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| << | < | > | >> |IndicePrologo. Schematizzare senza concetti 7 I. La supercazzola e la différance 15 II. Esiste l'unicarne? 49 III. La sussunzione dell'ornitorinco 79 IV. La verità sugli ircocervi 99 Note 127 Indice dei nomi 147 |
| << | < | > | >> |Pagina 7MASCETTI Tarapia tapioco! Prematurata la supercazzola o scherziamo? VIGILE Prego? MASCETTI No, mi permetta. no io... Scusi, noi siamo in quattro, come se fosse antani anche per lei soltanto in due oppure in quattro anche scribai con cofandina, come antifurto, per esempio. VIGILE Ma che antifurto! Mi faccia il piacere, questi signori qui stavano suonando loro, 'un s'intrometta![...] È infatti sinora mancata - che io sappia - non solo una trattazione filosofica della supercazzola, ma persino (e questo dà davvero da pensare) una disamina anche sommaria dei cornuti, ircocervi sociali così paradigmatici e mansueti (sono, letteralmente, gli animali più domestici che ci siano; visto che le corna richiedono di necessità un focolare) e che però non hanno attirato l'interesse dei filosofi, mentre sono amatissimi dai narratori. Ho aggiunto i più gettonati unicorni, e i popolari (dopo Umberto Eco ) ornitorinchi, rimettendo ad altra occasione l'indagine sulle lunghissime unghie di Gilles Deleuze o sull'età del cucco, o sulle squame dei pesci, che i Sofisti portavano ad esempio per confutare Platone (ci saranno idee anche di quelle?). Opponendosi al «di ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere» del perentorio Wittgenstein , ancora Eco ha scritto che di ciò di cui non si può parlare bisogna narrare. Visto che non a tutti è dato di scrivere Il norme della rosa , e che tanti professori romanzieri avrebbero fatto meglio a seguire il precetto di Wittgenstein, suggerirei che di ciò di cui non si può parlare con totale certezza filosofica è lecito cazzeggiare o supercazzolare. E dunque anche parlare di unicorni (dell'unicorno) e di ciò che sta intorno a loro, una fauna brulicante. «Intorno all'unicorno» potrebbe intendersi come una formulazione aulica, Perì monokérotos, «dell'unicorno», proprio come Perì hermenéias, «dell'interpretazione», dove peraltro (lo vedremo) si parla di un essere non meno singolare, il becco-cervo. E questa prospettiva fornisce un nuovo senso al sintagma «intorno agli unicorni»: quello delle varie entità più o meno bizzarre che li circondano, così come della loro matrice essenziale, del pleroma che le avvolge, la supercazzola. Il movente è schivare gli standard e la loro non troppo implicita normatività, mettendo a frutto l'insegnamento leibiniziano: chi ha visto più ritratti di piante e di animali, di macchine, di case, di fortezze, chi ha letto più romanzi ingegnosi e sentito strani racconti, avrà più conoscenza di un altro, perché sarà addestrato a riconoscere le novità quando gli si presentano. Purché, ovviamente, sappia distinguere il reale dall'immaginario e dall'impossibile. Le ragioni che mi hanno spinto a scrivere queste pagine sono dunque, oltre che ludiche, semiseriamente filosofiche. È vero che la barba di Platone è troppo lunga, quanto dire che talora i filosofi trattano unicorni e supercazzole alla stessa stregua di ircocervi e ornitorinchi. Ma per evitare la crescita di una giungla ontologica in cui fioriscono unicorni, supercazzole e verità alternative, giova valorizzare una sfera filosofica a torto subalterna rispetto all'ontologia e all'epistemologia, e cioè la tecnologia. Come ogni tecnologia, la supercazzola è un know how e non un know what, un können e non un kennen. Questa competenza potrà, ma non necessariamente dovrà, diventare comprensione, il che significa che la tecnologia potrà far emergere isole di sapere (epistemologia), di conoscenza concettuale, ma la grande forza fondamentale è pur sempre inconscia. E che all'origine di tutto, dell'arte come della scienza, troviamo la supercazzola. Anzi, le supercazzole, al plurale, perché l'una tira l'altra e non vengono mai da sole. Diceva Sohn Rethel: siamo alle prese con un «pensiero anteriore ed esteriore rispetto al pensiero»; rispondeva Freud , parlando del sogno: «Non pensa, non calcola, non giudica affatto: si limita a trasformare». Si legga questo name dropping tenendo a mente la sigla di Quelli della notte: «Lo diceva Neruda / che di giorno si suda / (ma la notte no!) / rispondeva Picasso / io di giorno mi scasso / (ma la notte no!)». E se ne distilli l'essenziale: il lavoro del sogno è il lavoro della supercazzola, e la supercazzola è un»sogno a occhi aperti, che permette l'emergenza del senso. | << | < | > | >> |Pagina 12[...] È di questo schematismo tecnologico che trattano le pagine seguenti, in cui volendo si può vedere una tardiva appendice alla Critica del giudizio , della quale prende a prestito non solo l'idea del giudizio riflettente, ma anche la tripartizione dello schematismo in schemi per i concetti puri, che applico agli unicorni; in esempi per i concetti empirici, che uso per sussumere gli ornitorinchi; e in simboli per le idee della ragione, che mi servono per raffigurare gli ircocervi. A tutto ciò aggiungo, come matrice generale, la supercazzola, il nisus formativus, il Bildungstrieb e insomma la forza primaria e propulsiva di schemi, esempi, simboli, che stanno alla base delle cognate entities di cui mi occupo: unicorni, ornitorinchi e ircocervi, d'accordo con il seguente schema:__________________________________________________________________ Entità Ontologia Epistemologia Tecnologia __________________________________________________________________ Supercazzola Individuo Flatus vocis Différance Unicorno Individuo Artefatto Schematizzazione Ornitorinco Individuo Oggetto naturale Esemplificazione Ircocervo Individuo Oggetto sociale Simbolizzazione __________________________________________________________________ Come si noterà, l'aspetto interessante di queste entità non è l'ontologia - monotona: sono tutti individui - bensì l'epistemologia, un po' più movimentata, e soprattutto la tecnologia: quali sono le procedure attraverso cui si può produrre una supercazzola, un unicorno o un ircocervo, e riconoscere un ornitorinco. | << | < | > | >> |Pagina 31Perciò la filosofia non solo ha stigmatizzato la supercazzola fuori di sé (in Bullshit di Frankfurt) ma l'ha praticata in prima persona, come nel casi segnalati da Sokal e Bricmoru in Imposture intellettuali; nei casi migliori l'ha teorizzata: che cosa sono il blitris di Tommaso d'Aquino, il bufbaff di Giovanni Buridano, se non delle supercazzole metafisiche intenzionali, così come la monotriade e l'attuosità di Gentile sono supercazzole filosofiche preterintenzionali? E che cosa dire dell'«intenzionalità anonima fungente» di Husserl, che in sé non è una supercazzola, ma che come tale è stata usata per decenni da un illustre accademico italiano, che si è sempre rifiutato di spiegarmi che cosa intendesse con quelle parole? (alla fine, ho dovuto rassegnarmi a capirlo da solo, scoprendo che non è una supercazzola). O del «tessuto necrotico del mito» di cui mi parlava un altro non meno illustre accademico, e che però, a precisa domanda su cosa intendesse con ciò, mi rispose «Non lo so»? E di quell'altro che si sfiniva, forte dell'autorità di Schelling, a spiegarmi che l'autopresentazione di Dio ad Abramo, «Sono colui che sono», andava intesa come «Sarò quel che sarò»? (Que sera, sera, / Whatever will be, will be... ).Supercazzola supercazzolarum, et omnia supercazzola. Una celebre supercazzola filosofica - questa volta, però, volontaria - è poi stata coniata nel secolo scorso da Willard Van Orman Quine. Siamo su un'isola dei mari del Sud, fremono le foglie, passa un coniglio, e un indigeno che parla una lingua a noi ignota dice «Gavagai». Sarebbe affrettato concludere che significa «coniglio», potendo significare una parte temporale di coniglio, il passaggio del coniglio, o la coniglità. Come stabilire il significato? Quine sollevava un gran problema. Sarà vero che, come dice Nietzsche, non ci sono fatti, solo interpretazioni? O peggio, molto peggio (e peggio ancora dei più iperbolici dubbi di Quine e di Nietzsche): e se l'indigeno, profferendo «Gavagai», altro non avesse fatto che esprimere, in forma sintetica e nel suo idioma, «Tarapia tapioco, come se fosse antani, blinda la supercazzola»? | << | < | > | >> |Pagina 33Pel piacer di porle in listaCon un singolare ottimismo Heidegger ha sostenuto che il linguaggio è la Casa dell'Essere. Più sensatamente, è la Casa della Supercazzola, ed è difficile non cedere alla tentazione e alla vertigine della lista: (a) S. colte: inameno (Domenico De Robertis), decoturnizzare, deversare (Gianfranco Contini), rastremato (per «raffinato», Alberto Arbasino); (b) S. tecnologiche e burocratiche: aeromobili, cappelliere, disarmare gli scivoli (si dice solo sugli aerei, mai fuori), «Si rammenta alla gentile clientela che i titoli di viaggio ecc.» (invito a pagare il biglietto sulla funicolare a Napoli, ripetuto ogni dieci minuti con un dire che rischia di esentare dal fare); (c) S. militari: oltre alla supercazzola autentica «la guerra continua» del sabaudo Badoglio, ecco la ben nota supercazzola apocrifa della Marina delle Due Sicilie: «All'ordine Facite Ammuina: / tutti chilli che stann' a prora vana' a poppa / e chilli che stana' a poppa vann' a prora; / chilli che stann' a dritta vana' a sinistra / e chilli che stann' a sinistra vann' a dritta; / tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa / e chini che stanno ncoppa vann' abbascio / passann" tutti p'o stesso pertuso; / chi nun tene nient' a ffà, / s'aremeni a 'cca e a 'llà»; (d) S. storiografiche: «Il 5 [gennaio 1860] Garibaldi, con il consenso del governo piemontese, dà incarico a Giuseppe Finzi ed Enrico Besana di organizzare una raccolta di fondi per un milione di fucili», 999.000 più del necessario; (e) S. araldiche: «Carlo Alberto Emanuele Vittorio Maria Clemente Saverio di Savoia-Carignano. Re di Cipro, Re di Gerusalemme. Principe di Carignano, Principe di Piemonte, Duca di Savoia. Duca di Genova, Conte di Barge, Custode della Sacra Sindone»; (f) S. giuridiche ed economiche: «Rule of Law», «salvo buon fine»; (g) S. teologiche: «Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato. non creato, della stessa sostanza del Padre» (se mettete la frase sul web vedrete quante interpretazioni supercazzolari è a sua volta capace di generare); (h) S. camorristiche: «Sia' senza penzier» nella serie TV Gomorra; (i) S. politiche: «#Enricostaisereno», «Eja carne del Carnaro. Alalà»; (j) S. naturalistiche: «Il testicolo in alcuni Lumaconi è maggiore, in altri è minore e differentemente figurato»; (k) S. epistolari: «volo pasquativo dei cigni-ocazzi» (Gadda a Contini);
(l) Eccetera.
Sì, eccetera, perché avremmo potuto continuare all'infinito. E si può far di meglio, [...] | << | < | > | >> |Pagina 41Il digitale è l'esplosione dell'eccetera, nel bene e nel male. In fondo, lo avevamo sempre sospettato: la grande immaginazione e sempre grande memoria. Il fatto che i Greci considerassero Mnemosyne, la dea della memoria, come la madre di tutte le muse, la dice lunga sui legami che intercorrono tra memoria, immaginazione e creatività. Quanta più memoria, tanta maggiore creatività, quanta più iterazione, tanta maggiore alterazione potenziale. Anche per questo Hegel ha scritto che «il significato è due volte»: la prima volta è il semplice deposito, la traccia che si iscrive, il dato che si salva; la seconda, invece, è l'emergenza del significato attraverso l'interazione fra le tracce. Banalmente, avere cultura non significa aver letto un libro, ma molti, e avere esperienza non significa avere una sola esperienza, ma tante, al punto che la lista deve chiudersi con un eccetera. Tuttavia l'elenco, per quanto insensato, si pone all'origine del senso, cioè del lungo cammino che dalla supercazzola conduce alla Critica della ragion pura.| << | < | > | >> |Pagina 43Proseguendo questo ideale enciclopedico, Bacone propose, tra gli obiettivi delle scienze, non solo il prolungamento della vita e la cura di malattie incurabili, ma il trapianto tra una specie e l'altra e la creazione di nuove specie - dunque, volendo, anche di unicorni - e Christian Wolff scrisse un trattato sui fuochi d'artificio e uno sulla fabbricazione della birra. Senza dimenticare l'immane e demente enciclopedia di Bouvard e Pécuchet , che tocca il suo culmine nel giardino di casa trasformato in un enorme apparato mnemotecnico in cui i recinti delimitavano le epoche, i meleti erano gli alberi genealogici, le siepi le battaglie e il mondo diventava simbolo. Il cerchio non si chiude, l'insieme degli insiemi è autocontraddittorio, la luce può essere descritta tanto in termini corpuscolari quanto in termini ondulatori, l' Aufhebung, la sintesi di tesi e antitesi sognata dalla dialettica, non riesce, ed eccoci alla supercazzola, o alla différance.
Différance
Che cos'è la différance? D'accordo con la definizione che ne offre Derrida, non è né un essere né un sapere, bensì un fare. Nel mio vocabolario, non è né ontologia né epistemologia, bensì tecnologia. Ma in cosa consiste questa tecnologia? | << | < | > | >> |Pagina 47L'immagine dell'azione umana come di una prassi inconscia che diviene consapevole solo attraverso un divenire storico (una concezione che da Vico giunge a Hegel e allo storicismo) rende pienamente conto di questa circostanza. Noi non sappiamo le ragioni delle nostre azioni, e solo a volte possiamo spiegarcele. Reciprocamente, conoscere i principi di ciò che facciamo non ci rende più efficienti (in caso contrario, i professori delle accademie militari sarebbero i più grandi strateghi, il che quasi mai accade). Infine, venendo alla matematica e alle forme di pensiero apparentemente più astratte, la grande scoperta di Turing consiste nell'aver capito che per calcolare non è necessario sapere cosa sia la matematica, ma occorre disporre delle competenze tecniche che consentono il calcolo. Come diceva Vico? Homo non intelligendo fit omnia: gli umani agiscono prima di comprendere, e la comprensione, se e quando arriva, non è la premessa - come pensano i cartesiani - bensì il risultato.La supercazzola o différance è un operatore tecnico la cui azione si articola in quattro momenti: l'iscrizione, per cui qualcosa si fissa, in noi o fuori di noi; l'iterazione, grazie alla quale ciò che è fissato viene iterato, una o n volte; l'alterazione che introduce una modifica, intenzionale o meno; e 1'esternalizzazione, il processo per cui iscrizioni, iterazioni e alterazioni passano su un supporto tecnico esterno. Queste funzioni sono correnti nella descrizione della conoscenza, da Platone a Husserl passando per Kant e Hegel, costituendo insieme il nocciolo della filosofia speculativa e la madre di tutte le supercazzole. Non sorprenderà che a partire da questa [...], da questo spazio senza senso, possa generarsi il senso, articolandosi nelle tre forme dello schematismo (che esaminerò parlando di unicorni), dell'esemplarismo (ornitorinchi) e del simbolismo (ircocervi selvatici e domestici). | << | < | > | >> |Pagina 66Quello che è viceversa davvero interessante è la forza della tecnologia. Non si sopravvaluterà mai la circostanza per cui l'iterazione provoca un cambio qualitativo, il passaggio dalla passività all'attività attraverso la passività, in base al semplice fenomeno per cui ciò che è iscritto è iterabile, e ciò che è iterabile non è più passivo, ma si fa attivo e animato. Non c'è un voler-dire, una idea, uno spirito anteriore alla espressione e alla iscrizione. Il voler-dire, l'intenzione, lo spirito nascono dalla registrazione: iter, «di nuovo», e alter, «altrimenti», derivano da una medesima radice sanscrita, itara. E non stupisce, dal momento che qui si tocca un aspetto che è logico e ontologico e non solo linguistico. Iterare è, al tempo stesso, alterare: l'unicità ontologica dell'individuo viene raddoppiata, così che la iterazione (perfetta o meno) è anche l'alterazione. In questo senso, l'immaginazione, che - combinando iterazione e alterazione - costituisce il carattere proprio della tecnologia, è, come suggeriva Heidegger interprete di Kant, la «radice comune» di sensibilità e intelletto, presentandosi come una competenza senza comprensione. Vado in bicicletta senza conoscere le leggi della fisica, maneggio il denaro senza disporre di teorie economiche e, come scriveva Leibniz, l'asino va dritto al fieno senza aver letto una riga di Euclide. Analogamente, dagli spostamenti da una pagina all'altra - da un link a un altro - emergono associazioni che non avevo previsto, l'archivio spesso ha la meglio sul progetto, e soprattutto quello che faccio con il web è indipendente dal fatto che io sappia o meno cosa sia il web e come funzioni.| << | < | > | >> |Pagina 69[...] Propongo ora una nuova lista di categorie. che mette conto di esporre in breve, se non altro perché non sono dodici, come in Kant, ma solo tre, come in Peirce: la primità, quello che c'è, la secondità, quello che sappiamo, e la terzità, quello che facciamo.Ognuna di esse risulta esemplificata (anche se non esaurita) da una tipologia privilegiata di oggetti. Alla prirità corrispondono paradigmaticamente gli oggetti naturali, come gli ornitorinchi, che esistono nello spazio e nel tempo indipendentemente dai soggetti conoscenti. I1 paradigma della secondità sono gli oggetti sociali, come i cornuti, che esistono nello spazio e nel tempo ma dipendentemente - sin troppo - dai soggetti conoscenti e spesso da soggetti sconosciuti. La terzità è infine esemplificata dagli artefatti, come gli unicorni di peluche, che dipendono dai soggetti quanto alla loro produzione (in questo operando come gli oggetti sociali) ma che (come gli oggetti naturali) possono continuare a esistere anche in assenza di soggetti e possedere proprietà non previste da chi li ha inventati, come il valore antiaggregante dell'aspirina e la portata documentale del telefonino. | << | < | > | >> |Pagina 79Conosciamo il problema sollevato da Eco a proposito dell'ornitorinco. Se hai il concetto di «cane» (che non è, con buona pace di Kant, un concetto puro dell'intelletto), potrai riconoscerne uno, avvalendoti della intermediazione di uno schema, di un metodo di costruzione che ti permette di costruire un quadrupede. Il concetto di «cane» è dunque correlato a un oggetto (a una serie di oggetti), risultando soddisfacente tanto dal punto di vista epistemologico (l'epistemologia dei cani è fornita dalla normale zoologia, e comprende cani, lupi, coyote, sciacalli e molte specie estinte) quanto da quello ontologico. Ma se non hai il concetto di «ornitorinco», come fai a riconoscerne uno? L'ornitorinco ha, per così dire, un deficit epistemologico: esiste (ontologicamente è quello che è, con tutte le sue proprietà), ma al tempo di Kant non è classificato, banalmente perché in Prussia non se ne sono mai visti. Ovviamente, poiché lo schema del cane è desolatamente vago, potrebbe benissimo applicarsi anche all'ornitorinco, ma in questo caso avremmo scambiato lucciole per lanterne.
Qui Quo Quine
Non è la prima volta che la scoperta dell'Australia provoca imbarazzi a filosofi e non filosofi. Si sostiene che sia una leggenda quella secondo cui il nome «canguro» derivasse dalla risposta «Non capisco» data a Cook quando questi vide il primo canguro e chiese a un nativo (non senza ingenuità, visto che la domanda era presumibilmente in inglese) di cosa si trattasse. Pare in effetti che gli indigeni chiamassero il canguro kangooroo o ganguru; ma quando, molto tempo dopo, si incominciò a classificare le lingue australiane, kangooroo o ganguru erano scomparsi. Pensare che kangooroo significhi «canguro» e non «che cosa hai detto?», «non capisco». «che cazzo vuoi?», «chi sei?» nasce in fondo dalla presunzione ingenua per cui nove lettere siano più adatte a comporre una parola che non una frase. Ma, all'atto pratico e per quanto ne sappiamo, non c'è alcuna ragione logica per propendere per l'una o l'altra soluzione, sicché Kangooroo sembra essere il perfetto (e più ricco) antenato di Gavagai. Nel caso dell'ornitorinco, però, c'è una difficoltà supplementare, il fatto cioè che si tratti di un animale esotico, e non di un normalissimo coniglio. Tanto è vero che, se Quine avesse visto passare un ornitorinco, e non avesse saputo cosa fosse, la sua attenzione si sarebbe appuntata su quello strano essere, e probabilmente non avrebbe in alcun modo dubitato che l'indigeno con «Gavagai» intendesse l'ornitorinco: il dubbio iperbolico di fronte ai conigli è un lusso, identificare gli oggetti inconsueti come un ornitorinco una necessità a cui si cerca di rispondere con strategie economiche e generalmente efficaci. Talmente esotico da sembrare inesistente, l'ornitorinco avrebbe potuto condividere lo status ontologico dell'unicorno, o magari del sarchiapone, che non vive in Australia, ma compare in una scena televisiva di Walter Chiari e Carlo Campanini, il 9 febbraio 1958. Per quel poco che riusciamo a immaginarcelo, il sarchiapone risulta somaticamente prossimo a Scarpantibus, l'uccello preistorico di Alto Gradimento calzato con anfibi e catturato in Nicaragua, e geneticamente simile al richiamo del venditore di sugna calda. Chiari l'aveva infatti sentito in spiaggia, a Fregene, dove un venditore attirava i clienti al grido di «venite, compratevi il Sarchiapone napoletano». È voce che si trova in dialetti campani e abruzzesi. Era già stato avvistato nel Cunto de li cunti di Giambattista Basile , pubblicato fra il 1634 e il 1636, dove un personaggio, Peruonto, è definito «lo chiù solenne sarchiapone c'avesse creiato la natura». Poi è uno dei personaggi della Cantata dei Pastori, di Andrea Perrucci (1698). Dopo lo sketch di Chiari il sarchiapone ebbe una vita intensa tanto nella cultura popolare (è il titolo di una poesia di Totò in 'A livella, del 1964, e compare in un fumetto di Martin Mystère e nella versione italiana dei videogiochi Mana), quanto nella cultura alta (è stato affrontato nella sua giusta dimensione concettuale da Eco in Kant e l'ornitorinco ) e nella vita civile, anzi militare, essendo il nome di un radar sperimentale installato negli anni Settanta e Ottanta sulla fregata Alpino, poi, in versione evoluta, sul cacciatorpediniere Ardito a partire dalla fine degli anni Novanta. Se non fosse stato un sarchiapone, l'ornitorinco avrebbe potuto essere un mostro, e i mostri non sono così rari come si pensa, né oggi né al tempo in cui Cook scoprì canguri e ornitorinchi. | << | < | > | >> |Pagina 84Come sussumere un ornitorincoL'ornitorinco esiste, ci piaccia o no. Ma come facciamo a sussumerlo, se non ne abbiamo il concetto? La buona risposta sarebbe forse: sono domande da farsi? Da quando in qua sono necessari concetti per avere delle intuizioni? La necessità del concetto per l'intuizione deriva da una confusione tra cause ed effetti. Mettiamoci nei panni di chi veda per la prima volta un ornitorinco. Poiché è un uomo e non un castoro - posto che si sappia qualcosa di tutti i castori, e si conosca tutto di tutti gli uomini - è portato a formulare delle ipotesi conoscitive; ipotesi che, nella fattispecie, si rivelerebbero erronee. Però non si è dimostrato che le intuizioni senza concetto sono cieche; anzi, si è dimostrato il contrario: se uno non sa bene quello che ha di fronte, le intuizioni di per sé non sono cieche; ci sembra soltanto che lo divengano nel momento in cui si cominciano a formulare, in base a concetti, delle ipotesi erronee. Per riconoscere non ho bisogno di concetti, bastano le figure. | << | < | > | >> |Pagina 86[...] L'ontologia ha un enorme vantaggio sull'epistemologia: il sapere non può creare l'essere, ma dall'essere si può - a volte e con un po' di fortuna - giungere al sapere.| << | < | |