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| << | < | > | >> |Indice3 Invece di una scheda di lettura 5 Microeconomia 9 Problemi insolubili 15 Come inventare nazioni a tavolino 21 Voglia, paura, obbligo di pensione 25 Sei miliardi di esperti 31 Le insidie della trasparenza 37 Povero Orwell! 43 Il meraviglioso disagio della cultura 47 Come Se 51 Dove va la fotografia? 57 Normali miracoli 61 Professioni oneste e professioni disoneste 65 Perché si sporca sempre tutto 71 Donazione! 77 Se la scienza sia una religione laica 83 Alexander von Humboldt nella guerra tribale fra intelligenza e potere 89 Campione senza valore 93 Il sesso ci vuole, e, nel caso, come? 97 Il common sense e i suoi detrattori 101 Cosmic Secret 107 Alcune fonti |
| << | < | > | >> |Pagina 3Invece di una scheda di letturaMa è serio? Si può, senza essere filosofi o scrivere interi trattati, distinguere fra problemi solubili e insolubili, oppure spiegare in che modo sia possibile creare nazioni a tavolino? Ma certo che si può. Piccoli testi per temi vastissimi: non è una novità, lo si fa da cinquecento anni. Michel de Montaigne , il grande precursore del saggio, lo ha dimostrato: ha scritto Della tristezza, Degli svantaggi di una posizione elevata, Dei cannibali, e lo ha fatto cosí come si sentiva, come gli veniva in mente, e senza esaurire se stesso, il lettore o l'argomento. Temi vastissimi, ma che vuol dire? Per lui nulla era troppo modesto: sapeva aprire gli occhi al lettore anche sui pollici e sul sonno, anzi, persino sulla distrazione. E per farlo gli bastava di solito qualche centinaio di righe. «Mai scrivere un libro dove è sufficiente una pagina, né un capitolo dove una sola parola fa il suo giusto servizio» - anche Lichtenberg, d'altronde, ne era convinto. Lo ammetto, la precisione non è il mio forte. Ma, cosí, tutto a un tratto, da dove arriva questa prima persona, un pronome che non ricorre spesso nei risvolti di copertina e nelle schede di lettura? È legato al luogo immaginario che un osservatore assume ogni volta che si trova a far parte di ciò che lo colpisce e lo stupisce, e che allo stesso tempo prova a descrivere. In questo caso, dunque, «Io» è costretto a mettersi direttamente in gioco. E poiché c'è sempre chi la sa piú lunga di me, cito volentieri, esattamente come l'inarrivabile precursore, i miei santi protettori e garanti. Il vecchio poteva risparmiarsi commenti e note a piè di pagina, perché i lettori conoscevano i loro classici bene quanto lui. Non erano, come noi, dipendenti da Internet. Ma chi sa piú cosa sia un panopticon? Basta inserire la parola chiave nel campo di ricerca e già si finisce fuori strada, rinviati a un inglese di nome Jeremy Bentham. Il quale era un terribile giurista inglese che nel tempo libero aveva escogitato una prigione ideale. Un unico sorvegliante seduto nell'ombra doveva tenere sotto controllo il massimo numero di detenuti. Strutture di questo tipo sono state poi costruite davvero. Imprenditori freddi e calcolatori non tardarono a scoprire che quella inquietante invenzione poteva servire anche a organizzare una fabbrica in modo economico ed efficiente. Con ciò non intendo nulla di preciso, anche se, per altri versi, mi piacerebbe, per quanto possibile, conservare la visione d'insieme. Vorrei piuttosto rammentare al pubblico un altro significato del termine. Karl Valentin chiamò Panoptikum il suo gabinetto degli orrori e delle curiosità, inaugurato nel 1935. Lí, accanto a originali strumenti di tortura, si potevano ammirare stranezze di ogni tipo, cose sensazionali e invenzioni. Entrate, dunque, signore e signori! Non ve ne pentirete. | << | < | > | >> |Pagina 5MicroeconomiaCiò che gli economisti intendono per economia è, nel migliore dei casi, chiaro a loro; sulle loro idee il resto del mondo nutre non pochi dubbi, e quanto alla loro attività, ci si chiede se possa essere considerata di per sé una scienza. Essi infatti dispongono sí di istituti, cattedre e reddito garantito, ma la loro attività ha ben poco a che fare con le modalità con cui la maggior parte della gente, come casalinghe, pensionati o bambini, amministra i propri beni. Gli economisti si occupano preferibilmente di grandi aggregazioni e operano con enormi quantità di dati statistici. La maggior parte di loro è affezionata a un singolare intreccio di teorie che, non si sa bene perché, vengono considerate neoclassiche. A starli a sentire, ci si sente trasportati in un idillico mondo dai contorni fiabeschi. Con stupore si apprende che, pur con qualche oscillazione, il mercato tende sempre e inevitabilmente a un equilibrio. È efficiente, corregge e ottimizza se stesso, e tutti coloro che ne fanno parte si comportano in modo del tutto razionale. Tali supposizioni vengono date semplicemente per scontate, sebbene si tratti di pure ipotesi, non dimostrate quando addirittura non dimostrabili. Dopo la temporanea fine del comunismo, la teoria neoclassica si è offerta come surrogato dell'utopia perduta. Benché si sia presentata in forme piuttosto inconsistenti, non ha lesinato promesse, né le sono mancati i sostenitori. Verso la fine del XX secolo è stata corredata di elaboratissimi modelli matematici per la gestione del rischio. Quanto agli economisti, non sono arretrati neppure davanti alle previsioni sul futuro, e il fatto che le loro prognosi li abbiano portati a delle gran brutte figure, non li ha mai indotti a dubitare della propria smisurata competenza. Ciò non significa tuttavia che nella corporazione manchino accaniti scontri tra ali e fazioni, comunque frequenti anche in altre discipline. Da decenni keynesiani e monetaristi lottano per la supremazia. Un analista finanziario non gradirebbe affatto di essere scambiato con un analista fondamentale o con uno studioso di cicli. Negli ultimi tempi alcuni economisti hanno addirittura notato che nella teoria classica le persone compaiono per lo piú solo come entità astratte. In questa logica, esse si riducono a un ruolo; sono salariati, oppure consumatori, contraenti di un'assicurazione oppure investitori, azionisti, imprenditori o risparmiatori, e in ognuno di questi ruoli hanno un unico interesse: massimizzare il profitto economico, nient'altro. Su questo punto, in passato, non pochi classici erano già molto piú avanti. L'idea che le decisioni economiche si basino su una rational choice era loro completamente estranea. Nella sua Favola delle api del 1714, Mandeville afferma che sono proprio i vizi privati, come l'inganno, il lusso e l'arroganza, a rendere possibile la ricchezza pubblica. E, con toni meno polemici, Adam Smith lo segui con la famosa immagine della «mano invisibile», che dovrebbe bilanciare l'insensata condotta individuale e volgerla verso il bene comune. Di tutto ciò l'imperante dottrina neoclassica non ha voluto sentir parlare. Ma da qualche tempo è insidiata da una nuova tendenza. Su questo punto il behaviourismo economico ha individuato una profonda lacuna. Vorrebbe analizzare il motivo per cui la gente non si comporta cosí come suppone la maggior parte degli economisti. In effetti detta teoria si è sí allontanata dal dogma dell' homo oeconomicus ragionevole, ma non dall'ambizione di creare modelli possibilmente ordinati. A tale scopo si riallaccia da una parte a schemi sperimentali empirici, come test e inchieste, dall'altra a metodi matematici come la teoria dei giochi, oppure a teoremi legati all'evoluzione biologica o alla sociopsicologia. C'è da dubitare che in questo modo essa riesca davvero a scoprire i trucchi dell'enigmatico comportamento dei «soggetti economici» immaginati. L'ambizione di emulare le scienze esatte fa si che nei loro calcoli le persone si presentino solo come fantasmi statistici. L'amore per l'astrazione crea ai poveri studiosi continue difficoltà. Evidentemente non riescono a mostrarsi diversi da come sono, esattamente come le persone che studiano. Le quali, com'è noto, vanno soggette a umori, illusioni, ghiribizzi e abitudini di ogni tipo. Tendono al panico cosí come all'inerzia, alla cocciutaggine come all'istinto gregario. Molte sono disposte a qualunque sacrificio pur di salvare la faccia o le predilezioni sessuali, oppure di fare bella figura. All'economista tutto ciò non può che apparire deplorevole, insensato e ignorante. Ora, quantificare manie e angosce, fiducia e sventatezza, collera e ostinazione è certamente una fatica di Sisifo. Gli interrogati eludono interviste, sondaggi e test, mentendo spudoratamente non solo all'intervistatore, ma anche a se stessi. Per di piú contravvengono di solito alle piú semplici regole economiche. Le loro transazioni quotidiane hanno spesso luogo fuori della circolazione del denaro e del credito. Allevano figli senza per questo esigere un adeguato compenso. Avviano relazioni sentimentali senza assicurarsi contro possibili sospensioni del credito, o anche senza un ragionevole calcolo di profitti e perdite. A volte lavorano semplicemente gratis, per pura alterigia lasciano cadere splendide occasioni, gettano il denaro dalla finestra, sprecano tempo prezioso, fanno affidamento sull'oroscopo o sulla fatwa di un teologo, regalano qualunque cosa senza nulla in cambio; e avanti cosí, per la disperazione dei teorici. Per quanto riguarda le reali pratiche economiche della specie, si apre dunque un'enorme zona buia. I comuni concetti di lavoro nero, mercato nero e fondi neri si rivelano insufficienti e non rendono giustizia all'economia informale. Per fare un po' di luce sulla questione, si dovrebbe bene o male scendere nel dettaglio, ossia rinunciare a tesi generalizzabili, lasciando la scienza agli scienziati, anche se allo specialista ciò non è consentito. Una microeconomia di questo tipo potrebbe uscirne senza grandi costi, mettendosi semplicemente a indagare nella cerchia dei familiari e dei conoscenti. Tanto per iniziare, potrebbe essere sufficiente una mezza dozzina di cavie umane per convincersi che su questo terreno prevale un'incredibile varietà. Ci sarebbe ad esempio la tata polacca, che ogni due settimane torna a casa con dodici ore di viaggio in autobus, per andare a occuparsi della madre affetta da emiparesi, e poi, con lo stesso autobus, rientra in Germania a fare le pulizie. Non ha mai compilato un formulario ufficiale, non possiede un conto in banca, non paga tasse e accetta solo contanti. Ma è di un'incrollabile onestà, perché sa che Gesù disapproverebbe ogni altro comportamento. O anche l'imprenditore traboccante di idee, che fonda sempre nuove aziende, facendosi beffe di ogni tentativo d'inquadramento. Appena si comincia a guadagnare, abbandona infatti l'impresa prospera, perché la routine del successo lo annoia a morte, e perché, dichiara, «non ha bisogno di soldi». Senza dimenticare il brillante bibliofilo, che ama invitare i conoscenti in un ristorante di classe, ma che, appena il cameriere porta il conto, constata con rammarico di aver dimenticato il portafogli. C'è poi il medico di famiglia che s'impegna con passione in un coro amatoriale, ma una volta l'anno manca a una serie di prove, perché per settimane va in giro per il Burundi o il Congo, dove non solo lavora nel Pronto soccorso di Medici senza frontiere, ma s'impegna anche contro i bambini soldato e i signori della guerra; a quanto pare, i biglietti aerei li paga di tasca sua. Nessuno capisce per quale motivo, malgrado le ripetute sollecitazioni, il giardiniere che viene a casa tre volte l'anno non mandi mai una fattura, sebbene la banca gli abbia bloccato il credito: come motivazione dice solo che ha pensieri piú urgenti. E com'è che il famoso romanziere non trova editori per il suo nuovo libro; com'è che è senza soldi, però dà lavoro a una cuoca e a una segretaria, che paga puntualmente; ed è proprio per questo che il negozio di alimentari all'angolo non gli fa piú credito, e a cena deve accontentarsi di un panino e di un uovo al tegamino. Ora, come sa ogni lettore di giornale, la totale irrazionalità di quanti vengono impropriamente definiti normali consumatori e che tanto irrita e confonde gli economisti, non si limita soltanto a loro. Anzi, raggiunge il massimo livello nei protagonisti dell'economia finanziaria e nei loro consulenti. L'economista insignito del premio Nobel simula brillantemente un fallimento che fa tremare Wall Street. Appena uscito dal carcere, l'investitore al quale lo schema Ponzi ha fruttato sei mesi di confortevole galera, parte immediatamente per Singapore o per Dubai, dove intende aprire il prossimo fondo speculativo, e il solitario daytrader newyorchese non riesce a dormire perché la Borsa di Tokyo apre già alle tre del mattino, motivo per cui giorno e notte, per tenersi sveglio, ha sempre un sacchetto di cocaina a portata di mano, magari nascosto dentro il wc. Nella pagina economica casi del genere ricorrono al massimo in presenza di agenti che muovono grandi somme. Degli altri, la pubblica opinione quasi non parla. Presumibilmente agiscono lontano da logiche libresche, in aree economiche sulle quali nessuna facoltà universitaria è in grado di fornire delucidazioni. Solo ogni tanto la televisione privata getta un'occhiata fuggevole alle zone oscure, ad esempio nella serie Fuori dai debiti. Difficile temere oppure sperare che situazioni di questo tipo siano generalizzabili in modo coerente. Chi dunque vuole davvero sapere cosa la gente muove e cosa la fa muovere, dovrebbe forse partire da se stesso. Non tarderebbe a scoprire che la sua razionalità economica non è molto superiore a quella dei pazzi, dei quali ogni volta torna a stupirsi. | << | < | > | >> |Pagina 31Le insidie della trasparenzaIl segreto è svelato. Diffondilo! RISVOLTO DI UNA COPERTINA DEL 2008. Il disincanto del mondo, annunciato nell'anno di guerra 1917, ha fatto da allora enormi progressi. Le teorie del complotto sono fra le sue ultime vittime. Quelli erano ancora tempi in cui si riteneva di sapere chi avesse la colpa di tutto: i cavalieri di Rosacroce, gli Illuminati, i massoni e i gesuiti. Con quanto zelo gli illuministi del XVIII secolo, sempre che loro stessi non ne facessero parte, si erano impegnati a strappare la maschera dal volto di quelle società segrete! Meno innocua fu la cosa quando, cent'anni dopo, si cercò un capro espiatorio per i guasti del capitalismo. I Protocolli dei Savi di Sion, ad esempio, volevano dare a intendere ai contemporanei sotto choc che i colpevoli di tutto fossero gli ebrei. E non solo: miravano anche a dominare il mondo. Questa macchinazione, che la polizia segreta zarista aveva fatto circolare intorno al 1900, sembra trovare tuttora eco non solo nel mondo arabo, ma anche in Russia, in Giappone e altrove. La domanda di complotti, cospirazioni e congiure mondiali è non solo costante, ma anzi, è cresciuta all'inverosimile. Un'intera industria la alimenta con offerte che naturalmente rientrano nella sfera dei libri dozzinali ed esoterici. Il numero di misteri che vengono rivelati è sconvolgente. A seconda del motore di ricerca prescelto, chi desidera la loro rivelazione s'imbatte in circa cinque-sei milioni di risultati. Chi si accontenta di dare un'occhiata a congiure diverse, ha comunque ancora la scelta fra oltre la metà, ossia 3 900 000 voci. L'elenco dei titoli disponibili in libreria indica di quali misteri si tratta: non solo il mistero del calligrafo, del vuoto, della violoncellista, del venditore di biciclette e della levatrice, ma anche il complotto di Amleto, di Mida, della febbre suina, di Poseidone, di Matusalemme e del diabete. Naturalmente non possono mancare neppure i soliti sospetti, la Cia, il Vaticano e Wall Street. Ancora piú produttivo della libreria è Internet, che letteralmente pullula di mandanti e di tiratori di fili, di società segrete e di cospirazioni. Neppure Hollywood si fa mancare nulla e lavora instancabilmente a svelare intrighi segreti, le cui vittime siamo evidentemente noi. L'insistenza con cui tutti i media presentano thriller assolutamente privi di brivido, e lo zelo con cui ogni giorno vengono rivelati top secret rigorosamente custoditi - tutto ciò testimonia di un modello di business che ha toccato nuovi livelli storici. È invece rimasta la vecchia contraddizione performativa che tali rivelazioni portano con sé. Cosi i logici definiscono affermazioni che smentiscono se stesse. Ad esempio, se uno afferma che sta dormendo, che è morto o che non dice una parola, contraddice se stesso. Al pari di una persona che sulla piazza del mercato strombazza un apparente segreto. Che in questo caso si abbia a che fare con un'antinomia, l'aveva già notato Rudolf Steiner , che nel 1910 pubblicò un testo intitolato La scienza occulta nelle sue linee generali. Quindici anni dopo fu costretto a difendersi da «malintesi» che il suo titolo aveva provocato: «Da più parti si è detto che ciò che vuole essere "scienza" non può essere "occulto". Quanto poco meditata era quell'obiezione. Come se qualcuno che pubblica un testo volesse farne "mistero"». In questo modo, comunque, il vecchio mago ha cercato, senza riuscirci, di liberarsi delle insidie da lui stesso create. Oggigiorno il trattamento dei misteri è ben lontano da scrupoli del genere. La speranza degli illuministi, per cui la sorte dell'umanità sarebbe migliorata quanto più essi avessero illuminato le tenebre, è svanita, da quando chiunque non si tappi di continuo occhi e orecchie viene informato senza sosta su tutto ciò che è stato, è, o potrebbe essere. Cosí quella che un tempo era la scusa tanto evidente quanto gradita, di non aver saputo nulla di questo o quel crimine, è messa a tacere una volta per tutte. Ecco però che attenzione, empatia e indignazione sono risorse che, crescendo il loro sfruttamento, scarseggiano sempre di più. Quasi nessuno è in grado di comprendere, di «elaborare» o addirittura di «corresponsabilizzarsi» in ciò che gli viene comunicato. L'impotenza di chi condivide le informazioni cresce con la quantità stessa delle informazioni. Si vede dunque che la libertà di stampa, di opinione e d'informazione, faticosamente raggiunta, ha i suoi lati oscuri, ancor piú evidenti da quando il trionfo delle rivelazioni ha di gran lunga superato i classici mezzi di stampa. L'iniziativa è in mano alla tecnologia dell'informazione. Essa ha la capacità di raccogliere dati e all'istante diffonderli, potenziati, in tutto il mondo. Chiunque disponga di un calcolatore può servirsene. Nessun governo rinuncerebbe volentieri a tale possibilità. Nessuno Stato può fare a meno di sorvegliare la propria sfera d'influenza, di controllare lo spazio pubblico con telecamere, di intercettare telefoni e perquisire computer. Naturalmente, per spiare la popolazione, vengono sempre addotti motivi umanitari: in fondo si tratta di prevenire ogni possibile rischio, di lottare contro il terrorismo e il crimine organizzato, di tutelare la propria industria dallo spionaggio nemico e in genere di prevenire ogni possibile minaccia. Con tutto il loro zelo, le agenzie statali non sono però affatto isolate; anche l'«economia» spia ovunque clienti, concorrenti e partner, e in modo legale o illegale si appropria di tutti i dati personali sui quali riesce a mettere le mani. Il principale risultato dei cosiddetti social network è quello di controllare i loro utenti. Su questo si basa il fantastico valore che Facebook e i suoi concorrenti raggiungono in Borsa. La società sembra essersi ormai rassegnata all'erosione di quella che un tempo si definiva la sfera privata. Ovviamente la trasparenza cosí conquistata non si limita ai dati di fatto. Nel caotico cyberspazio anche voci incontrollate, fake news, denunce e idee deliranti sono ben accette. Il risultato è che chiunque prenda parte a questo gioco si trasforma in uno hacker. Le autorità indagano sul cittadino, il motore di ricerca sul consumatore, i servizi segreti sulla concorrenza, il truffatore sui clienti della banca, la Cina sul Pentagono o viceversa, e avanti cosí. Nella cyberguerra vince chi dispone del software migliore. Come negli odierni conflitti militari, anche su questo terreno la tecnica bellica asimmetrica deve registrare conquiste territoriali. Contro l'armatissimo segreto di Stato si schierano guerriglieri difficili da catturare. Un'organizzazione come Wikileaks viene considerata una specie di metacospirazione, che in modo spettacolare svela crimini di guerra e al contempo agisce essa stessa come una cospirazione. Fra gli altri, a risentire del mare di rivelazioni saranno i servizi segreti. La simpatia del pubblico rimane contenuta, se non altro perché sono loro stessi i responsabili di innumerevoli brutte figure. Per troppo tempo si sono divertiti a inscenare comparsate. Fidel Castro si vantava del ruolo di guitto che gli era toccato in molti frangenti. Quante volte agenti americani avevano tentato di rifilargli un sigaro esplosivo o una compagna fornita di pillole avvelenate! Una volta volevano privarlo della barba con l'aiuto di una crema depilatoria, un'altra spingerlo alla follia con l'Lsd, oppure farlo fuori nella maniera classica, con bombe, fucili e revolver. Tutto, come si sa, senza successo, tutto documentato, tutto tanto banale quanto inefficace. È singolare che piú scandali e rivelazioni vengono alla luce, meno provocano conseguenze serie. Ciò vale non solo per le attività svolte nel sottoscala dai servizi segreti, che curiosamente in inglese si chiamano intelligence services, ma anche per i normali accordi di cartello o i finanziamenti in nero ai partiti, le truffe ai danni di investimenti e sovvenzioni, insider trading e corruzione, evasione fiscale, riciclaggio, corruzione e traffico d'armi. Ogni denuncia relativa a eventi del genere viene raccolta con gioia, e con altrettanta gioia, dimenticata. Il normale tempo di smaltimento di uno scandalo è in media di tre-quattro settimane. Persino le scene di tortura di Abu Ghraib, visionabili in qualunque momento su YouTube, hanno portato esclusivamente alla condanna di alcuni soldati a pene detentive (la fotografa, ad esempio, a sei mesi), mentre le piú alte cariche del Pentagono sono state lasciate in pace. Solo sul caporale Bradley Manning incombe una sorte ancor peggiore. A questo povero diavolo, casí come ad altri sessantamila, l'esercito consente l'accesso a una segretissima banca dati, che aveva registrato numerose violazioni del diritto internazionale da parte della potenza occupante. Manning, a cui ciò che aveva scoperto non piaceva, passò il materiale a un suo contatto di Wikileaks, attraverso il quale divenne di dominio pubblico. Ora deve affrontare una pena detentiva di oltre cinquant'anni, o, ancora peggio, l'impiccagione. In un prossimo futuro gli Stati Uniti d'America si ritireranno dall'Iraq, ma per il resto è cambiato ben poco. Guantánamo continua a essere fuori legge. Rapimenti e uccisioni mirate rientrano, non soltanto negli Usa, nella prassi corrente delle «unità speciali». Ma anche nel mondo civile la norma della trasparenza assoluta si rivela sorprendentemente inefficace. Cartelli industriali condannati a penali miliardarie per i loro comportamenti pagano le multe come se fossero spese correnti, e passano al successivo punto dell'ordine del giorno. Anche le pene detentive, usuali in America, che in teoria possono ammontare a svariate centinaia di anni, sembrano aver perso il loro effetto deterrente. Il manager di fondi d'investimento che è stato condannato ritiene ovvio di poter tranquillamente attendere la scarcerazione anticipata in una confortevole cella, preparandosi a fondare, a Singapore o in qualche altro luogo, una nuova società d'investimento. Nei settori ai quali il mondo deve sempre nuove crisi finanziarie, la maggior parte dei protagonisti va avanti con indifferenza, come se nessuno li avesse mai «smascherati». Anche le consuetudini della politica internazionale si differenziano da questo modello solo per gradi, come si può agevolmente vedere dalle violazioni contrattuali dell'Unione europea. Sull'argomento Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo, si è espresso con sufficiente chiarezza: Noi decidiamo qualcosa, lo mettiamo in discussione e per un po' stiamo a vedere cosa succede. Se non ci sono bagarre o sollevazioni, perché la maggior parte non capisce cosa si è deciso, allora andiamo avanti - passo dopo passo, finché non è piú possibile tornare indietro. Da molto tempo, già tenendo conto degli onnipotenti mercati finanziari, la menzogna politica è ormai considerata una necessità dettata dalla Realpolitik. Il fatto che abbia le gambe corte, perché viene subito confutata, ne fa una sorta di acte gratuit. Il punto infatti è solo quello di guadagnare una piccola dilazione tra l'affermazione e la smentita, fino alle prossime elezioni. Anche in merito a quest'usanza la pubblica irritazione è molto contenuta. Tutto sommato si può dire che l'obbligo della trasparenza, quantomeno nei Paesi a impostazione democratica, ha ampiamente prevalso. In questo modo il progetto illuministico si è realizzato - e nello stesso tempo è fallito, perché ormai siamo disperatamente illuminati, fino all'esaurimento. Tuttavia, visto che non mancano le offerte del caso, non è difficile rispondere alla questione su dove stia l'elemento positivo. Piú facilmente che mai, infatti, anche Voi potete tenere «in mano un grande segreto dell'universo». «Attraverso i secoli è passato da uno all'altro per arrivare fino a Voi. Questo è il segreto di tutte le cose - gioia, salute, denaro, relazioni, amore, felicità [...] di tutto ciò che Voi avete sempre desiderato», e questo «per la prima volta nella storia dell'umanità». E se ciò non bastasse, nel materiale in omaggio potete gettare ancora «uno sguardo dietro le quinte». Consentito dai sei anni in su dall'Autocontrollo cinematografico volontario, e distribuito dalla Spirit Movie Edition, l'opera che promette tutta questa consolazione porta il titolo ultimativo di The Secret, «Il segreto». Si può avere a poco prezzo. Lo trovate alle casse per soli 17,80 €. La contraddizione performativa non può produrre frutti piú belli. Ma non le sfuggono neppure le poche pagine che si possono leggere qui. Il fatto che il valore dei segreti venga meno, sino a farli diventare irrilevanti per l'iperinflazione della loro conoscenza, cosí come quello della cartamoneta - quest'idea, lungi dal metterla in luce, si potrebbe anche passare sotto silenzio. | << | < | > | >> |Pagina 37Povero Orwell!Un uomo lungimirante, questo Eric Blair, meglio noto sotto lo pseudonimo di George Orwell. Di regimi totalitari se ne intendeva, molto prima che il concetto entrasse nel linguaggio degli storici. Vide arrivare l'antagonismo delle superpotenze e la Guerra fredda già nel 1943, quando Stalin, Churchill e Roosevelt si incontrarono a Teheran. Qualche anno dopo la fine della Guerra mondiale pubblicò 1984, il suo famoso romanzo. A Orwell il futuro che vedeva avvicinarsi non piaceva. Dipinse il panorama di un dominio del terrore, che al centro dell'Europa e in tempi non troppo lontani avrebbe ulteriormente perfezionato le ideologie e i metodi di Stalin e Hitler: un partito unico guidato da un «Grande fratello»; regole linguistiche chiamate «neolingua», per capovolgere tutti i significati delle parole ed eliminare la sfera privata; totale controllo, rieducazione e lavaggio del cervello di tutti gli abitanti; e una onnipotente polizia segreta, il cui compito fosse quello di soffocare sul nascere ogni opposizione, attraverso la tortura, la reclusione in campo di concentramento e l'assassinio. Con questa profezia, per fortuna, George Orwell ha sostanzialmente barato con se stesso e con noi, almeno per quanto riguarda la nostra parte del globo. Non avrebbe mai pensato che alcuni di quegli obiettivi, soprattutto il controllo di tutti i cittadini, si potessero perseguire anche senza l'uso della violenza; che a quello scopo non fosse necessaria una dittatura; che anche una democrazia fosse in grado di imporli in modo civile, se non addirittura pacifico. Oltre quattro secoli fa un giovane francese, nel suo Discorso sulla servitú volontaria, si era già chiesto preoccupato come ciò potesse accadere. Etienne de la Boétie , questo il suo nome, si limitò a mettere alla berlina i sovrani assoluti del suo tempo. Parlava soprattutto alla coscienza di quanti venivano a patti con la tirannide: Sono i popoli stessi a lasciarsi vessare, o anzi, a tormentarsi, perché se ponessero fine alla loro servitú, se ne affrancherebbero. Il popolo si piega sotto il giogo, asseconda la propria miseria o piuttosto la insegue [...] Un uccello non si lascia irretire così facilmente nella pania, né un pesce abbocca cosí in fretta all'amo, come fa un popolo che si lascia allettare dalla schiavitú, purché gli si addolcisca un po' la pillola. Ma da molto tempo, ormai, non si ha piú a che fare con il monarca unico, che è possibile toccare e attaccare personalmente, contro il quale insorgeva La Boétie. A dominarci non è il Grande fratello creato da Orwell, ma piuttosto un sistema, come quello descritto da Max Weber negli anni Venti del secolo scorso: L'organizzazione burocratica basata sulla specializzazione del lavoro esperto e qualificato, sulla definizione delle competenze, le regolamentazioni e i rapporti di obbedienza gerarchizzati, va costruita in associazione con la morta macchina al lavoro, involucro di quel futuro asservimento, nel quale forse gli esseri umani, come i fellah dell'antico Stato egizio, verranno costretti ad adattarsi impotenti, quando per loro un'amministrazione e un'assistenza burocratica, utili solo sul piano tecnico, ossia razionale, saranno l'unico e ultimo valore, destinato a decidere sul modo di condurre le loro questioni. Questo infatti la burocrazia fa incomparabilmente meglio di qualsiasi altra struttura di potere. «Duro come l'acciaio» definì Weber l'involucro dell'asservimento, ma qui persino questo lucido pensatore si sbagliava. Perché ormai la prigione si è trasformata in un alloggio relativamente confortevole, che ricorda piuttosto una grande cella imbottita ed elastica. I nostri sorveglianti si avvicinano in punta di piedi. Nel massimo silenzio perseguono i loro piú importanti fini strategici, il controllo totale e l'eliminazione della sfera privata. Ricorrono al manganello solo se è assolutamente impossibile fare altrimenti. Preferiscono restare anonimi, non indossano uniformi ma abiti civili, si definiscono manager o commissari, e sbrigano i loro compiti non in caserma ma in uffici con l'aria condizionata. Sul lavoro si comportano in modo assolutamente umano. Ai detenuti offrono sicurezza, assistenza, confort e consumi. E intanto possono fare affidamento sul tacito assenso degli abitanti e sul fatto che i loro protetti premano con solerzia un tasto invisibile, sul quale è scritto «Mi piace». Anche su un altro punto l'analisi di Weber suona oggi anacronistica. Non abbiamo piú la sua ingenua fede nelle capacità e nell'affermazione dello Stato. Non solo perché a spingerlo avanti sono i mercati finanziari globali. Se si basassero solo su se stesse, né Berlino o Bruxelles né Washington sarebbero in condizione di garantire il controllo totale sulla popolazione. Per questo compito i loro funzionari sono semplicemente troppo impotenti e goffi, né hanno sufficiente dimestichezza con il livello raggiunto dalla tecnologia. Per questo le autorità sono dipendenti dall'economia, ossia dai cartelli delle multinazionali della Ict. Solo se le due parti - governi e aziende come Google, Microsoft, Apple, Amazon e Facebook - lavorano di conserva, la tenaglia sulla libertà promette successi radicali. È chiaro che in questa fragile alleanza le istanze politiche si limitano al ruolo di partner minori, perché solo le multinazionali dispongono dell' expertise, del capitale e degli esecutori necessari: informatici, ingegneri, sviluppatori di software, hacker, matematici e criptografi. Nel XX secolo la Gestapo, il Kgb e la Stasi non potevano neppure sognarsi i mezzi tecnici di cui loro dispongono: telecamere per una sorveglianza costante, controllo automatizzato del telefono e della posta elettronica, immagini satellitari ad alta definizione, dettagliati profili mobili, riconoscimento biometrico del volto, tutti i programmi teleguidati da meravigliosi algoritmi e messi in sicurezza su banche dati con illimitata capacità di memoria. L'ultima mossa di autodifesa contro lo zelo delle autorità tedesche e delle aziende risale a molto tempo fa, e ormai è quasi dimenticata. Nel 1983, un anno prima della data di Orwell, un censimento relativamente innocuo fece scandalo. Un numero incredibilmente alto di cittadini si rivolse allora alla Corte costituzionale e la loro rivendicazione fu accolta. Karlsruhe prese posizione contro il progetto governativo e stabili persino un nuovo diritto costituzionale sull'«autodeterminazione informativa» a tutela della personalità, un giudizio che oggi appare ingenuo. Nessuno ci si è mai attenuto. Nella cyberguerra contro la popolazione gli impotenti protettori dei dati hanno da tempo gettato la spugna. George Orwell continua ad avere ragione in merito alle regole linguistiche vigenti. La sua «neolingua» è diventata un socioletto ufficiale. Ai cosiddetti «servizi» la Costituzione non piace. Difficile distinguerli dai criminali del computer. La nuova «carta della salute» è in realtà un documento elettronico di malattia, visionare il quale potrebbe essere un gioco da ragazzi per ogni hacker esperto, e i social network sfruttano l'esibizionismo dei loro aderenti per approfittarne senza pietà. Un ultimo fastidioso residuo della sfera privata è rappresentato dal denaro contante. Certo è logico che lo Stato, di pari passo con le multinazionali, s'impegni risolutamente per eliminarlo. A questo servono le proliferanti carte di credito e le carte fedeltà. Altri sistemi di pagamento telematici e via chip saranno introdotti a breve. Evidente ciò che si vuole ottenere: il controllo possibilmente totale di tutte le transazioni. A questo sono interessati tanto il fisco quanto le reti asociali, il commercio online, l'economia creditizia, la pubblicità e la polizia. Inoltre deve essere cancellato ogni pur vago ricordo della materialità del denaro, in modo da ridurlo a una serie di dati, manipolabili a piacere. Solo per amore di completezza si consiglia di dare un'occhiata a un campo mediatico collaterale, ossia il tentativo di abolire il diritto d'autore. In questo caso si tratta di una tarda conquista del XIX secolo. Sino ad allora la lettura di libri era rimasta privilegio di una piccola minoranza. Quando il romanzo divenne un fenomeno di massa, gli scrittori si resero conto che con la letteratura si poteva guadagnare anche parecchio denaro, perché avevano partecipazioni anche sulle tirature e sulle traduzioni. La loro gioia fu purtroppo di breve durata. Oggi la stampa di un libro, nel frattempo definita print, è considerata dalle aziende leader un modello in estinzione. Di conseguenza, con il giubilo delle avanguardie digitali, si reputa il copyright un ostacolo. Agli allegri pirati appare comunque assurdo pagare per ciò che l'industria Ict definisce Content. In futuro quelli che un tempo venivano chiamati autori dovranno lavorare gratis; in compenso sono autorizzati a twittare, chattare e bloggare a piacere. Non sembra turbare nessuno il fatto che il tempo di dimezzamento delle tecniche disponibili, corrispondente al ciclo d'affari delle aziende Ict, si aggiri sui tre-cinque anni. Mentre un testo su pergamena o di carta senza acidi, dopo cinquecento o mille anni è ancora perfettamente leggibile, i media elettronici devono essere spesso rimemorizzati, per non diventare illeggibili in uno o due decenni. Il che è naturalmente lo scopo dei loro inventori. L'eliminazione del libro stampato non è un'idea del tutto nuova. L'hanno già preannunciata parecchio tempo fa. Nel 1953 Ray Bradbury l'ha descritta nel suo bestseller (!) Fahrenheit 451 , portandola alle estreme conseguenze. Nel suo racconto utopico il possesso di un libro è considerato addirittura un delitto capitale. Nei grandi pessimisti le visioni del futuro tendono all'eccesso. Ma il fatto che siano confutabili depone non contro, ma a favore di esse. Il che vale per Bradbury, cosí come per Orwell o per Max Weber. Essere piú intelligenti a posteriori non è davvero una grande arte. In qualunque prognosi infausta, la questione su dove stia l'elemento positivo resta tuttavia assolutamente ineludibile. Rispondere è facile. È oltremodo piacevole constatare che sinora tutto ciò che la nostra volontaria servitú ha portato con sé si è realizzato in modo incruento. Le residue «vestigia del passato» non sono affatto liquidate, come Lenin ha fatto credere in Russia. Il motivo è chiaro. Il tollerante atteggiamento dei nostri guardiani si basa su un semplice calcolo costi-benefici. Man mano che ci si avvicina alla condizione ideale, i costi per stanare gli ultimi riottosi tendono infatti al grigio cenere. Ci si accontenta dunque di una sorveglianza del 95 per cento. Sarebbe troppo dispendioso eliminare una piccola ma ostinata minoranza, che per pura cocciutaggine si oppone alle promesse dell'era digitale. Cinque per cento, pur sempre oltre quattro milioni di persone. Dunque: niente panico! Anche in futuro, chiunque non riesca a farne a meno potrà, indisturbato, spensierato e analogico, mangiare e bere, amare e odiare, dormire e leggere. | << | < | > | >> |Pagina 77Se la scienza sia una religione laicaDipende, nel modo piú assoluto. Come la religione, anche la scienza si presenta spesso in forma plurale, ad esempio come pura o applicata, ausiliaria, leader o di punta. Non è affatto chiaro a quale di queste spetti il ruolo di regina. Un tempo non era forse la filosofia o, alcuni secoli dopo, la teologia? Anche la matematica si è sempre considerata qualcosa di particolare. Oggi, in ogni caso, sono le scienze naturali a dominare. Si vantano di essere esatte e rigorose. I loro capi tengono in gran conto la differenza tra hard e soft science e, se pure con cortesia e riserbo, classificano discipline quali le cosiddette scienze umanistiche, sociali e della cultura come una superiore forma di chiacchiericcio. Le dimensioni economiche appaiono piú convincenti di simili valutazioni. Le scienze soft sono ormai i parenti poveri della famiglia: non possono neppure sognarsi i budget miliardari dei fisici, dei biologi e degli astronomi. Anche le loro pretese di riconoscimento sono troppo modeste per creare intralci alle religioni. Per le scienze naturali la cosa è diversa. Loro puntano all'insieme. Il che porta non solo a conflitti, ma anche ad analogie istituzionali. Esattamente come le grandi Chiese, gli scienziati dispongono di propri spazi, piú o meno extraterritoriali. Al perimetro del tempio, alle cattedrali e ai conventi corrispondono le università laiche, le accademie, gli istituti e i laboratori. Rituali e retaggi di sfarzi sono sopravvissuti da Heidelberg a Harvard sotto forma di porticati, toghe e collari istituzionali. Non a caso si dice che una persona ha ricevuto la «consacrazione accademica». Esattamente come i sacerdoti, i ricercatori hanno il vezzo di usare un linguaggio arcano, del quale i profani non capiscono nulla. Il latino e lo slavo ecclesiastici, cosí come l'arabo colto del Corano, sono lontanissimi dalla lingua corrente. E ciò vale anche per lo strano inglese con cui oggi comunicano gli scienziati di tutto il mondo. Solo pochi iniziati trarranno vantaggio da studi come Structures and Properties of 1,2-Dithiolylium-4-methide, 1,2-Dithiolylium-4-olate and 1,2-Dithiolylium-4-thiolate. A Mo Study at the HF- and post-HF-level, o prenderanno in considerazione The Large N Limit of Superconformal Field Theories and Supergravity. Naturalmente ciò non esclude affatto che essi siano importanti. Al pari delle Chiese, anche le scienze sono organizzate su base gerarchica. Alla scala che va dal diacono al sacerdote, fino al vescovo e al cardinale, corrispondono i gradi accademici che vanno dalla laurea alla laurea magistrale, dal dottore al direttore d'istituto. A una sola cosa i ricercatori non sono mai arrivati: la Santa Sede. Se qualcuno viene definito «papa scientifico», è evidente una nota di scherno. In questo senso, nel mondo accademico ha vinto il protestantesimo, sebbene non gli siano del tutto estranee pratiche quali la beatificazione e la santificazione. A dimostrarlo basta già il premio Nobel, che equivale a una canonizzazione. Somiglianze si possono ritrovare anche per quanto riguarda le regole scritte e non scritte dei due sistemi. Falsificazioni e plagi vengono puniti come blasfemie e sacrilegi. A questo provvedono, nel primo caso, il diritto canonico, i concili o lo statuto ecclesiastico; nel secondo la peer review e il collegio degli esperti. Meno chiaro è in che modo si possano disciplinare le controversie. Chi decide a chi spetti la superiorità? Dove tracciare i confini dell'ecumene? Questioni del genere creano difficoltà in entrambe le sfere. Ci sarebbe non poco da dire anche su analogie e differenze per quanto riguarda modalità di trasporto, toghe, finanziamenti e consuetudini di scambi informali. Si tratta naturalmente di questioni di dettaglio, che andrebbero lasciate agli etnologi. C'è invece un altro elemento d'interesse generale che le accomuna, ossia la totale pretesa di verità che accampano tanto le scienze «esatte» quanto le religioni. Il fatto che i loro sostenitori reagiscano in modo molto suscettibile agli attacchi esterni. I conflitti storici che ciò ha provocato sono leggendari, e la loro eco perdura ancora oggi. Minore attenzione destano le sovrapposizioni e le interazioni di cui la storia della religione e quella della scienza sono state testimoni. Non si ama sentir dire che nel Medioevo furono proprio i chierici a far progredire la ricerca. Il retaggio degli antichi è giunto in Europa tramite i teologi islamici, e lí è sopravvissuto anzitutto nei conventi. Il poligrafo Alberto Magno , che s'interessava di botanica, zoologia e mineralogia, era un vescovo domenicano; il grande logico Guglielmo di Occam era un monaco francescano, Copernico , un canonico di Ermia; Giovanni Keplero , un educando conventuale e teologo evangelico. Gli scambi di idee sul confine tra religione e scienze naturali non terminano con il Medioevo. Per decenni Isaac Newton si è occupato di teologia, mistica e alchimia; Leonhard Euler ha difeso la Bibbia contro i liberi pensatori; la genetica deve le sue prime conoscenze al monaco agostiniano Gregor Mendel ; Georg Cantor , fondatore della teoria degli insiemi, riteneva che i numeri transfiniti gli fossero stati rivelati direttamente da Dio; Max Planck era profondamente religioso e ha sempre preso sul serio la sua carica di presidente del Consiglio ecclesiastico; e alla fine della sua vita Kurt Gödel , il massimo logico dell'era moderna, cercò in tutti i modi di fornire una prova definitiva dell'esistenza di Dio. L'inconciliabilità fra religione e scienza non può essere dunque cosí profonda. Le piú violente controversie hanno portato gli eruditi delle due parti non gli uni contro gli altri, ma sempre sul proprio terreno. Per i cristiani erano in gioco la Trinità, l'Ultima Cena o la predestinazione, nell'islamismo i successori del Profeta. Una dottrina oppure una fatwa contro l'altra: era questo ad avere conseguenze letali. Ogni volta erano sempre le differenze teologiche a degenerare in cruente guerre di religione. Mentre bisogna riconoscere agli scienziati che solo in casi eccezionali si sono ammazzati a vicenda, comunque molto piú di rado dei credenti. Di solito i loro scontri avevano luogo piuttosto sulla carta, e per quanto possibile erano tollerati dai teologi. L'ultimo studioso di scienze naturali fatto bruciare sul rogo dalla Chiesa fu Giordano Bruno. Studiosi di epoche successive, come Galilei , persero nel peggiore dei casi i loro sponsor, furono oggetto di mobbing da parte dei pii colleghi e i loro lavori finirono all'Indice. Ma allo stesso tempo sono sempre stati gli outsider e i guastafeste a garantire da entrambe le parti la vitalità e lo sviluppo, per non dire il progresso, delle rispettive istituzioni. Un'ortodossia che si diffondesse senza eretici sarebbe perduta. Il che vale per le Chiese, cosí come per le scienze (volendo, le lacerazioni epocali che hanno prodotto si possono anche definire «cambiamenti di paradigma», come fa Thomas S. Kuhn nel suo famoso saggio sulla Struttura delle rivoluzioni scientifiche). Ora, per un'istituzione rompere con la tradizione risulta tanto piú difficile quanto piú essa è antica. Sotto questo aspetto le scienze esatte sono in vantaggio. Le religioni non sono in grado di tenere il passo con il ritmo innovativo che esse impongono, perché la loro evoluzione procede in modo «piú naturale», quindi piú lento. La filosofia dell'Illuminismo bruciò ancor di piú le tappe. La Mettrie , Holbach e Helvétius intendevano fare piazza pulita dell'«inganno dei chierici» e della «superstizione». In mancanza di una fune Diderot propose, per strangolare i re, di intrecciare gli intestini dei preti, e Voltaire esclamò: «Ecrasez l'infâme!» Ma la cosa si fece seria solo quando la Rivoluzione francese prese d'assalto le posizioni di comando della politica. Nel 1793 la Convenzione vietò con un colpo di penna le messe cattoliche nelle chiese di Parigi; nelle cattedrali si arrivò a saccheggi e a cortei carnevaleschi. I giacobini intendevano sostituire il cristianesimo con il culto della Ragione, a cui dedicarono numerose chiese sconsacrate. A Nôtre Dame celebrarono una «Festa della libertà», sulla quale eressero la dèa della Ragione nelle sembianze di una bella francese. La cosa non piacque a Robespierre, che preferí inventarsi un nebuloso «Essere supremo», da venerare in numerosi templi. Immediatamente hébertisti e montagnardi, ateisti e deisti si azzuffarono sulla dottrina pura. Non ebbero il tempo di fare una guerra di religione: dopo dieci anni, infatti, il tentativo di abrogare la vecchia religione per decreto e di fondarne all'istante una nuova era fallito. Ateisti successivi riposero le loro speranze in una tranquilla, non violenta opera di secolarizzazione, supponendo che le chiese si sarebbero lentamente svuotate da sole. Già all'inizio del nuovo millennio dovettero prendere atto del loro errore. Le sette nordamericane, cosí come l'Islam, dimostrarono un'inattesa vitalità. Il mondo imparò di nuovo a distinguere tra dozzine di denominazioni. Sunniti e sciiti, wahhabiti, ismailiti, zayditi e aleviti campeggiavano sulle prime pagine dei giornali, insieme ad anabattisti, evangelici pentecostali e cristiani rinati. Ovunque, tutto un pullulare di scissioni. Seguaci del New Age, di Scientology e oscuri predicatori del Risveglio hanno conquistato il mercato. L'odiata superstizione, dall'astrologia all'esoterismo, ha rialzato la testa. Nuove forme di militanza hanno assunto influenza politica, a Teheran come alla Casa Bianca. Ciò non poteva non irritare e amareggiare i sommi sacerdoti della Ragione, che all'improvviso si videro di nuovo costretti alla difensiva. Ritornarono antiche battaglie. Scienziati e filosofi come Richard Dawkins , Sam Harris , Stephen Hawking e Michel Onfray hanno scalato la lista dei bestseller con saggi intitolati L'illusione di Dio, La fine della fede e Non abbiamo bisogno di Dio. Anche il ben noto guastafeste Christopher Hitchens è intervenuto sbattendo in faccia ai credenti: «Dio non è grande!» Neuroscienziati americani hanno annunciato, come in passato La Mettrie: «Noi siamo solo macchine». Una cosa non particolarmente originale. I fondamentalisti dell'intelligenza artificiale non si sono accontentati di un repêchage del genere. Vorrebbero, come Ray Kurzweil , guru del Massachusetts Institute of Technology, redimere l'umanità da se stessa. «Fra quindici anni, - auspica, - la biotecnologia ci consentirà di modificare il nostro programma biologico, il che ci farà vivere abbastanza a lungo, finché la nanotecnologia ci metterà in grado di vivere in eterno». Fin lí il profeta arriva a cavarsela. «Per rallentare il processo di invecchiamento, Lei prende 250 pillole di integratori?» «Aumentando l'efficienza, sono ormai a duecento». Già nel 2002 Kurzweil era stato accolto nel National Inventors Hall of Fame. L'uomo ha buoni agganci. Larry Page, uno dei fondatori di Google, è tra i suoi ammiratori. A sostenerlo ci sono anche la Apple e la Nasa. Non c'è da stupirsi che sia di ottimo umore. Singolare è solo il tono appassionato con cui presenta le sue fantasie di onnipotenza. Come capita spesso quando si annuncia una Weltanschauung, chi la proclama è stato contagiato dagli avversari, e senza accorgersene riproduce la loro pretesa d'infallibilità. In questo modo si trasforma in missionario, e l'ateismo diventa religione. Fortunatamente i devoti della scienza costituiscono, tra gli scienziati, solo una minoranza. Cosí come un cardinale può permettersi piú dubbi di una bigotta al confessionale, ogni volta che sono in gioco le certezze i piú intelligenti si limitano a un sorrisino, mentre con la religione tengono un rapporto di ironica distanza. Cosí l'ha sempre trattata Einstein. Una volta scrisse: «Per me la religione ebraica è, come ogni altra, la quintessenza della piú puerile superstizione». Con la stessa nonchalance giunse alla citatissima conclusione: «Una scienza senza religione è zoppa, una religione senza scienza è cieca». In ogni caso il partito dei dottrinari, degli zeloti e dei fanatici incapaci di tollerare l'imperscrutabile, è piú piccolo del rumore che provocano.
Di loro non c'è da temere, perché «proprio quelli che suscitano grandissimo
timore, - dice l'impavido
Paul Feyerabend
, - non sono altro che topi infagottati in vesti di leone». II loro
remake
delle diatribe del XVIII secolo resta isolato e improduttivo, anche
quando si cela sotto la maschera della tecnica piú avanzata. Non
hanno nulla di meglio da fare che intrattenersi e intrattenerci con
questioni insolubili? Perché non risparmiano al mondo i loro sciocchi tentativi
di sostituire la scienza con la religione e la religione con la scienza?
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