Copertina
Autore Howard Zinn
Titolo Marx a Soho
SottotitoloUn monologo sulla storia
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2001 , pag. 72, dim. 123x195x5 mm , Isbn 978-88-359-5019-6
OriginaleMarx in Soho: a play on history
EdizioneSouth End Press, Cambridge MA, 1999
TraduttoreAlessandro Roggi
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe storia , teatro , politica
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Indice


     7   Premessa

    21   Marx a Soho

    65   Qualche suggerimento di lettura

 

 

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Pagina 7

Premessa


Lessi per la prima volta il Manifesto del partito comunista - che mi era stato dato, ne sono certo, da giovani comunisti che vivevano nel mio quartiere operaio - quando avevo circa diciassette anni. Ebbe su di me un effetto profondo, perché tutto quello che vedevo nella mia vita, nella vita dei miei genitori e nelle condizioni degli Stati Uniti nel 1939 sembrava esservi spiegato, contestualizzato storicamente e posto sotto una potente luce analitica.

Vedevo che mio padre, un ebreo immigrato dall'Austria, con un'istruzione elementare, lavorava come un pazzo, ma riusciva a malapena a mantenere sua moglie e i suoi quattro figli. Vedevo che mia madre lavorava notte e giorno per far sí che fossimo nutriti, vestiti, curati quando stavamo male. La loro vita era una lotta senza fine per la sopravvivenza. Sapevo anche che c'erano nel nostro paese persone che possedevano ricchezze stupefacenti, e che certo non dovevano lavorare duro come i miei genitori. Il sistema era ingiusto.

Intorno a noi, in quel periodo di depressione, c'erano famiglie che si trovavano in condizioni disperate per colpe non loro; non erano in grado di pagare l'affitto, e le loro cose venivano gettate per la strada dal padrone di casa, che aveva la legge dalla sua parte. Sapevo dai giornali che queste cose accadevano in tutto il paese.

Ero un lettore. Avevo letto molti romanzi di Dickens, da quando avevo tredici anni, ed essi avevano risvegliato in me l'indignazione contro l'ingiustizia, la compassione verso le persone vessate dai loro datori di lavoro, dal sistema legale. Nel 1939 lessi Furore di Steinbeck, e quell'indignazione ritornò, questa volta indirizzata contro i ricchi e i potenti del paese.

Nel Manifesto, Marx e Engels (Marx aveva trent'anni, Engels ventotto, e in seguito Engels avrebbe detto che Marx ne era stato l'autore principale) descrivevano quello che vivevo, le cose di cui leggevo, che - ora me ne rendevo conto - non erano aberrazioni dell'Inghilterra ottocentesca o dell'America della depressione, ma una verità fondamentale del sistema capitalista. E questo sistema, per quanto profondamente radicato nel mondo moderno, non era eterno: era sorto in una certa fase storica e un giorno avrebbe abbandonato la scena, sostituito da un sistema socialista. Era un pensiero incoraggiante.

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Pagina 21

Marx a Soho




Una casa illumina parte della strada. Una luce al centro della scena illumina un palcoscenico spoglio, salvo per un tavolo e diverse sedie. Entra Marx, indossando una redingote e un panciotto nero, una camicia bianca, una cravatta floscia nera. È barbuto, basso, tarchiato, con baffi neri e capelli che si stanno ingrigendo; porta occhiali con la montatura in acciaio. Ha con sé una sacca. Si ferma, cammina verso il bordo del palcoscenico, guarda il pubblico e sembra contento, un po' sorpreso.

Grazie a Dio, un pubblico!

Tira fuori dalla sacca il suo equipaggiamento: qualche libro, dei giornali, una bottiglia di birra, un bicchiere. Si volta e cammina verso il proscenio.

Siete stati bravi a venire. Non vi hanno dissuaso tutti quegli idioti che dicono: «Marx è morto!». Be', lo sono... e non lo sono. Eccovi un po' di dialettica.

Scherza volentieri su se stesso e sulle sue idee. Forse si è addolcito in tutti questi anni. Ma proprio quando pensate che Marx si sia rammollito, ecco degli scoppi d'ira.

Vi chiederete come sono arrivato qui... (sorride maliziosamente) ... trasporti pubblici.

Il suo accento è un po' inglese, un po' continentale, non particolarmente pronunciato, ma certamente non americano.

Non mi aspettavo di finire qui... Volevo tornare a Soho. È li che vivevo a Londra. Ma c'è stato qualche disguido burocratico. Eccomi qui, a Soho, a New York... (Sospira) Bene, ho sempre voluto visitare New York.

Si versa un po' di birra, beve un sorso, rimette giú il bicchiere. Il suo umore cambia.

Perché sono tornato?

Sembra un po'arrabbiato.

Per riabilitare il mio nome!

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Pagina 26

Vivevamo a Londra. Jenny e io e i piccoli. Piú due cani, tre gatti e due uccelli. Vivevamo a stento. Un appartamento a Dean Street, vicino al punto in cui sfociavano i liquami della città. Eravamo a Londra perché ero stato espulso dal continente. Espulso dalla Renania, sí, dalla mia terra natale.

Avevo fatto cose pericolose. Dirigevo un giornale, La gazzetta renana. Non particolarmente rivoluzionario. Ma presumo che la cosa piú rivoluzionaria che si possa fare è dire la verità.

In Renania la polizia arrestava i poveri che raccoglievano legna da ardere nelle proprietà dei ricchi. Scrissi un editoriale per protestare. Cercarono di censurare il nostro giornale. Scrissi un editoriale in cui affermavo che non c'era libertà di stampa in Germania. Decisero di dimostrare che avevo ragione. Chiusero il giornale. Solo allora diventammo radicali - non è cosí che succede di solito? Il nostro ultimo numero della Gazzetta aveva un enorme titolo di testa in inchiostro rosso: «Rivolta!»... Questo irritò le autorità. Mi ordinarono di abbandonare la Renania.

Cosí andai a Parigi. Dove altro vanno gli esuli? Dove altro possono sedere tutta la sera in un caffè e raccontare balle su quanto erano rivoluzionari nel loro paese? Sí, se proprio dovete essere esuli, siatelo a Parigi.

Parigi fu la nostra luna di miele. Jenny trovò un piccolo appartamento nel Quartiere latino. Mesi meravigliosi. Ma la polizia tedesca avvertí la polizia di Parigi. Sembra che la polizia sviluppi una coscienza internazionalista molto prima dei lavoratori... Cosí venni espulso anche da Parigi. Andammo in Belgio. Espulso di nuovo.

Andammo a Londra, dove gli esuli giungono da ogni parte del mondo. Gli inglesi sono ammirevoli per la loro tolleranza... e insopportabili per quanto se ne vantano.

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Pagina 46

[...] Credo che Jenny fosse un essere umano molto migliore di me.

Mi invitava a darmi da fare, a impegnarmi per la causa dei lavoratori londinesi. Venne con me quando fui invitato ad aprire il primo congresso dell'Associazione internazionale degli operai. Era l'autunno del 1864. C'erano duemila persone stipate nella St. Martin's Hall. (Fa un passo in avanti, allarga le braccia come a descrivere una grande folla, parla in modo ponderato, incisivo)

«I lavoratori di tutti paesi devono unirsi contro politiche estere criminali che, sfruttando i pregiudizi nazionali, non fanno che sprecare il sangue e i tesori dei popoli in guerre di rapina. Dobbiamo accordarci al di sopra dei confini nazionali per rivendicare le semplici leggi della morale e della giustizia nelle relazioni dei popoli... Lavoratori di tutto fi mondo, unitevi!». .cor (Fa una pausa)

A Jenny piaceva. (Beve)

Lei teneva in piedi la famiglia quando l'acqua era tagliata, quando il gas era tagliato. Ma non perse mai la sua passione per l'emancipazione femminile. Diceva che la vitalità delle donne era infiacchita dallo stare a casa a rammendare calzini, a cucinare. E cosí rifiutava di restare a casa.

Mi accusava di essere un emancipazionista in teoria, ma di ignorare nella pratica i problemi delle donne. «Tu e Engels - diceva - scrivete di eguaglianza tra i sessi, ma non la praticate». Be', non voglio commentare...

Sosteneva con tutte le sue forze la lotta degli irlandesi contro l'Inghilterra. La regina Vittoria aveva detto: «Questi irlandesi sono gente abominevole, sono diversi da qualsiasi nazione civile». Jenny scrisse una lettera ai giornali londinesi: «L'Inghilterra impicca i ribelli irlandesi, che vogliono solo la libertà. L'Inghilterra è una nazione civile?».

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Pagina 65

Qualche suggerimento di lettura



Il capitale è ovviamente l'opera fondamentale di Marx sull'economia politica. Non è necessario leggere il secondo e il terzo libro, a meno che non siate condannati a una lunga prigionia. Né i Grundrisse, che Marx scrisse prima di dedicarsi all'opera principale. Né i tre volumi delle Teorie sul plusvalore, che vi ucciderebbero.

Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, sugli eventi francesi che seguirono la rivoluzione del 1848, è probabilmente l'opera stilisticamente piú vivace di Marx.

Il Manifesto del partito comunista, naturalmente, è breve e gustoso.

Un'eccellente antologia delle opere di Marx e Engels è quella curata da Robert C. Tucker, The Marx-Engels reader, W.W. Norton, New York [in Italia ne sono state pubblicate moltissime, citiamo una delle piú recenti: Il meglio di Marx, a cura di Eugene Kamenka, ediz. italiana a cura di Carlo Oliva, Milano, Oscar Mondadori, 1991].

[...]

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