'eredità e truffatore di vedove di José María Escrivà de Balaguer, fondatore della setta franchista dell'Opus Dei e più perverso e tenebroso lui da solo di tutta la Compagnia di Gesù messa assieme. Il suo nunzio in Argentina, Pio Laghi (come ricompensa per il suo sostegno alla guerra sporca in quel Paese, dove aveva l'abitudine di giocare a tennis col dittatore criminale Jorge Rafael Videla), l'ha nominato Pro-nunzio apostolico per gli Stati Uniti d'America e Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica; dopodiché lo ha ordinato cardinale e infine Cardinale Protodiacono. In Nicaragua ha demonizzato quella che definiva "la Chiesa popolare" e nel Salvador ha condannato il cardinale Óscar Romero, le cui denunce contro gli squadroni della morte del suo Paese gli sarebbero costate la vita: un franco tiratore lo ammazzò con un colpo al cuore mentre celebrava una messa presso l'ospedale della Divina Provvidenza e nell'esatto momento dell'eucaristia. La sfilza delle vigliaccate di Wojtyla è infinita.

Alla fine, per continuare a mettersi in mostra, gli è venuta la fissazione di chiedere perdono e si è scusato per un centinaio degli innumerevoli crimini commessi dalla Puttana nei milleseicento anni in cui ha potuto contare su di un potere pressoché assoluto. E così il 31 ottobre 1992 ha chiesto scusa per la persecuzione di Galileo nel 1633; il 9 agosto 1993, per il coinvolgimento della Puttana nella tratta degli schiavi in Africa; nel maggio del 1995, nella Repubblica Ceca, per le vittime dei roghi della Puttana e per le guerre di religione scatenate in seguito alla Riforma protestante; il 10 luglio 1995, in una lettera indirizzata "a tutte le donne", per le ingiustizie commesse nei loro confronti in nome di Cristo, per la violazione dei loro diritti e per la pervicace misoginia della Puttana; il 16 marzo 1998, per la silenziosa complicità del cattolicesimo di fronte all'Olocausto; il 18 dicembre 1999, a Praga, per aver condannato Jan Hus al rogo nel 1415: lo spudorato disse che, "indipendentemente dalle convinzioni teologiche difese da Hus, non si può continuare a negarne l'integrità personale né la volontà di elevare il livello morale della propria nazione". Il 12 marzo 2000, durante una delle "messe del perdono" che si era inventato, ha pianto "per i peccati commessi in ogni epoca dai cattolici che violarono i diritti di gruppi etnici e intere popolazioni, e dimostrarono disprezzo per le loro culture e tradizioni religiose". Il 4 maggio 2001 si è scusato con il patriarca di Costantinopoli per i peccati commessi dai crociati nel 1204 durante la devastazione di quella città cristiana. Il 22 novembre 2001, via Internet, ha chiesto scusa per gli abusi compiuti dai missionari sulle popolazioni indigene del Pacifico meridionale. E l'elenco continua a lungo. Ma la cosa che più mi delizia di tutta questa vigliaccata di nuovo conio è la visita di quello spudorato, il 6 maggio 2001, alla Moschea degli Omayyadi di Damasco, in cui è entrato a pregare e a pontificare e dove nel corso del suo sproloquio ha detto: "Per tutto il tempo in cui i musulmani e i cristiani hanno offeso gli uni gli altri, abbiamo bisogno di chiedere perdono all'Altissimo Dio, e di offrire l'uno all'altro il perdono". E subito dopo quella faccia di bronzo ha baciato il Corano. Per un bacio del genere al Corano nella Spagna dei Re Cattolici o nella Roma di san Pio V lo avrebbero bruciato vivo sul rogo per apostasia. Sono i segni dei tempi. E quale sarà il papa a dover chiedere perdono in futuro per l'omofobia di Wojtyla e per l'infinità di bambini che sono nati per essere abbandonati o malati di AIDS a causa della sua ottusa opposizione alla pillola per l'interruzione di gravidanza e al preservativo in un mondo sovrappopolato? O per gli innumerevoli crimini della Puttana carnivora e bimillenaria contro il nostro prossimo, gli animali?

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Dei due miliardi di esseri umani che si sono aggiunti al pianeta nel corso dei ventisei anni del pontificato di Wojtyla (poco meno di un terzo della popolazione attuale) tutti questi capi civili e religiosi sono suoi corresponsabili, poiché nessuno ha alzato la voce per opporsi alla sua predicazione dissennata e ipocrita. Sono i suoi fiancheggiatori. Se oggi il mondo è un pianeta zeppo di gente dove i poli si stanno squagliando per l'effetto serra, i fiumi sono diventati fogne e il mare un canale di scolo di quelle fogne; se oggi vie e strade sono paralizzate dal traffico, se gli aeroporti sono congestionati, il cielo è congestionato, i telefoni e Internet sono intasati; se il petrolio e l'acqua si stanno ormai esaurendo; e se i tradizionali allevamenti all'aperto di polli, maiali e mucche hanno ceduto il passo alle mostruose fabbriche di carne odierne, dove gli animali vivono e crepano rinchiusi in gabbie anguste sopra il mucchio dei propri escrementi e senza mai vedere la luce del sole, tutto ciò lo si deve a quel papocchio depravato e ai farabutti al potere suoi conniventi che l'hanno compiaciuto. Gli animali non sono mai stati sfortunati come oggi. Ma non dimentichiamo che dietro al papa e agli ayatollah ci sono Cristo e Maometto, che non hanno mai avuto una parola di compassione per loro e alle cui religioni infami oggi appartiene mezza umanità. Come fanno quel pazzo furioso che non è manco esistito e quell'assassino sanguinario a essere i paradigmi dell'umanità, i modelli di ciò che dev'essere giusto e nobile! Bisogna essere privi di morale o ritardati mentali per pensarlo. Cristo e Maometto sono i principali colpevoli dell'incommensurabile sofferenza degli animali.

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L'omelia pronunciata da Ratzinger nella sua messa Pro eligendo Romano Pontifice la mattina di lunedì 18 aprile, ore prima che avessero inizio le votazioni del conclave, è un capolavoro di calcolo e perfidia, un vero modello d'opportunismo. Ciò che disse, in fin dei conti, è che lui non avrebbe rinunciato ai propri ideali per conquistare voti. Lui era per la cultura della vita del defunto papa e contro l'aborto e il preservativo, contro l'ordinazione delle donne, contro la presenza dell'Islam in Europa, contro le nuove sette, contro l'omosessualità, contro il marxismo, contro il liberalismo, contro il modernismo, contro l'individualismo, contro il collettivismo, contro il libertinismo, contro il materialismo, contro il relativismo. Ecco la parola chiave: relativismo. In piedi davanti a un semicerchio di cardinali e di fronte alla basilica gremita di ferventi fedeli domandò: "Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero? Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare 'qua e là da qualsiasi vento di dottrina', appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie". La Puttana Cattolica, Apostolica e Romana era la detentrice della verità e al di fuori di essa non esisteva verità possibile. Al relativismo dei rammolliti Ratzinger contrapponeva l'assolutismo dei forti. La verità assoluta, punto e basta. Al che mi sorge spontaneo chiedere a mia volta: e le cento richieste di perdono avanzate da Giovanni Paolo II negli ultimi anni di pontificato per i crimini della Puttana, allora? Con quelle non ci stava mostrando il relativismo della sua verità? Non esistono verità eterne. La verità cambia nel tempo a seconda di come soffia il vento, e non è un patrimonio collettivo, ma piuttosto un miraggio dell'intimo di ciascuno.

Ma almeno Ratzinger era coerente coi vent'anni passati alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede. Altro è che la sua coerenza l'abbia poi mandata a puttane non appena si è seduto sullo scranno di Pietro, visto che s'è messo subito ad arruffianarsi i musulmani. Quello di Ratisbona è stato un lapsus calami che ha esposto il bugiardo alla luce del sole. È subito andato in Turchia a mettersi in mostra nel miglior stile del suo predecessore e a ritrattare quanto detto a Le Figaro in un'intervista rilasciata pochi mesi prima di assurgere al pontificato, quando non era che un cardinale come tanti: "Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con l'Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell'Unione Europea". Appena diventato papa ha cambiato idea. E non appena atterrato ad Ankara ha promesso al primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan (che con suo grande rammarico e disgusto è stato costretto a riceverlo in aeroporto nel tentativo di strappare il suo sostegno all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea) che non solo poteva contare su di lui, ma che aveva anche intenzione di aderire a quell'Alleanza delle civiltà che Erdogan e il presidente del governo spagnolo avevano appena proposto. E la Lega Santa, allora, i cui accordi stipulati tra san Pio V, da una parte, e Filippo II e le Repubbliche di Genova e Venezia, dall'altra, avevano come scopo la guerra totale contro i turchi e portarono il 7 ottobre 1571 alla battaglia navale di Lepanto nel golfo di Corinto, dove morirono trentacinquemila uomini? E l'altra Lega Santa contro i turchi, allora, formata da Innocenzo XI con l'imperatore Leopoldo I e re Giovanni III di Polonia, che tra il 1683 e il 1688 liberò dal giogo ottomano Vienna, Belgrado e tutta l'Ungheria? Si è trattato di scontri tra civiltà o tra barbarie? Si è trattato di jihad o di guerra santa? Come li definiamo? Pio V attribuì la vittoria di Lepanto alla Vergine Maria e dichiarò il 7 ottobre festa della Madonna della Vittoria. E poi ci vengono a parlare contro la "dittatura del relativismo" e ad affermare che la verità è assoluta e che la sua detentrice è stata, è e sempre sarà la Puttana cattolica! Prima di andarsene in giro per il mondo a mentire, questa sgualdrina farebbe meglio a mettersi anzitutto d'accordo con sé stessa.

Quell'omelia contro "la dittatura del relativismo", che solo una Puttana che ha avuto duemila anni di tempo per raffinare l'arte della simulazione può concepire, ha catapultato Ratzinger al tanto sospirato scranno di Pietro.

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Il 15 ottobre 1978, duemilacinquecento anni dopo Mahavira e in un mondo squilibrato e sull'orlo del caos, è stata solennemente proclamata presso la sede dell'UNESCO, a Parigi, la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale. Il suo testo, emendato nel 1989 dalla Lega internazionale dei diritti dell'animale e pubblicato l'anno seguente, non è solo un capolavoro di chiarezza espositiva, ma costituisce anche una delle più alte espressioni che io conosca della misericordia e della nobiltà d'animo. Le sue frasi concise, incontrovertibili, lucide risuonano da allora come martellate nella coscienza corrotta dell'umanità. Eccone il preambolo: "Considerato che ogni animale ha dei diritti; considerato che il disconoscimento ed il disprezzo di questi diritti hanno portato e continuano a portare l'uomo a commettere dei crimini contro la natura e contro gli animali; considerato che il riconoscimento da parte della specie umana del diritto all'esistenza delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza delle specie nel mondo; considerato che genocidi sono perpetrati dall'uomo e altri ancora se ne minacciano; considerato che il rispetto degli animali da parte dell'uomo è legato al rispetto degli uomini tra loro; considerato che l'educazione deve insegnare sin dall'infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali, si proclama quanto segue..." Quand'è che Cristo e Maometto hanno parlato di "crimini contro gli animali"? Già il concetto di "crimine contro gli animali" contenuto in queste quattro parole segna l'abisso che si allargherà ogni giorno di più tra un'umanità spinta dalla compassione universale e quella coppia di figurine esaltate di cui la prima non è manco esistita e la seconda è stata un deprecabile criminale.

E adesso alcune delle verità che seguono quelle premesse e che all'osceno Wojtyla sono scivolate lungo il suo costume da travestito:

"Articolo 1: Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all'esistenza.

Articolo 2: a) Ogni animale ha diritto al rispetto; b) l'uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto di sterminare gli altri animali o di sfruttarli violando questo diritto. Egli ha il dovere di mettere le sue conoscenze al servizio degli animali; c) ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell'uomo.

Articolo 3: a) Nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti e ad atti crudeli; b) se la soppressione di un animale è necessaria, deve essere istantanea, senza dolore, né angoscia.

Articolo 4: a) Ogni animale che appartiene a una specie selvaggia ha il diritto di vivere libero nel suo ambiente naturale terrestre, aereo o acquatico e ha il diritto di riprodursi; b) ogni privazione di libertà, anche se a fini educativi, è contraria a questo diritto.

Articolo 5: a) Ogni animale appartenente ad una specie che vive abitualmente nell'ambiente dell'uomo ha diritto di vivere e di crescere secondo il ritmo e nelle condizioni di vita e di libertà che sono proprie della sua specie; b) ogni modifica di questo ritmo e di queste condizioni imposta dall'uomo a fini mercantili è contraria a questo diritto.

Articolo 6: a) Ogni animale che l'uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità; b) l'abbandono di un animale è un atto crudele e degradante.

Articolo 7: Ogni animale che lavora ha diritto a ragionevoli limitazioni di durata e intensità di lavoro, ad un'alimentazione adeguata e al riposo.

Articolo 8: a) La sperimentazione animale che implica una sofferenza fisica o psichica è incompatibile con i diritti dell'animale sia che si tratti di una sperimentazione medica, scientifica, commerciale, sia di ogni altra forma di sperimentazione; b) le tecniche sostitutive devono essere utilizzate e sviluppate.

Articolo 9: Nel caso che l'animale sia allevato per l'alimentazione deve essere nutrito, alloggiato, trasportato e ucciso senza che per lui ne risulti ansietà e dolore".

Eccetera, eccetera.


Per farci comprendere lo spirito della dichiarazione, la Lega francese dei diritti dell'animale, fondata nel 1977, ha sviluppato una serie di considerazioni biologiche ed etiche, come quella che afferma che la specie umana non è che una delle tante specie animali del pianeta, nonché una delle più recenti. O quella secondo la quale abbiamo adottato una gerarchia antropocentrica "che ha riservato il termine 'intelligenza' alla specie umana, mentre agli altri animali sono concessi solamente gli 'istinti'. Lo specismo ha portato l'uomo a credere che gli altri animali non provino sofferenza come gli umani. Oggi, invece, è dimostrato che gli animali provano sofferenza fisica come gli umani e che il pensiero animale, in rapporto alla presenza di un sistema nervoso centrale, è molto più complesso di quanto la neurologia avesse ipotizzato in passato: ciò significa che gli animali sono anch'essi soggetti alla sofferenza psichica". O quella secondo cui "la vita non appartiene solo alla specie umana: l'uomo non è né il creatore né l'esclusivo detentore della Vita. La vita appartiene in egual modo ai pesci, agli insetti, ai mammiferi, agli uccelli e alle piante". Dove si colloca in tutto ciò l'incipit della Genesi, in cui il rabbioso Yahweh (alias Allah, alias il Padre) conferisce all'uomo il dominio su tutti gli esseri viventi della Terra? Suvvia, togliamo a Dio la sua maiuscola e mettiamola, come nella dichiarazione dell'UNESCO, alla Vita.

Quand'è che Cristo e Maometto (e i preti, i pastori, i popi, i rabbini, gli ayatollah e i papi) hanno parlato di "diritti degli animali", di "rispetto per gli animali", di "violenza contro gli animali", della "sofferenza degli animali", di "condizioni di vita decorose per gli animali", di "genocidio degli animali", di "dignità degli animali"? A questi depravati quelle nobili idee non sono mai passate per le loro piccole menti ottuse. E non è necessario essere esperti di genetica, di biologia evolutiva, di biologia molecolare o di neuroscienze per percepire la sofferenza degli animali: basta avere due occhi come le mucche, due orecchie come le mucche, due cavità nasali come le mucche, sangue rosso come le mucche e un cervello un po' più complesso di quello delle mucche per riuscire a capire che, per quanto riguarda la sofferenza, le mucche che squartiamo nei mattatoi sono essenzialmente uguali a noi: che provano dolore, angoscia, paura, terrore, sete, fame. Poi, se uno non vuol capire è un altro discorso. L'uomo non può calpestare gli animali né per sport, né in nome della scienza e nemmeno per nutrirsi, e a maggior ragione quelli che appartengono alla nostra stessa classe di mammiferi. E non può allevare polli né alcun animale dotato di un sistema nervoso sviluppato ingabbiandoli e tenendoli in cattività. L'ottanta per cento della popolazione indiana appartiene all'induismo, che vieta di uccidere gli animali. Quella religione vegetariana, senza una gerarchia ecclesiastica né dogmi assoluti, in cui ciascun individuo scopre il modello da seguire che conferisca ordine e senso alla propria vita, ha una storia ininterrotta di tremilacinquecento anni. Se gli indù sono riusciti a vivere tanto a lungo senza mangiarsi gli animali, perché non possiamo riuscirci anche noi? Ogni mucca, ogni cane, ogni cavallo, ogni mammifero è un individuo unico, come ciascun essere umano, con la propria personalità e i suoi ricordi unici e intrasferibili. E certo che esiste una gerarchia tra gli esseri viventi, ma è quella del dolore. Questa gerarchia è determinata dalla complessità dei sistemi nervosi, che corrisponde esattamente, né più né meno, alla capacità di provare sofferenza. Più complesso sarà il sistema nervoso di un animale, più avrà possibilità di soffrire e, di conseguenza, maggior rispetto meriterà da parte nostra.

E tuttavia, prima che nascessero i tre fanatismi semitici dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'Islam, che si attribuiscono il nome di "religioni" e pretendono d'aver dato luogo a delle civiltà, nell'Antichità ci sono stati (e hanno sempre continuato a esserci) uomini di buon cuore che hanno abbracciato gli stessi principi di Mahavira e che, in sostanza, sono quelli della recente dichiarazione dell'UNESCO: Pitagora, Platone, Epicuro, Apollonio di Tiana, Plutarco, Porfirio... E in età moderna Shelley, Thoreau, Tolstoj, George Bernard Shaw, Gandhi...

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