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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 3 Parte Prima: LO SPAZIO E IL TEMPO 5 l. Dalla relatività galileiana alla relatività generale di Giovanni Boniolo e Mauro Dorato 7 1. Trasformazioni galileiane e fisica classica 7 1.1 La covarianza della meccanica classica 10 Prodotto scalare e prodotto vettoriale 10 Numeri e scalari 10 Funzioni scalari e vettoriali 10 1.2 Campi di forze conservativi 12 Derivata e differenziale di una funzione a più variabili 14 Operatori differenziali 16 Il teorema di Stokes 16 1.3 Non covarianza delle leggi dell'elettromagnetismo classico 17 Equazioni di Maxwell 19 2. La relatività speciale 19 2.1 Le trasformazioni di Lorentz 21 2.1.1 Conseguenze delle trasformazioni di Lorentz 24 2.2 L'intervallo spaziotemporale 28 2.2.1 Linterpretazione geometrica della relatività speciale 34 2.3 Tempo e simultaneità 34 2.3.1 Tempo oggettivo e tempo relativo nella relatività speciale 39 2.3.2 La teoria causale del tempo e la non-esistenza dell'universo in un istante 47 2.3.3 La convenzionalità della simultaneità 54 2.4 La realtà della contrazione delle lunghezze e della dilatazione dei tempi 57 2.4.1 L'esperimento di Michelson e Morley e le sue prime interpretazioni 59 Calcolo della velocità della terra rispetto all'etere 63 2.4.2 Spiegazione causale e spiegazione strutturale degli effetti relativistici 72 2.4.3 Il paradosso dei gemelli 78 2.5 Un po' di matematica: vettori e tensori 79 Vettori e matrici 88 2.6 I quadrivettori 91 2.7 Il problema interpretativo della massa relativistica 93 Calcolo dell'energia cinetica 94 2.8 L'equivalenza fra massa ed energia 102 3. La relatività generale 102 3.1 Le forze inerziali 103 3.2 Il principio di equivalenza 107 3.3 Il principio di covarianza generalizzato 111 3.4 Verso la geometria della relatività generale 115 3.5 La curvatura 118 3.6 La connessione affine 124 3.7 Il tensore energia-impulso 128 3.8 Le equazioni di campo 129 3.9 Il principio di Mach 138 3.10 Il principio di equivalenza debole 140 3.11 Fisica e geometria 140 3.11.1 La "irragionevole" efficacia della geometria nella descrizione del mondo fisico 143 3.11.2 Il platonismo e il realismo geometrico 147 3.11.3 Il kantismo 154 3.11.4 Il formalismo 157 3.11.5 Il convenzionalismo della metrica e la disputa fra sostanzialisti e relazionisti 163 Bibliografia 169 2. Problemi fondazionali e metodologici in cosmologia di Silvio Bergia 171 1. La cosmologia come disciplina scientifica 171 1.1 Osservazioni di natura cosmologica 172 1.2 Osservazioni con valenza cosmologica 179 1.3 La cosmologia teorica: è lecito parlare del tutto? 181 1.4 Leggi e condizioni iniziali 182 1.5 Ruolo peculiare delle condizioni iniziali in cosmologia: una teoria rigida? 185 1.6 Forme possibili del rapporto fra cosmologia e fisica: la subordinazione della cosmologia alla fisica e il Principio Cosmologico 187 1.7 Moti naturali, principio di Weyl, tempo cosmico come tempo degli osservatori del substrato e modelli di universo 189 1.8 Dal principio cosmologico alla soluzione di Friedman-Lemaitre- Robertson-Walker (FLRW) 191 1.9 Intermezzo. La biblioteca di Babele: i problemi dell' infinito spaziale 193 1.10 Dinamica dell'universo nella cosmologia standard: necessità di un inizio e possibili modalità della fine 196 1.11 Forme possibili del rapporto fra cosmologia e fisica: leggi locali e leggi cosmiche 197 1.12 Forme possibili del rapporto fra cosmologia e fisica: la subordinazione della fisica alla cosmología 198 1.13 La teoria dello stato stazionario: il Principio Cosmologico Perfetto e le ragioni della permanenza delle leggi fisiche 201 1.14 La radiazione cosmica di fondo 203 1.15 Un esempio di predittività della cosmologia 206 1.16 L'isotropia della radiazione di fondo e il Principio Cosmologico 206 1.17 Elusione delle condizioni iniziali o ricerca della causa della causa: tentativi di risposta al problema chiave della cosmologia teorica 209 1.18 Un metodo per la cosmologia? 211 2. Problemi e modelli di spiegazione nella cosmologia evolutiva 211 2.1 La storia termica dell'universo 211 2.1.1 L'universo e il secondo principio 212 2.1.2 I paradossi della "morte termica" 214 2.1.3 Il secondo principio dal punto di vista meccanico-statistico e l'evoluzione spontanea come evoluzione verso l'ordine 215 2.1.4 L'apparente contraddizione: la tendenza in atto allo squilibrio. Il caso della biosfera 216 2.15 L'apparente contraddizione: la tendenza in atto allo squilibrio. Il caso generale 217 2.1.6 L'espansíone come spiegazione: il modello dell'espansione incontrollata nel vuoto 220 2.1.7 Meccanismi specifici per la generazione d'ordine con aumento dell'entropia globale 221 2.1.8 L'universo è nato in uno stato di bassa entropia? 223 2.1.9 La bassa entropia iniziale come origine dell'irreversibilità e della freccia del tempo 225 2.1.10 Diramazione successiva di sistemi fuori equilibrio 226 2.1.11 Bassa entropia "iniziale" e iperespansione 227 2.1.12 L'archetipo del processo d'espansione come processo reversibile e le sue risposte 228 2.2 Il Principio Antropico 228 2.2.1 Le espansioni inspiegate fra costanti adimensionali 229 2.2.2 Il Principio Antropico (debole e forte) come proposizione 234 2.2.3 Il valore esplicativo delle proposizioni antropiche 235 2.2.4 La scoperta della criticità dell'universo 236 2.2.5 Finalismo o darwinismo? 239 3. Postfazione 240 Bibliografia 245 3. La descrizione fisica del mondo e la questione del divenire temporale di Massimo Pauri 247 1. Introduzione 254 2. Antefatti storici: il 'principio di ri-presentazione' 258 3. Il 'presente' 267 4. Il 'divenire' 282 5. Il 'tempo fisico' e la sua 'freccia' 287 6. "Se c'è 'divenire' il fisico deve saperlo", ovvero: il 'divenire' impossibile 296 7. Il 'tempo cosmico' 3o3 8. Una ricapitolazione: la 'descrizione fisica' del mondo 316 9. Il 'divenire ritrovato' 330 Bibliografia 335 Parte seconda: LA MECCANICA QUANTISTICA 337 4. I fondamenti concettuali e le implicazioni epistemologiche della meccanica quantistica di Gian Carlo Ghirardi 339 l. La nascita della meccanica quantistica 340 1.1 La crisi della fisica CLassica 342 1.2 La dipendenza della temperatura del "colore" degli oggetti 343 1.3 Gli atomi e le loro proprietà 345 1.4 L'ipotesí di Planck e la successiva elaborazione di Einstein 346 1.5 L'atomo di Bohr e la quantizzazione 348 1.6 L'ipotesi di de Broglie 351 1.7 Il superamento della crisi 352 1.8 Il dualismo onde-corpuscoli 352 1.9 Cenni alle problematiche sollevate dal nuovo schema 355 2. La struttura formale della teoria 356 2.1 Le regole del gioco: un'esposizione semplificata 361 2.2 Un'illuminante descrizione geometrica 362 2.3 Probabilità degli esiti ed effetto della misura nel caso di autovalori degeneri e/o di spettro continuo 366 2.4 Ancora sulla preparazione dei sistemi: stati puri e miscele statistiche 369 2.5 Lo schema generale 371 2.6 Osservabili fisiche e operatori autoaggiunti 374 2.7 Rappresentazione esplicita delle variabili posizione e impulso 380 2.8 L'algebra delle componenti del momento delle quantità di moto 383 2.9 Lo spin dell'elettrone 386 2.10 Valori medi 388 2.11 Scarti quadratici medi 389 2.12 La trattazione degli insiemi statistici e l'operatore statistico 391 2.13 Il processo di evoluzione temporale 393 2.14 L'operatore statistico e la riduzione del pacchetto 396 3. Prime implicazioni concettuali della teoria 396 3.1 Il principio di sovrapposizione 400 Operatoti statistíci associati a insiemi omogenei e disomogenei 400 Valoti medi degli operatori di proiezione nel caso di un insieme statistico 402 3.2 Sovrapposizioni e variabili spaziali 407 3.3 L'indeterminismo 410 3.4 Le relazioni di indeterminazione 413 3.5 L'argomento di Heisenberg 415 3.6 Misure di osservabili compatibili 417 3.7 Primi cenni al dibattito circa l'interpretazione della teoria 423 3.8 Il dibattito Bohr-Einstein: prima fase 429 4. Sistemi composti ed 'entanglement' 429 4.1 Aspetti formali della descrizione dei sistemi composti 430 4.2 Stati fattorizzati e non fattorizzatí 433 4.3 Un utile esempio: gli stati di spin di due particelle di spin 1/2 437 4-4 Stati entangled e ríduzione del pacchetto d'onde 439 4.5 La descrizione formale dei singoli costituenti di un sistema composto: miscele statistiche di prima e di seconda specie 443 5. L'argomento di incompletezza di EPR 444 5.1 Il cosiddetto "paradosso" di EPR 450 5.2 Una prima valutazione delle implicazioni del lavoro di EPR 452 5.3 La reazione di Bohr 454 5.4 Alcuni fraintendimenti dell'argomento di incompletezza 459 5.5 La violazione della località einsteiniana comporta la possibilità di segnali o effetti superluminali? 464 6. Le variabili nascoste 464 6.1 L'idea delle variabili nascoste 466 6.2 Il teorema di impossibilità di von Neumann 469 6.3 La teoria dell'onda pilota 472 Come la teoria di Bohm riproduce le distribuzioni quantistiche in posizione 473 6.4 Alcuni esempi di descrizione "alla Bohm" di processi fisici 477 6.5 La contestualità delle teorie deterministiche a variabili nascoste 482 6.6 La contestualità delle variabili di spín 485 6.7 Le caratteristiche delle teorie e variabili nascoste in sintesi 487 7. La nonlocalità e la disuguaglianza di Bell 489 7.1 La richiesta di località secondo Bell 491 7.2 Il teorema di Bell 491 Derivazione dell'equazíone (7.3) 493 Dimostrazione della (7.5) 495 7.3 Implicazioni per l'argomento di EPR 496 7.4 Un esempio di metafisica sperimentale 500 7.5 Nonlocalità e segnali superluminali 505 7.6 Una prova completamente generale della nonlocalità dei processi naturali 507 Pmva dell'implicazione 1 509 8. Il problema dell'oggettivazione delle proprietà macroscopiche 510 8.1 Il principio di sovrapposizione e i sistemi macroscopici 511 8.2 I processi di misura ideali e l'argomento di von Neuman 514 8.3 Evoluzione quantistica e riduzione del pacchetto 516 8.4 La catena di von Neumann 518 8.5 Una necessaria puntualizzazione 522 8.6 Il celebre gatto di Schrödinger 523 8.7 Difficoltà nel mettere in evidenza le sovrapposizíoni di stati macroscopicamente diversi 524 Sulla distinguibilita di stati puri da miscele statistiche 528 9. Il dibattito attuale sulle implicazioni della teoria 529 9.1 Una prima destinazione delle possibili vie d'uscita: l'ipotesi di completezza della teoria 533 9.2 Completezza della teoria e omogeneità o disomogeneità degli insiemi quantistici 535 9.3 Un sottile modo per associare uno stato puro a un insieme fisicamente disomogeneo: le interpretazioni modali 536 La decomposizione biortogonale degli stati dí un sistema composto 539 9.4 Una prospettiva circa la dismogeneità che chiama in causa l'intera realtà: l'interpretazione a molti universi 542 9.5 Una soluzione che ammette diverse letture: le storie quantistiche 546 9.6 L'oggettivazione come un processo dinamico: approcci dualistico e unificato 548 9.7 La riduzione da parte della coscienza e l'amico di Wigner 551 9.8 Il progranuna di riduzione dinamica 560 10. Conclusioni 564 Appendice: Il linguaggio matematico della meccanica quantistica 564 A.1 Lo spazio di Hilbert Spazi vettoriali lineari, Varietà lineari, Indipendenza lineare e dimensionalità, Un semplice esempio, Spazi metrici, Spazi normati, Distanza, Insiemi ortonormali di stati, Limiti e convergenza, Punto di accumulazione di un sottoinsieme, Insieme denso di stati, Il criterio di Cauchy, Completezza, Separabilità, Spazio di Hilbert, Due importanti esempi di spazi di Hilbert 569 A.2 Sistemi ortonormali Sistemi ortonormali completi, Varietà lineari generate da un insieme di vettori, Somma diretta di varietà lineare, Prodotto diretto di varietà o di spazi vettoriali lineari, Isomorfismo 572 A.3 Operatori nello spazio di Hilbert Trasformazioni nello spazio di Hilbert, Mappe da H in R o in C, Algebra degli operatori, Potenze di operatori e alcuni operatori particolari, Operatori lineari, Parentesi di commutazione, L'aggiunto di un operatore, Proprietà di coniugio, Operatore simmetrico o hermitiano, Operatore autoaggiunto o ipermassimale 577 A.4 Equazione agli autovalori Proprietà generali degli autovalori e degli autovettori, Autovalori ed autovettori di una trasformazione simmetrica, Spettro continuo, autovalori ed autofunzioni improprie 581 A.5 Operatori continui, limitati, unitari e proiettori Operatori continui, Mappe continue da H in C o in R, Operatori limitati, Operatori unitari, Decomposizione di un vettore rispetto a una varietà lineare, Operatoti di proiezione, Somme, prodotti e differenze di operatori di proiezione, Rappresentazione esplicita di un operatore di proiezione, Ordinamento Parziale dell'insieme degli operatori di proiezione, Successioni monotone di proiettori, Successioni di varietà ortogonale e successioni monotone di proiettori 587 A.6 Risoluzioni dell'identità e teorema spettrale Risoluzione dell'identità, Risoluzione dell'identità associata a un operatore autoaggiunto, Risoluzione dell'identità associatta a un operatore autoaggiunto: un semplice esempio, Rappresentaztone spettrale di un operatore autoaggiunto: il caso dello spettro discreto, Teorema di risoluzione spettrale 592 A.7 Commutatività e compatibilità Commutatività e insiemi completi di autostati comuni, Insieme completo di osservabili commutanti 593 A.8 Funzione di osservabile Funzione di osservare secondo Dirac 594 A.9 Operatori di classe traccia e operatori statistici Estensione di un operatore, Estensione di un operatore continuo, L'aggiunto di un operatore continuo definito ovunque, Operatori positivi, Spettro e radice quadrata di un operatore positivo, La traccía di un operatore positivo, Operatore di classe traccia, Alcuni teoremi sugli operatori di classe traccia, Proprietà della traccia, Operatori di proiezione e operatori di classe traccia, Operatore statistico o operatore densità, Proprietà dell'insieme degli operatori statistici, Combinazioni a coefficienti reali e positivi di operatori di proiezione su varietà monodimensionali, Traccia del prodotto di un operatore densità per un proiettore, Risoluzione spettrale e misura di probabilità 600 A.10 Rappresentazioni discrete e continue: diversi modi di caratterizzare lo spazio di Hilbert 603 Bibliografia 609 5. La logica quantistica di Maria Luisa Dalla Chiara e Roberto Giuntini 611 Introduzione 612 1. La nascita della logica quantistica: Garrett Birkhoff e von Johan Neumann 613 Spazi misurabili 618 Teoria dei reticoli 620 Reticoli ortocomplementati 622 2. Astraendo dagli spazi di Hibert: che cos'è la logica quantistica 624 Isomorfismi tra reticoli ortocomplementati 626 3. Che cos'è una logica? 630 4. La logica quantistica ortodossa e le sue anomalie semantiche 633 4.1. Una assiomatizzazione della logica quantistica ortodossa 637 5. Logiche quantisitiche 'unsharp' 637 5.1 L'approccio 'unsharp' 639 5.2 Logiche quantistiche parziali e fuzzy 640 6. Problenii epistemologici 644 Bibhografia 647 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 1Molte volte si incontrano persone che chiedono come si possa fare filosofia della fisica, visto che sono cose ben diverse la fisica che hanno in mente (quella che per sentito dire sta sotto il funzionarnento di una lampadina) e la filosofia che hanno in mente (quella che sempre per sentito dire è connessa con il problema dell'anima). E in effetti così è. L'elettromagnetismo classico e la metafisica cristiana sono due campi del tutto eterogenei. Ma non sono affatto eterogenei la filosofia e la fisica in quanto tali. Tale omogeneità non deve però essere rintracciata nel tentativo fatto da alcuni fisici di risolvere problemi filosofici attraverso l'esperimento o la formalizzazione matematica, né, meno che mai, nel tentativo di qualche filosofo di risolvere i problemi fisici attraverso l'argomentazione. In questo caso più che di mancata omogeneità bisognerebbe parlare di confusione di ambiti, anzi di pericolosa confusione di ambiti. In realtà, il filosofo della fisica cerca di attuare una riflessione filosofica, meglio logico-filosofica, sulla struttura delle teorie fisiche e sui concetti che vi sono contenuti. Inoltre, specie in questi ultimi decenni, il compito del filosofo della fisica si è anche intersecato, e con ottimi risultati in alcuni autorevoli pensatori, con compiti fondazionali. Va da sé che se già il filosofo della fisica che si occupa di riflessione logico-filosofica deve conoscere la fisica - naturalmente oltre che la filosofia o la logica -, quello che si occupa di aspetti fondazionali è quasi necessario che sia un fisico di professione. Dunque, filosofia della fisica come visione logico-filosofica, e talora anche fondazionale, sulla fisica. Quindi una disciplina dove le due culture, quella umanistica e quella scientifica, non solo vanno d'accordo, ma sono entrambe necessarie per tentare di conseguire buoni risultati. Una volta stabilito in generale di che cosa tratti il presente lavoro, è possibile entrare un po' più nello specifico. Segnatamente, in esso i vari autori hanno voluto proporre un primo approccio ai reali e numerosi problemi che la fisica fondamentale contemporaneo presenta. Si faccia comunque attenzione che questo non significa affatto affennare che le teorie considerate superate, quali la meccanica classica, la termodinamica fenomenologica e l'elettromagnetismo classico, non presentino problemi. Tutt'altro; anche all'interno di queste vi sono luoghi teorici densi di nodi logico-filosofici e fondazionali che meriterebbero analisi e lavori specifici. Si sono però privilegiati gli ambiti teorici fondamentali per la comprensione attuale del divenire fisico, ossia ci si è soffermati su relatività e meccanica quantistica. Qualcuno potrebbe osservare maliziosamente che pure queste discipline sono già in un certo senso "vecchie", avendo visto la loro nascita nei primi decenni del secolo XX. Questo è senz'altro vero; ora il fisico teorico indaga il mondo naturale con altre teorie, quali la gravità quantistica o la cromodinamica quantistica. Però, fortunatamente o sfortunatamente, quest'ultime teorie si portano dietro i problemi delle 'vecchie', ossia della relatività e della meccanica quantistica. Anche in quelle "nuove" si ha a che fare con nozioni quali lo spaziotempo. E come poter pensare di abbandonare l'analisi del principio di sovrapposizione, della complementarità, o della relazione fra macroscopíco e microscopico? Forse la fisica teorica contemporanea, oltre a presentare problemi propri, non presenta anche questi? Un problema non è "vecchio" perché molto tempo è passato da quando si è iniziato a discuterlo; caso mai diventa "vecchio" quando è stato definitivamente risolto, o dissolto. Relatività e meccanica quantistica sono la base per la costruzione di buone teorie fisiche contemporanee, per cui capire il valore e le difficoltà delle prime è possedere la necessaria chiave d'accesso per affrontare i problemi e le difficoltà logico-filosofiche e fondazionali delle seconde. Nonostante qualcuno ritenga che non sia necessario conoscere la scienza per poter fare filosofia della scienza, gli autori qui presenti non lo pensano affatto. Per questo, oltre che per la completezza del lavoro proposto, si è voluto accostare un'introduzione fisica all'analisi filosofica dei problemi. In questo modo, si è tentato di superare una lacuna caratterizzante testi già presenti sul mercato che offrono solo un'introduzione alla fisica della relatività o della meccanica quantistica, oppure solo un'introduzione all'analisi filosofica di queste due teorie. In quello che segue sono presenti entrambi gli aspetti e in questo sta la ragione del maggior spazio dato ai due saggi quadro: quello sulla relatività (G. Boniolo e M. Dorato) e quello sulla meccanica quantistica (G. Ghirardí). In essi gli autori si sono sforzati di coniugare una presentazione della parte matematico-fisica con l'esame della discussione filosofica. In questo modo, negli altri tre saggi - uno sui problemi metodologici e fondazionali della cosmologia contemporanea (S. Bergia), uno sul divenire in relazione alla descrizione fisica del mondo (M. Pauri), uno sulla logica quantistica (M. Dalla Chiara e R. Giuntini) - gli autori si sono potuti concentrare sull'analisi logico-filosofica, in quanto gli strumenti tecnici erano già stati, almeno quasi totalmente, approntati. Due, quindi, sono gli obiettivi che questo lavoro si propone: (1) offrire un'introduzione formale alla fisica della relatività ristretta e generale, nonché della meccanica quantistica; (2) presentare un'introduzione ai molteplici problemi logico-filosofici e fondazionali che tale fisica comporta. Le bibliografie finali di ogni capitolo dovrebbero poi permettere al lettore interessato di trovare quelle indicazioni necessarie per approfondire le tematiche discusse nei saggi. Sicuramente questo non è un libro di facile lettura. Ma abbiamo cercato di portare la conoscenza del lettore da una presupposta preparazione liceale fino al livello fisico-matematico che si è ritenuto necessario per la comprensione delle tematiche filosofiche presentate. Quindi richiediamo pazienza al lettore, come d'altronde ogni lavoro filosofico serio ne richiede. Ma se ne avrà, riuscirà anche a godere della gioia di entrare senza scorciatoie, e cioè nell'unico modo possibile, nelle affascinanti e per molti versi ancora aperte problematiche che verranno presentate. G.B. | << | < | > | >> |Pagina 5l. Dalla relatività galileiana alla relatività generaledi Giovanni Boniolo e Mauro Dorato | << | < | > | >> |Pagina 1403.11 Fisica e geometria3.11.1 La "irragionevole" efficacia della geometria nella descrizione del mondo fisico Nel suo saggio introduttivo sulla filosofia dello spazio e del tempo, Wesley Salmon ha definito la filosofia e la geometria due sorelle gemelle (cfr. Salmon, 1980). Tali due discipline non sono solo nate insieme, ma sono rimaste legate durante tutta la loro storia da una relazione molto profonda. Tenendo presente il ruolo fondamentale che la geometria ha avuto anche nella nascita della fisica moderna, sembrerebbe fin troppo ovvio considerare il rapporto tra fisica e geometria come in grado di rivaleggiare con quello menzionato sopra. Sulla scia dell'inaspettato successo della geometria non-euclidea nella descrizione sia della struttura locale del campo gravitazionale che di quella dell'universo a larga scala, nella seconda metà del nostro secolo è stato persino proposto un programma di ricerca che considera la geometria dello spaziotempo come l'entità fondamentale in base a cui spiegare qualsiasi fenomeno fisico (il programma geometro-dinamico di Wheeler). Considerando il fatto che fino al Settecento la fisica veniva definita "filosofia naturale", sembra allora naturale estendere la qualifica di "sorelle gemelle" anche alla fisica e alla geometria, ciò che rende un qualunque approccio critico al problema dei rapporti tra queste due ultime discipline inscindibile da una considerazione filosofica o epistemologica. Se filosofia, fisica e geometria sono tre sorelle gemelle, la prima è quella a cui le altre due debbono guardare per comprendere la loro relazione reciproca. Vorremmo anzi aggiungere che uno degli aspetti più importanti del complesso problema dei rapporti tra fisica e geometria è di natura filosofico-concettuale, perché riguarda la teoria della conoscenza. In particolare, il problema essenziale che cercheremo di introdurre in questa parte è il seguente: come è possibile che la matematica, in particolare la geometria, che sembra una pura invenzione del pensiero umano e che non necessita dunque di esperienze e osservazioni per la verifica delle sue proposizioni, si riveli uno strumento indispensabile per descrivere la natura? Se, seguendo Hobbes e Vico, crediamo che l'uomo non possa comprendere nulla che non abbia fatto lui stesso, com'è possibile che il mondo fisico, che non è stato certo fatto da noi, si lasci descrivere da complicate strutture matematiche che sembrano un puro frutto della nostra immaginazione, e che spesso sono state escogitate per fini totalmente eterogenei? Parafrasando Einstein, ciò che è davvero sorprendente non è solo che il mondo sia conoscibile, ma che lo sia attraverso la matematica. Alcuni esempi storici dell'efficacia della geometria nel descrivere il mondo fisico ci daranno la misura non solo del fascino dell'enigma, ma anche di quanto siamo ancora lontani da una sua soluzione. La straordinaria potenza della geometria euclidea come rappresentazione simbolica del mondo fisico è dimostrata dall'applicazione della teoria geometrica delle coniche alle orbite dei corpi celesti. Tali curve (ellisse, iperbola, parabola, circonferenza) erano state studiate da Apollonio di Perga alcuni secoli prima di Cristo in modo del tutto indipendente da possibili applicazioni al mondo fisico. Quasi duemila anni dopo, la conoscenza puramente astratta delle loro proprietà si rivelò utile per risolvere il problema della forma delle orbite planetarie, che Keplero scoprì essere ellittica e non circolare. L'esempio delle geometrie non-euclidee, inventate nel secolo scorso, e inizialmente guardate con sospetto, è forse ancora più eclatante, dato che, come si è visto, la teoria della relatività generale nella sua forma finale non è altro che una reinterpretazione in termini gravitazionali di una matematica degli spazi curvi già pre-esistente. Tale matematica era stata elaborata inizialmente da Gauss per risolvere un problema relativo ai fondamenti della geometria che era privo di qualsiasi applicazione immediata al mondo reale. | << | < | > | >> |Pagina 1543.11.4 Il formalismoLa dottrina del carattere necessario (a priori) eppure informativo (sintetico) della geometria ricevette un colpo molto duro dalla concezione formalista hilbertiana della matematica. Per riassumere questa concezione con un motto di Einstein, "in tanto la geometria è certa in quanto è vuota, cioè non ci informa sul mondo, e in tanto ci informa su esso in quanto è incerta". In altre parole, per il formalismo, la matematica, e segnatamente la geometria, si divide in una parte pura e in una applicata. La prima costituisce un sistema assiomatico, o calcolo sintattico non interpretato, in cui compaiono termini come 'punto', 'linea retta' e 'tra' (i cosiddetti termini primitivi) il cui significato è dato implicitamente dagli assiomi in cui compaiono. In base a regole deduttive specificate una volta per tutte in anticipo, la geometria pura ci dà un insieme di teoremi derivato in modo puramente logico e non intuitivo dagli assiomi. Questa parte della geometria è a priori ma vuota di significato empirico, e dunque non sintetica nel senso di Kant. È solo collegando tali termini primitivi e tali teoremi con gli oggetti fisici quali i regoli o i raggi di luce che, secondo il formalista, la geometria pura diventa applicata e assume un signfflcato empirico. Il punto centrale è che il modo di correlare gli oggetti matematici della parte pura con gli oggetti fisici è dato, nella tradizione filosofica neopositivista dei Rudolf Carnap, Reichenbach e Ernst Nagel, che furono molto influenzati dal formalismo, da definizioni coordinative, che essendo postulati che assegnano un significato parziale ai termini teorici della teoria, non hanno necessariamente un contenuto fattuale. Per meglío comprendere lo status di queste definizioni coordinative, si ricorderà che è tipico della concezione neo-positivista delle teorie scientifiche il considerare una teoria scientifica come un insieme di enunciati, suddivisi a loro volta in enunciati teorici, enunciati osservativi ed enunciati misti. Come è ovvio dai loro nomi, i primi sono enunciati che contengono solo termini che si riferiscono a entità teoriche, cioè a entità non osservabili direttamente quali elettrone, atomo, molecola, ecc., i secondi contengono termini che denotano grandezze o entità osservabili, mentre i terzi, che sono in genere proprio le definizioni coordinative, contengono entrambi i tipi di termini, perché connettono i termini teorici con procedure empiriche di misura o con entità osservavibili. Per esempio, interpretare 'geodetica tra due punti' come corrispondente a 'cammino di un raggio luminoso nel vuoto' ci dà una definizione coordinativa. Tali definizioni (dette anche leggi ponte, o principi, o regole di corrispondenza) hanno sostanzialmente tre compiti, tutti molto importanti. In primis, esse connettono il formalismo non interpretato con il linguaggio osservativo, e permettono di assegnare dunque un contenuto sintetico alla teoria stessa. Inoltre, a seconda che esprimano un contenuto fattuale o convenzionale, ci permettono di suddividere la scienza in una parte fattuale e indipendente dalle convinzioni umane, e in una non empirica e convenzionale, una distinzione che si richiama in parte a quella kantiana tra contenuto e forma della conoscenza. Infine, esse ci permettono di uscire da un circolo vizioso simile a quello già incontrato nel problema della misurazione della velocità della luce in una sola direzione ("solo andata"). Per esempio, come è stato evidenziato da John Norton a proposito dell'argomento di Reichenbach sulla natura della geometria, da una parte non possiamo sapere se ci sono forze universali finché non conosciamo la geometria dello spaziotempo, ma dall'altra non possiamo conoscere la geometria di quest'ultimo se non sappiamo se ci sono forze universali. Un tale circolo vizioso è infranto proprio dalla scelta di una definizione coordinativa (Norton, 1992, pp.187-188). |
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| << | < | > | >> |Pagina 1702. Problemi fondazionali e metodologici in cosmologiadi Silvio Bergia | << | < | > | >> |Pagina 172l. La cosmologia come disciplina scientifica1.1 Osservazioni di natura cosmologica Nei primi anni sessanta, Arno Penzias e Robert Wilson, due ricercatori della Bell Telephone, stavano studiando, nei laboratori di questa impresa a Holmdel, vicino a Princeton, nel New Jersey, un'antenna usata per le telecomunicazioni via satellite. Per migliorare la qualità delle telecomunicazioni, si deve cercare di eliminare i disturbi, quello che si chiama il rumore radioelettrico. Nel maggio del '64, Penzias e Wilson avevano cominciato a impiegare la loro antenna per misurare il rumore radioelettrico proveniente dallo zenit. Dedotti vari effetti, rimaneva un rumore residuo che risultò ineliminabile. Nell'anno seguente, essi si resero conto che lo stesso rumore era captato da ogni direzione. Inoltre constatarono che non subiva variazioni stagionali. Gradualmente risultò che esso non era prodotto dalla supefficie terrestre, né da qualunque sorgente localizzabile. Si tratta, come il lettore informato avrà capito, della scoperta della cosiddetta radiazione cosmica di fondo, una scoperta di straordinario interesse scientifico, sulla cui rilevanza nello sviluppo della cosmologia contemporanea dovrò tornare. Essa mi interessa qui però per un aspetto che si presta a una considerazione di carattere metodologico. Come ho appena accennato, non risultò possibile individuare per la radiazione in questione alcuna sorgente specifica. In termini suggestivi, ma non per questo scorretti, si può dire che la sua sorgente è l'universo nel suo complesso. Sembra adeguato chiamare osservazioni astronomiche o astrofisiche, che presentino la caratteristica di non riguardare oggetti singoli, osservazioni di natura cosmologica (ONC).
La possibilità, e l'effettiva esistenza, di osservazioni
di questo tipo fornisce un primo indizio circa la
possibilità di individuare una disciplina con un suo proprio
statuto, in grado di distinguerla dall'astronomia e
dall'astrofisica con le quali condivide strumenti e metodi
di osservazione. È lungi da me l'intenzione di procedere a
un'apodittica dettatura di un tale statuto: sono consapevole
dell'esistenza di posizioni che giungono a contestare la
stessa possibilità di una cosmologia scientifica, un tema
sul quale ritornerò difflisamente. Non nascondendo che il
mio scopo finale è proprio quello di indicare l'esistenza di
un metodo caratteristico della cosmologia, mi propongo
piuttosto di perseguirlo seguendo un percorso
spiraleggiante, dove con l'immagine intendo suggerire il
graduale approfondimento e la graduale definizione dei
problemi.
Un'osservazione di natura cosmologíca è da sempre alla portata di tutti i vedenti: il cielo notturno è nero, fatta eccezione per un gran numero di sorgenti puntiformi o comunque (è il caso dei pianeti) molto piccole. L'osservazione ha una natura cosmologica, nel senso che ho tentato di delineare sopra, se, con un'estrapolazione che tutti o quasi sarebbero disposti a fare, ci sentiamo di affermare che un osservatore, ovunque collocato nell'universo, purché al di fuori di una qualsiasi forma di atmosfera, farebbe la stessa osservazione. E d'altra parte l'inferenza è confortata dall'esperienza diretta di un paio di generazioni di astronauti. Questa stessa esperienza conforta anche l'altra inferenza: che, in un cielo privo di atmosfera, anche il Sole splenderebbe in un cielo nero. Un piccolo inciso: il cielo diurno è luminoso perché l'atmosfera diffonde la luce solare. Non sembra legittimo considerare questo asserto come dettato dalla sola osservazione: la conclusione è raggiungibde sulla base dell'osservazione e di conoscenze fisiche. Così è anche allora l'inferenza che osservatori collocati al di fuori di ogni atmosfera osserverebbero un cielo nero. L'esempio (ci dice che forse non esistono ONC pure. Ma a credere che in qualunqute disciplina scientifica esistano dati che si possano considerare assolutamente puri, non "intrisi di teoria", non sono forse rimasti in molti. In questo la cosmologia non può fare eccezione. Osservazioni di carattere cosmologico sono probabilmente sempre tali solo se accompagnate da clausole che siamo disposti a stipulare sulla base delle conoscenze fisiche correnti. Forse che l'osservazione pura di Penzias e Wilson non presuppone la tacita assunzione che la strumentazione usata obbedisce alle leggi note della fisica? Nei due esempi considerati, peraltro, il peso delle clausole che stipuliamo sembra lieve: non per nulla ho voluto sopra parlare di un'estrapolazione che tutti o quasi saremmo disposti a fare; e, d'altra parte, come pure ho voluto sottolineare, abbiamo in quel caso il conforto di osservazioni dirette, sia pure in ambito limitato; quanto poi alla strrumentazione di Penzias e Wilson, porre in dubbio il suo corretto funzionamento equivale a vietarsi la possibilità di ogni ricerca fisica. Diverso è il discorso se da una ONC vogliamo trarre conclusioni su proprietà dell'universo. Chiamerò osservazioni con valenza cosmologica (OVC) osservazioni che potenzialmente permettano di trarre delle conclusioni sull'universo (sull'universo visibile o addirittura sull'intero universo - se pure il concetto ha un senso). Ci si può senz'altro aspettare che l'attribuzione di una valenza cosmologica a una ONC implichi in generale la stipulazione di clausole più forti di quelle testé discusse. Esaminerò qui due casi in quanto permetteranno di raggiungere qualche conclusione interessante. Il primo è proprio quello dell'oscurità del cielo notturno. Si può dimostrare che questo "dato", accompagnato da alcune clausole basate su conoscenze fisiche comunemente accettate, esclude che possano valere congiuntamente le quattro proposizioni seguenti: - l'universo è spazialmente infinito e mediamente omogeneo; - l'universo è esistito da sempre; - le proprietà medie dell'universo sono stazionarie; - l'universo è, su larga scala, statico. La comprensione corretta delle quattro proposizioni richiede qualche precisazione. L'avverbio "mediamente" è necessario in quanto è evidente la disomogeneità spaziale dell'universo su scale anche molto grandi. Questo asserto richiederebbe a sua volta una definizione rigorosa di omogeneità, che intendo rimandare a una tornata successiva della spirale. Basti al momento indicare che la presenza di concentrazioni di materia, nei corpi celesti, ma anche nelle galassie, viola l'omogeneità spaziale, che sarà eventualmente raggiungibile solo su scale così grandi che queste disomogeneità si possano trascurare, un po' come le catene montuose sono un'irregolarità locale trascurabile per chi studia la forma geometrica della Terra. Analoga rilevanza hanno l'aggettivo "medie" nella terza proposizione e l'inciso "su larga scala" nella quarta. | << | < | > | >> |Pagina 1911.9 Intermezzo. La biblioteca di Babele: i problemi dell'infinito spazialeLa questione della finitezza o meno dell'universo è dunque lasciata ancora aperta dalla cosmologia contemporanea. La dinamica dell'espansione funziona ugualmente bene nell'uno come nell'altro caso. Tuttavia un universo spazialmente infinito presenta problemi specifici che rischiano di mettere in crisi le nostre concezioni generali. Innanzitutto esso rimette in discussione il presupposto cardine dell'intera costruzione, e cioè il Principio Cosmologico. A questo proposito, John D. Barrow ha sottolineato che, se la cosmologia ambisce allo status di scienza della natura, basata, come tale, sull'osservazione, «la distinzione fra universo e universo visibile è cruciale [...]. È lo studio di questa regione finita che porta alle nostre leggi di natura, e solo le predizioni teoriche che riguardano questa parte dell'intero universo possono essere, anche in linea di principio, provate vere o false». Se l'universo è infinito, «l'universo visibile, finito, sarà sempre nient'altro che un frammento infinitesimo, e forse non rappresentativo del tutto» (Barrow, 1988, p. 259). Se questo è vero, il principio cosmologico non può che presentarsi «solo come un enunciato sul contenuto dell'universo visibile» (Ivi, p. 260). A questo problema, fondamentale dal punto di vista fondazionale, si affiancano due considerazioni inquietanti: 1) in un mondo infinito, nelle parole dello stesso Barrow, «qualsiasi cosa possa accadere, accadrà certamente» (Ivi, p. 262); 2) qualsiasi oggetto, o evento, può avere una replica (in effetti, infinite repliche). Il primo aspetto è stato intuito, con la sua intuizione visionaria, da Luis Borges nella sua "finzione" La biblioteca di Babele (Borges, 1941), non a caso citata da Tullio Regge (cfr. Regge, 1994): «L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali [...] A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero [...] È ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze [...] la Biblioteca è totale [...] i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici [...] cioè tutto ciò ch'è dato di esprimere, in tutte le lingue [...]» (Borges, 1941, pp. 680 e segg.). Il secondo punto è logicamente distinto dal primo. Proviamo a trasmetterne il senso con un esempio. Siamo probabibnente disposti ad accettare che, nell'universo visibile, esistano innumerevoli altri sistemi solari; nel caso di un universo sufficientemente grande, siamo probabilmente disposti ad accettare che esistano sistemi solari con lo stesso numero di pianeti; sistemi solari con pianeti "simili" a quelli del nostro sistema e susseguentisi nello stesso ordine; e, via via; ... ; ma se non c'è limite al numero dei corpi celesti dell'universo, non c'è limite alle possibilità realizzabili, e si deve accettare l'idea che esista almeno un sistema solare del tutto identico al nostro, e, fatto questo primo passo, accettare l'idea che ne esistano di fatto infiniti. Così come l'idea che in uno, anzi in infiniti di essi, vi sia qualcuno intento alla nostra stessa opera. Le conclusioni delineate, tuttavia, non sono così necessarie come si tende talvolta a presentarle. Sopra ho deliberatamente sottolineato che ogni oggetto può avere una replica. Ma, ricorda giustamente Barrow (Barrow, 1988, p. 262), le considerazioni fatte, per essere vincolanti, richiedono la completa casualità degli eventi; l'universo deve essere assimilabile a un numero irrazionale piuttosto che non a un numero razionale periodico. | << | < | > | >> |Pagina 2362.2.5 Finalismo o darwinismo?La domanda cruciale è: vogliamo inferire qualche considerazione ulteriore dalla pura constatazione che l'universo è critico nel senso appena detto? È quando ci addentriamo per questa strada che il messaggio trasmesso dal principio antropico diventa più suggestivo, e perfino inquietante, ma anche più ambiguo. Sosterrò qui la tesi che sono possibili a rigore due soli atteggiamenti di fronte alla constatazione di cui sopra: uno sposa il punto di vista che compito della scienza è spiegare l'esistente, e, darwinianamente, cerca di riscontrare nella storia dell'universo le cause (efficienti) che l'hanno resa possibile; l'altro è necessariamente teleologico e, come tale, non certo proibito ma semplicemente estraneo alla scienza. Di sicuro, i due atteggiamenti sono antitetici. E credo che buona parte delle presentazioni del principio antropico risultano oscure perché non riescono a far chiarezza neanche su questo punto fondamentale. Sembra opportuno cominciare la nostra discussione da dove necessariamente devono cominciare a diramarsi i due punti di vista: dalla sensazione di meraviglia che ci pervade al constatare come l'ambiente in cui viviamo, mediamente, e quindi prescindendo dalla considerazione di luoghi come i deserti freddi o caldi, sia adatto alla vita, in particolare alla nostra. Ne nasce, anche in spiriti non religiosi, la sensazione inquietante che una sorta di congiura cosmica abbia operato per produrre questo tisultato. L'avvento del darwinismo, tuttavia, ha comportato anche una profonda modifica di questo atteggiamento. Nessuna meraviglia se la biosfera si dimostra adatta ad ospitare la vita dell'uomo: se essa non avesse raggiunto, nel corso della sua evoluzione, uno stato favorevole allo sviluppo di quanto alla vita è necessario, non avrebbe potuto aver luogo il processo evolutivo che ha portato all'uomo. Ha scritto, mi sembra molto efficacemente, Lars Gustafsson: la concezione dell'origine della specie «a cui Charles Darwin ha dato una forma definitiva [...] afferma che certi sistemi come gli organi interni dei mammiferi, per esempio, non siano fatti come sono perché [causa finalel qualcosa li ha obbligati a prendere la forma più adatta, bensì perché [causa efficiente] le modificazioni delle condizioni esterne hanno fatto da filtro alla moltitudine di evoluzioni teoricamente possibili, facendo passare solamente le forme atte a sopravvivere e a trasformarsi lentamente [...] Il principio di finalità era stato condotto dallo statuto di principio universale a quello di semplice relazione tra un sistema biologico e il suo ambiente naturale transeunte. La finalità poteva essere trasformata in un normale rapporto di causalità» (Gustafsson, 1990). Proviamo a trasferire queste considerazioni dall'ambito della biosfera a quello cosmologico, come inquadrato nel modello standard del big bang caldo. Un insieme di considerazioni può portarci a una meraviglia perfino maggiore di quella che coglieva l'uomo pre-darwiniano di fronte al miracolo dell'ambiente terrestre. È solo un incredibile insieme di circostanze favorevoli, come abbiamo visto, che rende il cosmo quale lo conosciamo, o descriviamo, adatto a ospitare una vita cosciente basata sul carbonio. A quanto ho ricordato sulla nucleosintesi del carbonio, si possono aggiungere alcune considerazioni riguardanti la nucleosintesi primordiale. Si può ricordare, a questo proposito, per non fare che qualche esempio, che accanto al deutone, stato legato di neutrone e protone, tenuto insieme dall'interazione cosiddetta "forte", è concepibúe uno stato legato di due protoni; per la sua esistenza sarebbe sufficiente che l'interazione forte fosse appena un po' più intensa, in modo da poter vincere la repulsione elettrostatica fra i due protoni (Barrow e Tipler, 1986, p. 322). Come sottolineano Barrow e Tipler, l'esistenza di questo stato legato, il diprotone, avrebbe conseguenze catastrofiche: infatti tutto l'idrogeno dell'universo sarebbe "bruciato" in elio durante le fasi iniziali del big bang, e non vi sarebbero oggi neppure le stelle in cui compiere la nucleosintesi degli elementi pesanti. Né è essenziale solo l'intensità delle interazioni forti: se il rapporto fra le intensità delle interazioni forti ed ellettromagnetiche fosse leggermente diverso, a parità delle altre condizioni, e dunque anche assumendo una fisica che permette i nuclei di carbonio, non potrebbero esistere gli atomi di carbonio, e dunque neanche i fisici nel cui corpo si trovano tali atomi (Ivi, p. 5). Gli esempi (al solito, si tratta di controfattuali antropici) di questo genere si moltiplicano: i testi citati fin qui ne presentano innumerevoli. Ed è difficile non lasciarsene suggestionare, al punto da lasciarsi condurre a una visione neofinalistica, che potrebbe essere epressa in questi termini: «L'esistenza della vita nell'universo è resa possibile da una tale serie di circostanze concatenate, che essa appare il frutto di un progetto». Ma il finalismo ha un carattere immediatamente ascientifico. Possiamo anche nutrire un credo finalistico, ma esso deve restare estraneo al nostro modo di sentire e operare come uomini di scienza. Non solo, ma un'asserzione di finalismo è conclusa in sé, non contiene, per così dire, nient'altro che il suo enunciato, è un discorso senza seguito. Se si vuol restare in ambito scientifico, sembra dunque inevitabile che si debba sposare anche in cosmologia il punto di vista darwiniano, che, ridotto al nocciolo, significa sostituire cause finali con cause efficienti, e dunque si accontenta, in questo caso, della conclusione che non solo la vita non avrebbe potuto nascere che in un universo adatto, ma che essa non avrebbe potuto nascere senza un universo. D'altra parte, ogni forma di finalismo deve oggi fare i conti col fatto che l'evoluzione biologica, nel generare ordine e informazione, lo fa in un modo essenzialmente impredicibile. Possiamo concludere la discussione in questi termini: se adottiamo il punto di vista darwiniano, la scoperta che i valori osservati di tutte le quantità fisiche e cosmologiche assumono valori ristretti dal requisito che esistano luoghi ove si possa evolvere una vita basata sul carbonio è ricondotta alla considerazione che, se così non fosse stato, non si sarebbe prodotto il processo evolutivo che osserviamo. "Scoperta" e assunzione del punto di vista non aggiungono peraltro nulla al principio antropico (forte) né come proposizione controllabile, né come proposizione che ambirebbe ad avere valore esplicativo. Le uniche novità stanno nella scoperta e nell'adozione del punto di vista, ma né l'una né l'altra configurano necessariamente alcun reato di apostasia rispetto al quadro teorico ed epistemologíco esistente, e non comportano necessariamente l'abbandono dell'atteggíamento laico, che, fino a prova contraria, scarta come ridondante e non pertinente ogni finalismo nelle scienze della natura. L'adozione di un punto di vista finalistico, d'altra parte, sembra individuare l'unica alternativa logicamente possibile all'adozione del punto di vista darwiniano. È il caso di sottolineare che si tratta di un'alternativa totale, di un atteggiamento antitetico, e non certo di una variante o di una sorta di integrazione. Questa conclusione dovrebbe essere, ma non pare che sia, ben chiara a tutti. A che si deve allora la convinzione che il principio antropico costituirebbe una sorta di ribaltamento pressoché totale della visione copernicana, intesa come quella che toglie l'uomo dal centro dell'universo, sia in senso geometrico sia nel più ampio dei sensi traslati, e reintrodurrebbe elementi di finalismo nella nostra visione del cosmo? Si deve alla prassi consueta di lasciare quasi inavvertitamente strisciare nei discorsi l'idea che il principio antropico dia una vera spiegazione in termini causali. E in effetti, su buona parte delle considerazioni che si fanno in questo ambito, aleggia, inespressa, la domanda che cerca una causa: "Perché?". E, quel che è peggio, si lascia sviluppare nel lettore la sensazione che essa abbia trovato una risposta. Ed ecco allora che il PAF non è più letto come esprimente la scoperta di una correlazione, ma come esprimente una spiegazione causale che, nel contesto, non può essere che finalistica. |
| << | < | > | >> |RiferimentiBibliografia Testi di relatività e cosmologia Bertotti B. (1980), La cosmologia, Le Monnier, Firenze. Ellis G.F.R., Williams R. (1988), Flat and curved space-times, Clarendon, Oxford. Harrison E.R. (19895), Cosmology, Cambridge University Press, Cambrídge 1981. Misner C.W., Thorne K.S., Wheeler J.A. (1973), Gravitation, W.H. Freeman and Co., San Francisco. [...] Testi di fisica di riferimento Reif F. (1964), La Fisica di Berkeley 5 - Fisica Statistica, Zanichelli, Bologna 1974. Zemansky M.W. (1957), Calore e termodinamica, Zanichelli, Bologna 1970. Testi sullo sviluppo storico della cosmologia Bergia S. (1995a), Dal cosmo immutabile all'universo in evoluzione, Bollati Boringhieri, Torino. Braccesi A. (1988), Esplorando l'universo, Zanichelli, Bologna. Kragh H. (1966), Cosmology and Controversy. The historical development of two theories of the Universe, Princeton University Press, Princeton, New Jersey. Merleau-Ponty J. (1965), Cosmologia del secolo XX, il Saggiatore, Milano 1974. North J.D. (1965), The Measure of the Universe, Oxford University Press, Oxford; ried., Dover, New York 1990. Altri resoconti di carattere storico Riferimenti storici generali Testi filosofici e saggi critici Agazzi E. (1995), Filosofia della natura. Scienza e cosmologia, Piemme, Casale Monferrato. Barrow J.D. (1988), Il mondo dentro il mondo, Adelphi, Milano 1991. Bergia S. (1995b), Su alcune cose in cielo e terra delle quali potrebbe sognare di occuparsi la nostra filosofia, in 'Nuova Civiltà delle Macchine'. Bertotti B. (1982), Cosmologia, scienza peculiare, in G. Toraldo (a cura di), Il problema del cosmo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, pp. 81-92. Bertotti B. (1990), Cosmology, a peculiar science, in B. Bertotti et al. cit. Davies P.C.W. (1988), The Accidental Universe, Cambridge University Press, Cambridge. Ellis G.F.R. (1989), Major themes in the relation between philosophy and cosmology, relazione su invito alla Third Venice Conference on Cosmology and Philosophy, 15-16 dicembre, prepirnt S.I.S.S.A. 8A. Layzer D. (1990), Cosmogenesis, Oxord University Press, Oxford. [...] Fonti primarie della cosmologia moderna e contemporanea Bondi H. (1960), Cosmology, Cambridge University press, Cambridge. Bondi H., Gold T. (1948), The steady-state tbeory of tbe expanding universe, in "Monthly Notices of the Royal Astronomical Society", n. 108, p. 252. Einstein A. (1917), Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale, in A. Einstein, Opere Scelte, Bollati Boringhieri, Torino 1988. Friedmann A. (1922), Über die Krümmung des Raumes, in "Zeitschrift für Physik", n. 21, p. 326; trad. ingl. On the curvature of space, in J. Bernstein, G. Feinherg, Cosmological Constants, Columbia University Press, New York 1986, pp. 49-58. [...] Articoli e saggi sugli sviluppi recenti [...] Testi su argomenti cosmologici di particolare interesse epistemologíco [...] Testi sulla gravità quantistica e il problema delle condizioni iniziali [...] Sulle origini dell'irreversibilità e la storia termica dell'universo [...] Sul principio antropico [...] Raccolte di articoli e attí e opere di riferimento [...] Opere letterarie [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 3374. I fondamenti concettuali e le implicazioni epistemologiche della meccanica quantisticadi Gian Carlo Ghirardi l. La nascita della meccanica quantistica Ci accingiamo a percorrere il cammino che ha portato, nel primo quarto del nostro secolo, all'elaborazione di quella genuina rivoluzione scientifica rappresentata dalla meccanica quantistica, lo schema concettuale che, assieme alla teoria della relatività, sta alla base di tutta la modeena visione del mondo. Raramente la nascita di una nuova teoria è stata altrettanto travagliata, ha richiesto cos' rilevanti sforzi da parte di alcune delle più brillanti menti di tutti i tempi e, pur avendo registrato un successo sul piano predittivo ineguagliato da ogni altro schema teorico nella storia della scienza, ha suscitato un così vivace e appassionante dibattito e controversie così accese circa il suo vero significato. Questi fatti non risulteranno sorprendenti allorché avremo acquisito una certa familiarità con i radicali cambiamenti circa la visione dei processi fisici che sono risultati necessari per inquadrare in uno schema coerente la fenomenologia che andava emergendo nel corso delle indagini sui sistemi microscopici. Conviene precisare subito la linea che seguiremo nella presentazione del nostro tema. Questo primo paragrafo avrà un carattere radicalmente diverso da quelli che seguiranno. In esso ci limiteremo a indicare in termini non tecnici i fatti salienti che hanno posto in evidenza, nel periodo di transizione tra il secolo scorso e quello presente, l'insufficienza degli schemi concettuali classici per rendere conto di alcuni processi fisici di notevole interesse, tratteggeremo l'articolata linea di pensiero che ha portato a identificare aspetti insospettati del mondo fisico, analizzeremo le ipotesi, talora contraddittorie e/o non precisamente definite che sono state avanzate per superare le difficoltà sopra menzionate, fino a delineare l'epilogo di questo sofferto processo rappresentato dalla formulazione di due versioni del nuovo schema teorico, che solo successivamente verranno riconosciute come equivalenti. Elencheremo anche alcune caratteristiche salienti e alcuni aspetti della teoria che si sono subito rivelati problematici. | << | < | > | >> |Pagina 3401.1 La crisi della fisica classicaCome già menzionato, il prologo della vicenda che ci accingiamo ad analizzare si può identificare nella fondamentale incapacità degli schemi concettuali "classici" di rendere conto di alcuni basilari fenomeni fisici. L'elenco completo risulterebbe estremamente lungo ed un'analisi esauriente richiederebbe la considerazione di sofisticati effetti fisici e trattazioni tecniche estranee allo spirito di queste prime pagine. Ci limiteremo perciò a descrivere alcuni processi elementari che non ammettono spiegazione all'interno della concezione "classica" dell'universo fisico. Prima di proseguire vale la pena di precisare che in questo testo espressioni quali "la concezione classica del mondo", o altre equivalenti, devono intendersi riferite a quel corpo di conoscenze elaborate nel lungo corso dell'evoluzione del pensiero scientifico dalla rivoluzione galileiana al 1800 e compendiate nei due pilastri della fisica del secolo scorso, vale a dire la meccanica e l'elettromagnetismo. La meccanica classica, nata dalle profonde intuizioni di Galileo e concretatasi grazie alla geniale opera di Newton nel XVII secolo, ha trovato la sua espressione più raffinata e generale nei lavori di Joseph Louis de Lagrange e di William Rowan Hamilton nei due secoli successivi. Questa superba teoria tratta, come ben noto, del movimento dei corpi materiali come determinato dalle forze che agiscono su di essi. Tali forze si manifestano quali attrazioni (o repulsioni) mutue tra particelle individuali e governano i loro movimenti nei più minuti dettagli. Come ben noto la meccanica classica ha consentito l'unificazione di fenomeni apparentemente diversissimi; basterà ricordare che essa implica che il moto dei pianeti nei cieli è governato dalle stesse identiche leggi che regolano la caduta di un oggetto qualsiasi sulla Terra. Vale anche la pena di menzionare che mentre in un primo tempo gli scienziati pensavano che i processi fisici che coinvolgono scambi di calore non rientrassero nell'ambito della meccanica, proprio nel XIX secolo fu possibile mostrare che i processi termici trovano la loro origine nei moti disordinati dei costítuenti della materia. In altre parole, la meccanica vide in questo secolo uno dei suoi più grandi trionfi quando, grazie all'opera geniale di Josiah Williard Gibbs, Ludwig Boltzmann e di James Clerk Maxwell, essa portò a un'ulteriore unificazione dei fenomeni naturali fornendo una spiegazione meccanica dei processi termodinamici. | << | < | > | >> |Pagina 56010. ConclusioniSiamo giunti alla fine del capitolo e sembra appropriato aggiungere alcune considerazioni conclusive. Abbiamo ripercorso la strada che dagli inizi del secolo ha condotto la comunità dei fisici a elaborare quella vera rivoluzione scientifica e concettuale che è rappresentata dalla meccanica quantistica. Questo appassionante percorso si è articolato in cinque fasi che, anche se non sono state identificate chiaramente, non saranno certamente sfuggite al lettore attento. Abbiamo esordito illustrando le difficoltà che la comunità scientifica ha dovuto affrontare agli inizi del secolo e mostrando come, attraverso intuizioni geniali e fortunate ipotesi, passando da momenti di grande frustrazione a entusiastiche speranze, da profondi sconforti a uno stupore quasi estatico, un ristretto gruppo di scienziati geniali abbia saputo sollevare il velo che nascondeva aspetti sorprendenti del mondo reale. Successivamente abbiamo analizzato il dibattito che si è acceso attorno all'interpretazione della teoria la quale andava incontrando un successo dopo l'altro e aveva ormai acquistato una sua struttura precisa di estrema eleganza formale ma che, al tempo stesso, poneva seri problemi a chi guardasse con un atteggiamento critico alla concezione circa la conoscenza scientifica che essa sembrava implicare, rifiutandosi in particolare di assumere una posizione puramente strumentalista. I giganti di questa titanica sfida sono due delle figure più significative del nostro secolo: Niels Bohr e Albert Einstein il cui dialogo-scontro è stato ampiamente analizzato. Abbiamo visto come il confronto tra queste due figure eccezionali, che ha coinvolto direttamente anche gli altri celebri protagonisti di questa incredibile vicenda intellettuale, da Heisenberg a Schrödinger, da Born, Pauli, Jordan e von Neumann a de Broglie e Bohm abbia portato a focalizzare sempre meglio i veri problemi della teoria e abbia costretto i vari pensatori a uscire allo scoperto, prendendo posizioni via via più precise e definite. Le vicende analizzate forniscono anche un'interessante materia di riflessione per coloro che si interessano dell'evoluzione del pensiero scientifico. Si è sottolineato come l'accettazione acritica dell'ideologia di Copenaghen abbia rappresentato un freno per lo sviluppo di nuove idee, per l'elaborazione di proposte alternative e addirittura per la comprensione dei rivoluzionari aspetti del reale che stavano emergendo. È risultato molto difficile per voci dissenzienti farsi prendere sul serio, è stato troppo facile per chi condivideva la posizione "vincente" far accettare come inequivocabilmente stabiliti fatti e principi che avrebbero richiesto un'indagine più seria e approfondita. Nei paragrafi 5, 6 e 7 abbiamo visto il ruolo essenziale di un genio come Einstein e di un lucido pensatore profondamente motivato come Bell per consentire un reale salto di qualità nella comprensione delle più riposte implicazioni della teoria e quindi dei peculiari aspetti del mondo reale. | << | < | > | >> |Pagina 562Sul versante più vicino allo spirito di questo testo, quello concettuale, vale la pena di interrogarci su cosa potrebbero riservare gli sviluppi futuri delle ricerche più recenti. Una prima osservazione si impone. Tra le proposte analizzate per superare le difficoltà del forinalismo, quelle che richiamano maggiormente l'interesse di coloro che sono seriamente impegnati in questo campo sono quelle che vengono ormai classfficate, utilizzando il felice titolo di un recente convegno tenuto a Bielefeld lo scorso anno, come "Teorie quantistiche senza osservatori", a indicare appunto che esse non vogliono attribuire alcun ruolo peculiare all'osservatore cosciente. Tra queste si collocano la teoria di de Broglie e Bohm, le Storie Quantistiche e i Modelli di Riduzione Dinamica.Con riferimento al primo e al terzo di questi approcci è doveroso dichiarare che anche se essi si configurano come perfettamente coerenti al livello della trattazione di questo capitolo, cioè quello nonrelativistico, essi non risultano facilmente generalizzabili in senso relativistico. Indagini in questo senso sono tuttora in corso e hanno portato ad alcune interessanti proposte che meritano considerazione in quanto hanno gettato una nuova luce sugli imbarazzanti aspetti (dal punto di vista della teoria della relatività) del processo di riduzione. Per questi temi facciamo riferimento ai recenti lavori di Duerr, Goldstein e Zanghí e di Grassi assieme all'autore di questo capitolo (Ghirardi e Grassi, 1995, Ghirardi 1996). Con riferimento al programma di riduzione dinamica è anche importante menzionare che Roger Penrose si muove lungo linee che sono molto vicine, nello spirito, a quella di questo programma ma che egli si propone un obiettivo molto più ambizioso e affascinante, cioè quello di risolvere simultaneamente i problemi della teoria quantistica che abbiamo analizzato e quelli della teoria quantistica della gravitazione. Inutile dire che ogni passo avanti lungo questa linea potrebbe portare al superamento del carattere fenomenologico del modello di GRW e all'elaborazione di una teoria con solide basi concettuali. Sfortunatamente per ora non è risultato possibile esibire esplicitamente alcun modello che rappresenti una precisa implementazione di queste stimolanti idee. Inutile dire ceh tutti i tentativi che ho appena elencato si muovono nella direzione di una posizione di realismo scientifico. Per concludere non ci resta che sottolineare una volta di più come la sfida concettuale che abbiamo illustrato nella parte finale del capitolo ci sembra di grande interesse. E ci sembra opportuno sottolineare, da un lato, i nuovi titanici sforzi che questa sfida richiederà a chi è impegnato in questo campo e, dall'altro, lo stimolo che queste ricerche offrono in quanto lasciano intravedere la possibilità di cogliere nuovi, insospettati aspetti della realtà. Penrose stesso ha espresso recentemente una posizione, un programma e delle aspettative che condividano pienamente: «Io propendo per cercare di salvare sia il realismo quantistico che lo spirito della concezione spazio-temoorale della relatività. Ma questo richiederà un cambiamento radicale del nostro modo di rappresentarci la realtà fisica,... un cambiamento profondo dei nostri punti di vista, che rende addirittura estremamente difficile immaginare ora quale potranno essere le sue caratteristiche specffiche. Per di più esso, senza alcun dubbio, sembrerà folle!». |
| << | < | > | >> |RiferimentiBibliografia Aicardi F., Borsellino A., Ghirardi G.C., Grassi R. (1991), Dynamical models for state-vector reduction, do they ensure tbat measurements have outcomes?, in "Foundatíons of Physics Letters", n. 4, pp. 109-128. Albert D. (1992), Quantum Mechanics and Experience, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, in corso di traduzione da Adelphi. Albert D., Loewer B. (1988), Interpreting the many-worlds interpretation, in "Synthese', n. 86, pp. 87-98. Albert D., Vaidman L. (1988), On a proposed postulate of state-reduction, in "Physics Letters", n. A139, pp. 1-4. Aspect A., Dalibard J., Rogers G. (1982), Experimental tests of Bell's inequality using time-varying analyzers, in "Physical Review Letters", n. 49, pp. 1804-1807. Aspect A., Grangier P. (1995), Experimental tests of Bell's inequalities, in Advances in quantum phenomena, Plenum Press, New York, pp. 201-214. Baggott J. (1992), The meaning of quantum theory, Oxford University Press, Oxford. Bell J.S. (1991), On the Einstein Podolsky Rosen paradox, in "Physics", n. 1, pp. 195-200, trad. it. in Paradosso EPR e teorema di Bell, Quademi di Fisica Teorica, Università degli Studi di Pavia. Bell J.S. (1981), Bertlmann's socks and the nature of reality, in "Joumal de Physique" Collque C2, suppl. al n. 3, Tome 42, pp. 41-61. Bell J.S. (1987), Are there quantum jumps?, in: Schrödinger, Centenary celebration of a polymath, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 41-52. Bell J.S. (1987), Speakable and unspeakable in quantum mechanics, Cambridge University Press, Cambridge. [...] | << | < | |