Autore Lella Costa
Titolo Ciò che possiamo fare
SottotitoloLa libertà di Edith Stein e lo spirito dell'Europa
EdizioneSolferino, Milano, 2019, i Solferini , pag. 128, cop.fle., dim. 12x19x1 cm , Isbn 978-88-282-0180-9
LettoreCristina Lupo, 2019
Classe narrativa italiana , biografie , religione , femminismo , storia criminale









 

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Indice


    Introduzione                             9

    Prologo                                 19

1.  Una ragazza troppo intelligente         24

2.  Edith al Tempio dei filosofi            32

3.  La fede muove le montagne (o viceversa) 57

4.  Tutte le donne che non sono Edith       68

5.  Edith e Rosa                            76

6.  1933, l'anno fatale                     88

7.  Nel Carmelo di Echt                     98

8.  Una corsa contro il tempo              106

    Conclusione                            118


    Qualche libro su Edith                 125



 

 

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Pagina 9

Introduzione



                                      Dipende tutto dall'amore, perchè alla fine
                                             è sull'amore che verremo giudicati.
                                                                     Edith Stein



Per trovare la solitudine, la pace, il silenzio a me basta venire al mare fuori stagione.

[...]

Forse sì. Proprio oggi, proprio adesso, forse sì.

Perché è oggi, è adesso, il momento di riflettere su quell'Europa che ci riguarda molto più da vicino di quanto siamo portati a credere, che sta viaggiando verso derive preoccupanti, e di cui Edith Stein , o meglio santa Teresa Benedetta dalla Croce, è stata eletta patrona esattamente vent'anni fa. Anzi, compatrona: forse lo si è ritenuto un compito troppo gravoso per un'unica titolare, per quanto colta, preparata e infaticabile. O più seriamente, bisognava sottolineare la pluralità e la complessità di relazione tra le nazioni che dell'Europa fanno parte.

Quindi la Chiesa cattolica ha eletto un autentico comitato di santi protettori, squisitamente paritetico: tre maschi e tre femmine. Indicazione assai lungimirante e purtroppo ottimistica, almeno da noi (basta dare un'occhiata alla composizione di vari governi, vertici di partito, amministrazioni regionali e comunali, cda aziendali). In ordine alfabetico: san Benedetto da Norcia, santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santi Cirillo e Metodio (fratelli bizantini detti «gli apostoli degli Slavi», grazie wiki), e last but not least la nostra Edith/santa Teresa Benedetta dalla Croce.

[...]

Che la storia di questa donna, che mi accompagna nelle passeggiate e nelle faccende di questi giorni marini di febbraio, ci riguardi tutti, insomma, è chiaro. Ma che cosa posso mai avere in comune con Edith Stein io, che non mi sono laureata (anche se ho dato tutti gli esami: ma a Lettere, non a Filosofia), faccio un mestiere che fino a un po' di tempo fa comportava la sepoltura in terra sconsacrata, e mi considero agnostica di scuola buñueliana («Grazie a Dio sono ateo»)? Io che non so il tedesco, ho un marito, tre figlie e colleziono scarpe e teiere?

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Pagina 24

1
Una ragazza troppo intelligente



                                                    Se ho scritto è per pensiero
                                             perché ero in pensiero per la vita.
                                                                Antonella Anedda



La nostra storia, come direbbe un teatrante girovago, comincia il 12 ottobre 1891, a Breslavia.

Breslavia era allora (come suonerebbe meglio in spagnolo, no? Breslavia era entonces, come Macondo) una città tedesca, più precisamente prussiana, che teneva moltissimo a questa appartenenza e mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che più o meno mezzo secolo dopo un giorno si sarebbe risvegliata polacca. I polacchi in città avevano sempre costituito una minoranza, neanche tanto ben vista (sai che novità), e la comunità ebraica era socialmente e numericamente rilevante; nonostante la forte tradizione socialista, la città sarebbe diventata piuttosto in fretta una roccaforte nazista. Insomma sembra proprio che a Breslavia, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, si respirassero già quelle difficoltà e contraddizioni che avrebbero poi caratterizzato tutta la complicata gestazione dell'Europa.

Ma il 12 ottobre del 1891, Breslavia è per noi soprattutto la città in cui viene al mondo (urlando e scalciando, come d'uso), l'ultima figlia di Siegfried Stein e di Augusta Courant che di creature ne avevano già avute undici, di cui però solo sette sopravvissute: Paul, Elsa, Arno, Elfriede detta Frieda, Rosa, Erna e infine Edith. (I nomi delle figlie cominciano tutti con la E, tranne Rosa: chissà se c'era un senso, un progetto; chissà se Rosa ne ha sofferto, chissà se la sua fragilità e dipendenza non siano state originate anche da quella differenza impercettibile...)

Famiglia ebrea e osservante: Edith nasce il giorno di Yom Kippur, la più solenne delle feste ebraiche, il Giorno dell'espiazione. Suona impegnativo, ma la madre, Augusta, ne è particolarmente felice e commossa. Ancora non può sapere che quella sarà l'ultima sua creatura, di sicuro non lo ha programmato, ma succede che due anni dopo, nel 1893, suo marito muore (per un'insolazione), e lei resta sola a occuparsi dei figli e dell'attività di famiglia, il commercio di legname. Lo fa con successo e con impegno ma la figlia minore non la considera una confidente né un modello, non sogna di seguire le sue orme. Edith ha chiaro il senso di un destino, anche se non sa quale. Come scriverà nella sua autobiografia (che però avrà un titolo significativamente collettivo: Dalla vita di una famiglia ebrea), scritta tra il 1933 e il 1939:

Nei miei sogni vedevo sempre un futuro scintillante di fronte a me. Sognavo fortuna e gloria, perché ero convinta di essere destinata a qualcosa di grande, e non appartenevo affatto a quella vita ristretta di relazioni borghesi in cui ero nata.


Ora, mi rendo conto che tirare in ballo Sigmund Freud, che pure all'epoca dell'infanzia di Edith era già in giro da un po', sia da una parte banale e dall'altra pretestuoso. Ma se la sua intuizione che nei primissimi anni della nostra vita si giochi gran parte del nostro futuro ha ancora un qualche valore, la storia di Edith ne può essere, almeno in parte, una conferma.

Ultima arrivata in una famiglia numerosa (e gli ultimi nati in genere sparigliano, scompigliano le fragili architetture famigliari), nei primissimi anni di cui sopra perde il padre e, suicidi, due zii (secondo il cinico Moix, pare che i suddetti si fossero tolti la vita a causa di due opposte forme di una stessa inguaribile meteoropatia terminale. L'uno non sopportava il sole, l'altro la pioggia).

Con la morte, con la perdita - che è un'assenza apparecchiata per cena, per dirla con De André - Edith ha sicuramente dovuto imparare a fare i conti molto presto. Che spiegazioni si sia data, quali consolazioni si sia inventata, a quale pensiero magico abbia fatto ricorso, non lo sappiamo ma lo possiamo forse intuire dalle sue scelte e dai suoi comportamenti successivi. Se e quanto sia riuscita a custodire il ricordo, la presenza del padre nella sua vita, no, non possiamo determinarlo.

[...]

Edith si rivela presto una bambina speciale: brillante, intelligente, bravissima a scuola, ammirata e sì, probabilmente anche un po' «viziata». Ma anche accentratrice, esibizionista, un po' eccessiva (d'altra parte lo dice anche l'oroscopo, no?), ostinata: non si arrende finché non ottiene quello che vuole, che si tratti, a tredici anni, di poter digiunare per un giorno intero o, a sedici, di abbandonare la scuola per trasferirsi ad Amburgo dalla sorella Elsa, dove per un anno non fa che leggere libri di letteratura e filosofia.

Non sappiamo se ci sia stato un testo in particolare che l'abbia portata a dubitare dell'educazione religiosa ricevuta in famiglia; è più probabile che l'immersione totale e forse un filo compulsiva in tutti quei saperi, pensieri e parole le abbia provocato una sorta di vertigine, oltre a una brama di unicità non proprio insolita in una ragazza di quell'età. Fatto sta che alla fine di quell'anno di studi solitari Edith arriva a dichiararsi spavaldamente atea. Primo colpo di scena. O forse è solo una normale adolescente, in conflitto permanente attivo con la famiglia e con gli ormoni, sebbene più curiosa, più tenace e molto più intelligente della media.

[...]

Sia come sia, Edith decide di trasferirsi all'università di Gottinga perché lì lavora Edmund Husserl , tra i filosofi più ammirati del suo tempo. Una specie di incrocio - absit iniuria verbis - tra Massimo Cacciari e Massimo Recalcati , un filosofo-star, a suo modo un «convertito», visto che nasce come matematico. Husserl è, soprattutto, il padre della fenomenologia. Logica, filosofia, psicologia in un unico vertiginoso pensiero: non c'è da stupirsi che Edith, dopo aver letto durante le vacanze estive le sue Ricerche logiche (no, non ci sono più le letture da ombrellone di una volta) voglia seguire le sue lezioni.

E sua madre, evidentemente, glielo lascia fare.

[...]

E dunque a Gottinga, a Gottinga!

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Pagina 60

Che cosa ha trovato, Edith, nel cattolicesimo che invece le mancava (o temeva le sarebbe mancato) nell'ebraismo?

Non mi permetto neppure di formulare delle ipotesi, non ne possiedo gli strumenti da nessun punto di vista, soprattutto da quello teologico. Certo, qualche idea mi è balenata, ma per carità e per favore, siate indulgenti: nessuno si senta offeso (né tantomeno escluso, così l'eco di De Gregori è completa).

Ho pensato che Edith, dopo tanto indagare intellettuale, dopo tanto studio e tante ricerche razionali, dopo tanta logica matematica filosofia, dopo tutte quelle domande, avesse un disperato bisogno di risposte, e di certezze. E per quel poco, pochissimo che ne so, l'ebraismo fornisce certezze e soprattutto una fede e un'appartenenza assolute. Ma allo stesso tempo, quanto a dubitare, e indagare, e sfidare, e dibattere, e disputare - be', c'è chi dice che non sia seconda a nessun'altra religione. Basta avere letto non dico le Scritture, che è impresa di pochi, ma anche solo qualche classico della comicità yiddish per averne la conferma (e divertirsi parecchio, meglio ancora se le barzellette le racconta il mio amico Moni Ovadia , uomo non a caso di sterminata cultura, e non solo ebraica).

L'ebraismo intellettualmente non dà pace, frequenta e alimenta i dubbi, i distinguo, le interpretazioni.

Forse non è di questo che Edith sente il bisogno, nel periodo della sua vita in cui si avvicina sempre più alla fede religiosa. Ha bisogno non solo di abbandonarsi nella fede, di liturgie minuziose e rassicuranti - l'osservanza materna non le è mai assomigliata - ma di un mondo che sappia accogliere e placare la sua spasmodica ricerca della verità con una Verità, una sola e maiuscola, eterna e granitica, totalmente divina eppure anche divinamente umana. Di una religione che le consenta di adorare, oltre che uno spirito, anche un corpo.

Edith ha bisogno di innamorarsi.

C'è un altro dettaglio che mi colpisce, in questa vicenda così privata e dolorosa: l'ebraismo è matrilineare, cioè è la religione della madre a definire quella della prole. Insomma, avere un padre ebreo non basta; una madre, sì. Nel bene e nel male.

Pochi anni dopo l'incontro tra Edith e la fede religiosa, il mondo intero assisterà (a volte impotente, a volte passivamente complice, a volte sfrontatamente esultante) all'applicazione di questa regola in quella che è stata la più mostruosa persecuzione razziale della nostra storia recente, con lo sterminio di milioni di persone. Tra cui, appunto, Edith Stein.

Il sangue la condannerà, non il senso di appartenenza, non la fede, non le opere. La sua conversione assolutamente autentica, sincera e coerente al cristianesimo non basterà a proteggerla dalla follia nazista: chi è nato ebreo, in quanto ebreo, deve essere sterminato. Non è questione di crimini, o reati, o peccati, o errori.

La colpa, imperdonabile e inespiabile, risiede nell'essere nati in un certo luogo e in una certa famiglia. Che si mangi o meno carne di maiale, che si frequenti o meno una sinagoga, che si creda o meno, persino, in un Dio, uno qualunque, non importa. Essere venuti al mondo dalla parte sbagliata di una linea immaginaria è sufficiente. Nel binomio Blut und Boden, il sangue e la terra, il sangue ti condanna e la terra non ti salva.

In tanti abbiamo pensato che non sarebbe mai più potuto succedere, che non avremmo mai più permesso che succedesse. Non qui. Non in Europa.

E invece.

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Pagina 64

Invece il convertito «famoso» di cui sopra si esprime così: «Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce [...] Io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero».

Diciamo che così, di primo acchito, non c'è proprio niente in comune tra la sobrietà appassionata e la pacata capacità di ragionamento e persuasione di Edith e la provocazione sfrontata dell'autore di questa sorta di invettiva.

E invece.

Quando nasce Don Milani (e chi altri poteva essere?), Edith è già cattolica ma essere ebrei non è ancora, per poco, sinonimo ineludibile di ostracismo, di violenza, di morte. Lorenzo Milani Comparetti nasce infatti a Firenze il 27 maggio 1923, in una famiglia colta e agiata, secondo dei tre figli di Albano Milani, chimico e proprietario terriero, e Alice Weiss, allieva di Joyce e studiosa di Freud, ebrea. Quindi, per nascita, Lorenzo e i suoi fratelli sono ebrei. Per quanto entrambi i genitori si dichiarino agnostici e anticlericali e frequentino ambienti intellettuali e culturali molto stimolanti oltre che decisamente antifascisti, negli anni Trenta l'antisemitismo che dilaga sotto le dittature, in Italia come in Germania, li convince che sia saggio contrarre un matrimonio cattolico a scopo, come dire, cautelativo, e fanno anche battezzare i figli. Un evento che al momento non sembra avere alcun impatto su Lorenzo, il quale nel maggio del 1941 si diploma (pare senza infamia ma decisamente senza lode) al Berchet, uno dei più antichi licei classici milanesi, e poi si iscrive all'Accademia di Brera, anziché all'università, perché ha deciso che vuole fare il pittore (la famiglia non gradisce e non approva, anzi).

Ma Lorenzo finirà per frequentare solo il primo anno, perché già nel 1942 (l'anno in cui Edith muore ad Auschwitz) annuncia alla famiglia e agli amici - e pare sia stato il classico fulmine a ciel sereno - di voler entrare in seminario per diventare sacerdote. Cosa che farà con una tenacia, una coerenza, un rispetto dell'ortodossia che molto spesso entreranno in rotta di collisione con le sue scelte pastorali non proprio, come dire, convenzionali. Affermerà sempre con ardore e intransigenza i princìpi evangelici a cui si ispira; si opporrà con ogni mezzo, fino a subirne le conseguenze penali, alla connivenza dei cattolici con qualunque forma di guerra; amerà e proteggerà furiosamente soprattutto i suoi ragazzi di Barbiana.

Nel suo testamento scriverà: «Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, [...] ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo».

Don Milani muore nel giugno del 1967, a quarantaquattro anni (più giovane di Edith, che quando è morta ne aveva cinquantuno) per un linfoma di Hodgkin, che ai suoi occhi ha l'unico pregio di non essere operabile: «Perché io sono un profeta e un eroe, ma fino alle estrazioni dentarie escluse». L'avrei amato per sempre anche solo per questa frase.

Se non ci fossero state di mezzo le leggi razziali e la paura delle persecuzioni, probabilmente la famiglia Milani-Comparetti (il cognome proveniente dal ramo paterno della famiglia e dunque «puro» viene aggiunto al momento del matrimonio e del battesimo proprio per rendere più credibile e incontestabile la conversione) non si sarebbe mai sognata di «mettersi in regola» con la Chiesa cattolica, Lorenzo non sarebbe stato battezzato da ragazzino, e chissà come si sarebbe dipanata la sua vita.

Se con la sua decisione di farsi prete ha sicuramente creato qualche sconquasso e parecchio stupore, non ha comunque dovuto compiere alcuna abiura né consumare alcun tradimento. Come Edith, ha scelto di diventare cattolico, ma a differenza di Edith la sua rinuncia non ha comportato uno strappo doloroso con la famiglia. Scegliendo il cattolicesimo, Lorenzo non ha spezzato il cuore di sua madre. Non ha dovuto portare per sempre il peso di una «colpa».

Non ha neppure dovuto cambiare nome.

Ma anche lui, come Edith, aveva bisogno di innamorarsi.

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Pagina 112

5 agosto 1942

Una suora della Croce Rossa di Amsterdam parlerà oggi con il console. Da ieri qui è proibita ogni richiesta per gli ebrei cattolici. Da fuori si può ancora tentare qualcosa, ma con pochissime possibilità di successo. C'è l'intenzione di far partire un trasporto venerdì. [...] Confidiamo nelle vostre preghiere. Qui ci sono così tante persone che hanno bisogno di consolazione, e si aspettano che le suore possano fornirne un po'.


6 agosto 1942

Domattina presto parte un trasporto (Slesia o Cecoslovacchia??). Le cose più necessarie sono calze di lana e coperte. Per Rosa biancheria intima calda e quel che aveva lasciato da lavare, per entrambe fazzoletti da naso e biancheria di flanella. Rosa non ha né spazzolino, né croce e rosario. Mi farebbe piacere ricevere l'ultima edizione del breviario (fin qui ho pregato molto bene). E i nostri documenti d'identità e le tessere annonarie.


Il trasporto di cui Edith parla nella sua ultima lettera è il suo. Il 7 agosto Edith e Rosa vengono caricate sul convoglio per Auschwitz. Muoiono nelle camere a gas il 9 agosto 1942.

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Pagina 115

Un ultimo, piccolo tassello di assurdo nel più gigantesco assurdo della Storia. Se la vita intera di Edith è una battaglia, la sua morte è un paradosso. Aveva rifiutato ben due volte la religione in cui era nata, prima con l'ateismo, poi con la conversione. In compenso aveva abbracciato con fervore la sua patria, ne aveva curato i feriti, galvanizzato le donne, arricchito il pensiero. Quella patria la uccide in quanto ebrea: lei, cattolica. Per questo, perché Edith incarna così nitidamente l'insensatezza di ogni persecuzione, dobbiamo tenere la sua foto sul nostro metaforico comodino di europei. Tutti: cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, atei, non sa/non risponde. La guerra di Edith fonda il nostro progetto di pace. Ed è straziante pensare che a farle compagnia non ci siano né una rosa né un tulipano, e nemmeno mille papaveri rossi. L'unica cosa che possiamo fare per renderle omaggio è mantenere viva la sua memoria.

Come dice Emily: «Essere ricordati è quasi come essere amati / ed essere amati è il Paradiso».

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