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| << | < | > | >> |IndicePremessa 9 Cap. I – Trasformazione dei territori urbani tra nuove gerarchie e nuove minoranze 13 1. Il territorio come «carne»: gli effetti di superficie 15 Il pluriurbano 17 Nuove tecnologie, nuovi linguaggi, nuovi territori 19 2. Dalle gerarchie verticali alle gerarchie in rete 25 La città cibernetica 26 Sguardi tecnologici 28 Labirinti urbani 32 3. Dalla città-macchina alla città globale 35 Urbanesimo: il dominio della tecnonatura 36 Feticismo e biopolitica 40 4. L'urbano è un corpo mutante 45 Il mutante urbano 47 Il mito dell'approdo 48 5. Divenire minoritario: la nuova organizzazione degli spazi, delle relazioni sociali, dei linguaggi 51 Disorientamenti metropolitani 52 Un territorio a venire 54 Cap. II – Mutazioni antropologiche 61 1. Corpi e territori come campo di sperimentazione 63 Frontiere della biopolitica: tecniche di sperimentazione sui corpi 65 Potenza del desiderio 69 2. La potenza del falso e le strategie del consenso 71 Potenza del corpo e potenza del territorio 72 3. Pratiche di accelerazione e processi di dematerializzazione 77 Il divenire urbano 78 Zone di «indiscernibilità» 80 4. Corpi e bisogni nell'attuale sistema di controllo 83 L'invenzione dell'identità 85 Disciplinamento dei corpi 87 La mercificazione delle relazioni 90 5. Il mitologema della tecnica tra neo-tribalismo e creazioni futuribili 95 Tatuare il corpo, tatuare il territorio 98 Liberarsi dal vissuto 100 Cap. III - Le nuove paure: il corpo e il te morio tra mito e «rischio» 109 1. La vita come rischio 111 Ambiente-corpo della trasformazione 115 L'epidemia della paura 119 2. Paura e panico: il corpo come eccedenza 125 Il grande Pan è diventato un virus 127 Ambienti del rischio 129 Tecnologie della comunicazione: l'eccedenza del corpo 133 3. Linee di fuga e tecniche di assoggettamento 137 Il governo della luce: spazi del controllo e spazi della sparizione 139 Lo sguardo cibernetico 141 Territori della sottrazione 146 4. Disagio, delirio e nuove compatibilità 149 Disfare il corpo produttivo 150 Modificare l'organismo 152 Territori del masochismo 154 5. Pratiche del divenire 157 Ambiente e tragedia 158 Grammatica maggiore: il credo tecnologico 161 Minoranza e burocrazia 163 Capitolo IV — Geofilosofia contro geopolitica 171 1. Produzione di spazi altri 173 Spazi virtuali: i territori dell'adesso 179 Nuove forme di territorializzazione 182 2. La Geografia come espressione 185 Geofilosofia 188 Paesaggi del terzo millennio 191 3. Spazi eterotopici 195 Il tempo accelerato 198 4. Questa non è una mappa 201 Classificazione contro libertà 204 La carta virtuale abito del mondo 207 5. La geopolitica serve, ancora, a fare la guerra? 211 Orizzonti geopolitici 215 Geofilosofia: divenire liberi, divenire minori... 220 Conclusioni 227 Bibliografia 232 Filmografia 239 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Corpo e territorio condividono una singolare e comune condizione: quella di un divenire sospeso tra il persistere del passato e le sollecitazioni di un presente-futuro radicalmente pervaso dalle nuove tecnologie. L'intreccio di relazioni, affetti, scambi sociali ed economici, che attengono tanto ai corpi quanto al territorio, si dispiega su di un piano articolato che deve essere definito in quanto ambiente. Tuttavia, occorre soffermarsi sul concetto d'ambiente in ragione delle molte definizioni che questo ha assunto per confrontarle con l'accezione che qui si propone. Tradizionalmente il concetto di ambiente è stato contraddistinto dall'impiego che la geografia, in primo luogo, e poi anche le scienze sociali ne hanno fatto. L'ambiente è però una dimensione, un orizzonte, un piano ben più ampio che, lungi dall'essere omogeneo, prevede un'infinità di spazi e modalità che forgiano instancabilmente l'esistenza. L'ambiente ha a che fare con la vita, con i corpi che lo costituiscono, con le trasformazioni che lo attraversano. Attualmente la complicazione e variazione raggiunta dai processi di trasformazione, avviati soprattutto dalle nuove tecnologie, richiede un salto di paradigma. In altri termini, dobbiamo interrogare quanto accade ricorrendo ad una pluralità di strumenti che non sono unicamente interdisciplinari, ma che devono riuscire a enucleare, soprattutto attraverso un'attenta analisi del linguaggio, la natura dei nuovi dispositivi. Si tratta di dispositivi, non solo di potere nel senso foucaultiano del termine, ma anche di comunicazione, di governo dei corpi, delle passioni e del territorio come espressione creativa del vivere quotidiano. In questo senso il territorio, com'è stato notato già da numerosi studiosi, non è riducibile alla sua cartografazione. Il territorio si costituisce unitamente ai corpi in quanto ambiente, poiché è un tessuto di processi spesso contraddittori, d'istanze che indicano le pieghe di un conflitto che oppone alla legge del controllo le istanze di liberazione. Quest'ultime elaborano modalità insediative, linguaggi, commistioni che indicano concretamente le alternative necessarie a un sistema che ha elevato il proprio credo burocratico e tecnocratico al rango di dogma. L'ambiente è caratterizzato da un'estrema plasticità, una performatività che mai come ora ci rivela come si sia giunti a un momento di scarto particolare: quello dell' accelerazione. E se è pur vero che ogni rivoluzione economica ha mobilitato il proprio cambiamento imponendo straordinarie accelerazioni temporali, quella di cui ci stiamo occupando indica una sua peculiare novità: la metamorfosi e la dematerializzazione dello spazio com'era stato inteso fino a ieri. Beninteso, questo movimento di tendenza non significa che lo spazio concreto e materiale del quotidiano non esista più, piuttosto è la percezione e concezione che ne abbiamo che è mutata e con essa il suo uso. Al pari del territorio, e ancor più del divenire urbano del territorio odierno, il corpo incontra una profonda mutazione di stato e dunque di concezione. Il corpo precario, a durata limitata, capace di straordinari adattamenti ma di altrettanto forti resistenze confligge con il corpo biotecnologizzato che viene attualmente propagandato. Non si tratta solo di valutarne il potenziamento delle prestazioni e della durata, nell'ambito di uno scenario in cui si predica la perfettibilità infinita, quanto di comprendere che unitamente al misconoscimento della famosa interrogazione spinozista «nessuno sa cosa può un corpo» è in questione la stessa concezione della vita nel suo darsi molteplice. L'assoggettamento dei corpi avviene non più, o meglio non soltanto, attraverso l'esercizio delle pratiche disciplinari, bensì attraverso modalità più pervasine e articolate che mirano a digitalizzare non solo le emozioni, ma il patrimonio genetico, in definitiva a mappare la carne che siamo per iscriverla nel sistema «economico» del debito infinito. Oggetto del presente lavoro è pertanto l'individuazione di piani, di soglie su cui le nuove forme di controllo, soprattutto quelle innervate dalle nuove tecnologie e dai nuovi poteri linguistico-comunicativi, si esercitano. Tenendo sempre presente, come insegnava Nietzsche, lo stato di «sospensione», di transito tra il perdurare e il trasformarsi degli arcaismi e il prodursi di nuove realtà dobbiamo dotarci di una nuova capacità d'ascolto. L'ambiente, in tutta la variazione delle sue espressioni, costituisce la scena di una scommessa non più rinviabile, nell'ambito della quale si fronteggiano nuovi totalitarismi e concezioni «altre» dell'esistere e del produrre, modalità diverse dello stare al mondo. Il prodursi dell'era cibernetica richiede una serie di passaggi, che tendono a cancellare quelle istituzioni che apparivano un tempo come caratterizzanti lo spazio pubblico, soprattutto nelle democrazie occidentali. Il patto tra il cittadino e la polis, gli elementi di democrazia partecipativa, nonché lo spazio urbano sono oggetto di una continua ridefinizione, che se da un lato richiama l'impiego delle strutture istituzionali tradizionali, dall'altro mette in opera continue lacerazioni e forzature che ne modificano tanto il ruolo che la funzione. Questo processo si verifica, dunque, nell'uso concreto e quotidiano di questi spazi chiamati a interagire con le mutazioni sociali e tecnologiche. Ma, alla metamorfosi degli spazi corrisponde sempre quella dei processi di soggettivazione e dei corpi che non possono essere considerati alla stregua di figure immutabili nel tempo. Il corpo si produce nella sua condizione ambientale. Ora, il legame che qui si vuole indagare tra corpo e territorio non deve essere inteso astrattamente, piuttosto, debbono essere posti in luce quei concetti, quelle zone-crisi che indirizza il «fuori della filosofia», che come insegnava Deleuze indirizza la nostra attenzione sulle «zone d'indiscernibilità». Queste zone sono costitutive di quell'ambiente di cui si diceva prima, ossia un concatenamento di forze la cui disposizione è filosofica, laddove crea incessantemente nuove figure, concetti ed esistenze. Il mutare dei tessuti urbani, delle gerarchie che li caratterizzano riguarda non solo il piano geografico-materiale, ma anche quella che potremmo definire una vera e propria geografia del quotidiano, all'interno della quale si realizzano sistemi di dominio e pratiche di sottrazione, stili di vita e modelli omologanti, tecniche futuribili e comportamenti neo-tribali. Il governo del territorio, così come il governo dei corpi, dev'essere indagato come un ambito, un tessuto plurale e complesso, attraversato da infinite e mutevoli relazioni. Nel presente progetto s'intendono affrontare solo alcune di queste zone-crisi. Il primo capitolo vuole riferirsi essenzialmente alla metamorfosi dell'urbano in relazione alla rivoluzione cibernetica e alle nuove gerarchie generate dal contraddittorio processo di smaterializzazione in atto. Il secondo, s'indirizza prevalentemente all'analisi del mitologema della tecnica e del modo in cui questo tenta di modificare gli stili e le pratiche del quotidiano. Il terzo capitolo circoscrive l'analisi a quelle che vengono attualmente definite come le nuove paure metropolitane, che pongono il piano dell'esistere e della vita come ambito di rischio. Questo rischio pone in essere una serie di considerazioni connesse: sistemi di sicurezza, sistemi assicurativi, organizzazione di nuovi dispositivi di controllo. Nell'ultimo capitolo si vuole ricondurre l'insieme di questi argomenti all'interno di quel confronto guerreggiato che oppone la geofilosofia alla geopolitica, gli «spazi altri» a quelli del controllo totale e dell'omologazione. Intendere il territorio nella sua espressione carnale permette, in tal modo, di individuare alcuni snodi centrali, che non possono prescindere da tutti quei processi di soggettivazione che ne costituiscono la geografia e non la catalogazione. | << | < | > | >> |Pagina 63Il rapporto tra i corpi, i processi di soggettivazione e le tecniche di sperimentazione del controllo inerisce un piano, il piano del territorio, che dev'essere inteso come un insieme di relazioni coestensive ai corpi stessi, ai loro bisogni, al vivere quotidiano, in definitiva alla loro stessa espressione. Il divenire di entrambi è in questione. Infatti, alla rappresentazione virtuale dei corpi e dei territori corrisponde il tentativo di cancellarne il portato materiale, che è per sua natura metamorfico, mutante e complesso. La virtualizzazione è un dispositivo di semplificazione teso ad accreditare l'immagine di un'omologazione necessaria della vita. Secondo Rem Koolhaas «L'esperienza prova, in effetti, che più si è 'telepresenti' (meglio, 'tele-rappresentati'), più abbiamo bisogno di spazialità concreta e di vera presenza, come a dire di luoghi. Che i rapporti spaziali fisici tra gli esseri (e le cose) si dissolvano al punto di rinchiudere ciascuno di noi in un continuum spaziale indifferenziato privo dell'Altro (se non virtuale) o, al contrario, in un terreno sparpagliato sprovvisto di senso, corredato di oggetti architettonici solipsisti, tutto ciò rende il mondo inabitabile»» L'atomizzazione delle condizioni di vita, la diffusione di una sempre più diffusa precarizzazione delle condizioni di lavoro e di esistenza, innescano un processo che è alla base di un insieme di fenomeni, che ci si ostina a considerare sempre più spesso in termini di medicalizzazione oppure di polizia. Il primato della virtualizzazione dev'essere qui inteso come una techné che mobilita risorse economiche, politiche e mediatiche al fine di governare il movimento di complicazione che le trasformazioni tecnologiche e sociali producono. L'interrogazione che qui s'intende proporre riguarda pertanto il corpo nella trasformazione del proprio statuto, un corpo che in nessun modo può essere disgiunto dall'ambiente e dunque dal territorio cui appartiene. Come osserva Th. Paquot «Un'architettura o una decisione dell'urbanesimo facilitano o meno l'abitare, in questo occorre incoraggiare i professionisti a tener conto — nel senso di 'aver cura' essere 'amorevole' oppure 'attento' all'habitat a al suo contesto — degli spazi e dei tempi nei quali e a partire dai quali si manifesta la nostra presenza nel mondo». Ed è proprio questa disposizione alla «cura» intesa in senso foucaultiano che deve guidare l'analisi di questa trasformazione, poiché quest'ultima costituisce non una continuità, ma una frattura rispetto alle epoche precedenti, non fosse altro che per l'accelerazione con cui le mutazioni si stanno producendo. Corpo e territorio indicano le diverse modalità attraverso le quali le nuove tecnologie agiscono e ne mettono in luce in modo peculiare la variazione antropologica che stiamo attraversando. Intendiamo, in questo contesto, per variazione antropologica quel complesso di trasformazioni tecniche, sociali, politiche, linguistiche che non si limitano a trasformare lo statuto del «soggetto», ma anche l'ecosistema in cui è inserito. Il soggetto non ha più una centralità assoluta, piuttosto è il «processo di soggettivazione» che chiama in causa le relazioni attraverso le quali esso viene modificato e dunque modifica l'orizzonte a cui si riferisce. Le nuove tecnologie, diversamente dalle trasformazioni del passato, hanno la caratteristica di imprimere a questi mutamenti una straordinaria accelerazione che mette in crisi i precedenti paradigmi socio-antropologici. Poiché rileviamo il delinearsi di una nuova rivoluzione tecnologica, può essere utile richiamare alcuni elementi delle passate trasformazioni tecnico-antropiche. Come sottolinea U. Fadini «La tecnica, perlomeno ai suoi inizi, è riferibile direttamente alla dimensione corporea, ma non tanto nei modi della compensazione di carenze, di mancanze, dell'organismo umano (messo a confronto con quello animale). Anzi, si può dire che originariamente la tecnologia è una sorta di 'tecnica di rafforzamento della mano', come si può vedere prendendo in considerazione il fatto che l'utensile potenzia quella mano che si mostra così come 'un cattivo indicatore della deficienza organica di quest'ultimo'». Oggi il rapporto utensile-organi appare rovesciato, le nuove tecnologie, che agiscono come protesi innervate sino al livello molecolare dei corpi, ne trasformano non solo lo statuto e la prestazione ma anche la sensazione e l'esperienza. Nell'analisi di P. Levy, che si sofferma sulla tecnologia dell'intelligenza collettiva nel passaggio dal regime molare a quello molecolare «All'opposto delle tecnologie 'molari' che considerano i loro oggetti in blocco, alla cieca, in modo entropico e sommario, le tecnologie 'molecolari' si accostano in maniera molto fine agli oggetti e ai processi che controllavano. Evitano la massificazione. Ultrarapide, precisissime, agiscono sui propri oggetti a livello di microstrutture, dalla fusione a freddo alla superconduttività, dalle nanotecnologie all'ingegneria genetica, le tecniche molecolari riducono al minimo gli sprechi e gli scarti. Noi vogliamo inscrivere l'ingegneria politica qui proposta in un vasto e profondo movimento delle tecniche verso la 'finezza', che comprende, a sua volta, altre ingegnerie, altre tecnologie oltre a quelle dell'umano». Dunque, secondo P. Lévy, il virtuale non dev'essere colto in opposizione al reale, piuttosto esso si presenta come un'attualizzazione dotata di potenza, una possibilità che si è data, com'era già stato sottolineato da G. Deleuze. Quest'attualizzazione, che compone una nuova comunità, ha in sé tendenze di segno diverso, anche se l'autore sembra inclinare più per una lettura 'ottimistica' dei processi in corso. Diversamente, P. Virilio, nei molti suoi studi dedicati alla virtualizzazione del reale, sottolinea i rischi ad essa connessi, risalendo soprattutto all'origine di molte di queste trasformazioni che avviene nella maggior parte dei casi nelle discipline militari. Secondo P. Virilio: «In effetti, per i responsabili militari americani, il GLOBALE è l'interno di un mondo finito la cui finitudine pone numerosi problemi logistici. E il LOCALE è l'esterno, la periferia, per non dire l'estrema periferia del mondo! Così, per lo stato maggiore degli Stati Uniti, i semi non sono più all'interno delle mele, né gli spicchi al centro dell'arancia: la scorza è rovesciata. L'esterno non è più solamente la pelle, la superficie della Terra, è tutto ciò che è in situ, precisamente localizzato, qui o là. È proprio questo il grande mutamento GLOBALITARIO, quello che estroverte la località – ogni località – e che non deporta più persone, intere popolazioni come nel recente passato, ma il loro luogo di vita e di sussistenza economica. Delocalizzazione globale che colpisce la natura stessa dell'identità, non più solamente 'nazionale' ma 'sociale', rimettendo in causa non tanto lo Stato-nazione quanto la città, la geopolitica delle nazioni».
In questo senso è necessario da un lato cogliere la portata dei mutamenti in
atto, ma anche vagliarne le ricadute sulla vita che appare quanto mai esposta
nella sua corporeità sia umana che ambientale.
FRONTIERE DELLA BIOPOLITICA: TECNICHE DI SPERIMENTAZIONE SUI CORPI Il bisogno di conoscere, controllare, catalogare, individuare, collocare sembra rinviare immediatamente alla dimensione di una realtà sociale paranoide, un tessuto intensamente percorso da paure e tensioni difficilmente comprensibili. Un mondo che sembra uscire direttamente dai romanzi fantascientifici di Ph. K. Dick. Nei mondi da lui descritti le anomalie, le mutazioni e gli orrori divengono la normalità, una normalità che solo alcuni «forti» riescono ancora a concepire come espressione pertinente alla vita e al suo farsi. «Nell'oscurità della guerra, con le sue distruzioni e l'incessante alterarsi delle forme di vita, Bonny continuava a cantare il suo canto di gioia, di entusiasmo, di indifferenza al male; niente poteva indurla, nemmeno la cruda realtà, a diventare ragionevole. – Gente fortunata! La gente come Bonny è più forte delle forze della decadenza, del cambiamento. Ecco a che cosa è riuscita a sfuggire: alle forze della decadenza che si sono instaurate nel mondo. Il cielo è caduto addosso a noi, non addosso a lei...». | << | < | > | >> |Pagina 69POTENZA DEL DESIDERIOTra i molti effetti di quella che possiamo considerare come una delle più importanti trasformazioni della storia umana si possono indicare alcuni aspetti che ci paiono particolarmente significativi: – il ritmo del corpo, per quanto possa essere accelerato dalle protesi attuali che intendono modificarne e controllarne ogni prestazione, continua a essere un fattore di ineludibile resistenza; – il corpo e il territorio risultano essere, nella loro dimensione materiale l'ambito privilegiato in cui le nuove tecnologie sperimentano le proprie pratiche di governamentalità; – la caducità della vita rende il corpo sempre più reificato nell'ambito di un processo di veloce sostituzione di ciò che diviene obsoleto; – il tempo dell' otium è sostituito dal tempo del consumo, del negotium; – il bisogno di sottrazione e mutamento dev'essere assoggettato alla logica del controllo e dell'omologazione; I punti sopra indicati costituiscono un reticolo di situazioni, strategie e relazioni che intendono sempre più relegare il corpo e i suoi «eccessi» in un orizzonte minutamente regolato da imperativi che si esprimono a tutti i livelli dell'esistere. Ma, che cosa si intende per «eccedenza» dei corpi? L'eccesso, in questo caso, va inteso nel senso dell'eccedere, del valicare, del superare limiti e confini assegnati. La potenza del corpo consiste nella capacità di inclinare verso i suoi divenire, ossia continuare a creare, attualizzare quei virtuali che permettono di affermare spazi diversi di vita, e che sono veri e propri «territori» di liberazione dai dogmi e dagli imperativi omologanti. Queste potenze hanno a che vedere con la sensazione, con il desiderio e con gli affetti. Il Grido che lacera i volti della pittura di Francis Bacon analizzato da G. Deleuze non è altro che questo: «quella potenza di illocalizzazione che fa della carne macellata una testa senza volto. Essa non è più un organo particolare, ma è la lacerazione attraverso la quale l'intero corpo fugge e dal quale la carne discende (occorrerà per questo il procedimento dei segni liberi involontari). Quel che Bacon chiama il Grido nell'immensa pietà che travolge la carne macellata». Se la vita, con le sue crepe e i suoi divenire, rappresenta l'incerto, questo rischio dev'essere evitato con pratiche del controllo sempre più raffinate. È importante sottolineare come attualmente il controllo dei corpi non avvenga più nell'ambito delle strutture totali, piuttosto è l' intero assetto territoriale che è chiamato ad assolvere questa funzione. La frantumazione, la polverizzazione sono la regola attraverso la quale si tenta di gestire la situazione attuale, secondo Z. Bauman: «Nella sua forma pura e non manipolata, la paura esistenziale che ci rende ansiosi e preoccupati è ingovernabile, irreprimibile e perciò paralizzante. Il solo modo per non vedere la terribile verità è ridurre quell'enorme, schiacciante paura in frammenti più piccoli e maneggevoli, ridurre la questione cruciale della nostra impotenza a una serie di piccoli compiti 'pratici' che possiamo sperare di saper eseguire». I corpi ci paiono, dunque, «gettati nel mondo» come elementi o fattori di rischio, come risorsa obsoleta, caduca, ma pur sempre risorsa essenziale. La potenza dei corpi finisce così con l'essere in conflitto con le pratiche e le relazioni innescate dai sistemi di controllo. Desideri, timori confliggono con l'imperativo ottimistico dell'uomo produttivo e della mercificazione che ne caratterizza ogni aspetto del vivere. | << | < | > | >> |Pagina 72POTENZA DEL CORPO E POTENZA DEL TERRITORIOTutto comincia, in Lewis Carroll, con un'orribile battaglia. È la battaglia del profondo. Nel profondo è tutto orribile, tutto è nonsenso. Alice, all'inizio, doveva infatti intitolarsi Le avventure sotterranee di Alice. Alice è alle prese con le metamorfosi, con le trasformazioni dei significati delle cose. I gesti, i luoghi comuni si trasformano sotto la pressione delle sue domande. Non esistono significati unitari, definiti una volta per tutte, perché l'identità è infinita, ossia contiene in se stessa il principio del capovolgimento di senso. Gli eventi sono come cristalli, diventano e crescono soltanto sui bordi. La scoperta di Alice è che tutto accade in una sorta di zona di frontiera. La frontiera, la soglia si costituiscono così come dei personaggi ricchi di significato. Alice stessa è un personaggio di frontiera, ad ogni soglia c'e un mutamento accolto più con umorismo che con spavento. In Attraverso lo specchio, Alice intende lo specchio come superficie pura, continuità del fuori e del dentro, del sopra e del sotto. Per conoscere le increspature, le pieghe della superficie, occorre lottare contro il risucchio della profondità. Queste forze sono però forze-scrittura che vanno decisamente distinte dall'intento retorico della parola. L'ambiguità del dire snerva la forza del concetto. Snervato e disincarnato è quel linguaggio che punta alla seduzione – e quindi alla soggezione – piuttosto che alla verità. Alice non riesce a controllare i mutamenti del suo corpo. Cresce, diminuisce, dimentica le cose che ha imparato oppure le rammenta in forma completamente alterata. In questo divenire, Alice sperimenta gli stati differenti degli affetti. Ad ogni sua modificazione corrisponde una diversa espressione dell'ambiente di cui si trova a far parte. Trasformando il suo corpo, Alice trasforma i territori che attraversa e in entrambi i casi si tratta di una trasformazione di linguaggio. Infatti, come sottolinea A. Berque: «Parlare, non è da meno, ora, tutto ciò non è pensabile nel quadro del paradigma della modernità, quello del topos ontologico 'persona individuale, corpo individuale'; poiché questi non ha o non avrebbe altra chora che un assoluto extra-mondano. Ciò di cui il linguaggio è il vettore, il senso, privato di basi, è quindi rinviato ai significanti. Detto altrimenti, non è nessuno che parla, e nessuno che ascolta». È il meccanismo della rilettura e della riscrittura quello che viene messo in campo. Il ricordo è rilettura, i sogni sono rilettura, noi stessi siamo la continua riscrittura e rilettura del nostro divenire. Non per questo i meccanismi di rilettura devono essere considerati bugiardi. Piuttosto, si tratta di comprendere l'azione di quelle forze trasformative che, modificando i ricordi e i sogni, indicano il mutamento stesso, la sua verità. Per questo motivo dobbiamo distinguere senza indugio la rilettura dalla reinterpretazione che è invece la disciplina dell'omologazione e della verita unica e dogmatica sempre affermata dai sostenitori del Principe. Accettare le modificazioni, o meglio, comprendere le forze attive degli affetti, ha qualcosa dell'impresa eroica dello straniamento di cui anche Kafka nei suoi racconti ci offre un'importante testimonianza. Ne La metamorfosi, Gregor Samsa si riscrive come animale, porta in superficie quegli affetti che lo hanno reso tale, ci conduce nella sua «tana» le cui pareti e oggetti ci appaiono metamorfizzati al pari del suo essere, è il giudizio del padre, il dispositivo che vorrebbe richiamarlo al dovere di un'identità immutabile, certificata. L'unica fuga da un simile imperio si attiva allora tramite la scrittura che è chiamata a dire la verità della metamorfosi. La scrittura diventa così l'espressione della superficie corporea e spaziale, in cui accadono le cose, in netto contrasto con l'irragionevole costituzione della maschera identitaria. In questo senso il mondo-scrittura di Kafka appare straordinariamente prossimo a quello di Alice. La tana è un luogo assediato, una città-fortezza, un tutt'uno con l'animale che vi cerca protezione, un illusorio raddoppiamento della pelle, un ispessimento della corazza. Kafka sottolinea lo straniamento, la fuga verso l'animale che invece si rivela una trappola: così le città-fortezza alimentate dal motore delle paure odierne si trasformano in un incubo introiettato, bunker edificati per il trionfo della paranoia elevata a regolatore sociale. In proposito, è utile richiamare le recenti analisi dell'ingegnere-urbanista E. Scandurra che sottolinea come: «In queste città gli abitanti sono sostituiti da figure astratte dai nomi altrettanto fantasmagorici come customers, che vuol dire clienti e utilizzatori dei prodotti-servizi forniti dalla città; stock-holders, che vuol dire proprietari di terreni, edifici, infrastrutture, manager, policy-makers, ecc...». Gli uomini-merce abitano città-mercato, il negotium tende a definire l'unidimensionalità dei nuovi «progetti urbani» trascurando e marginalizzando tutti quegli spazi e quelle esistenze che continuano, con pratiche diverse, a resistere e a sottrarsi. Dunque tornare alla figura di Alice significa riconsiderare le possibilità di un progetto che sia capace di cogliere i linguaggi performativi che attraversano i corpi e gli ambienti. M. Merleau-Ponty nella Fenomenologia della percezione, torna variamente su questo passaggio che riguarda la spersonalizzazione che permette di cogliere i fatti sensoriali come «La mia percezione totale non è fatta di queste percezioni analitiche, ma può dissolversi in esse, è il mio corpo che assicura, tramite i miei habitus, il mio inserimento nel mondo umano, non lo fa se non proiettandosi dall'inizio nel mondo naturale che sempre traspare sotto l'altro, come la tela sotto il quadro, donandogli un'aria di fragilità». In proposito M. Carbone sottolinea come «In questa prospettiva, il potere originario della simbolizzazione del corpo, già messo in luce nella Fenomenologia della percezione e confermato negli scritti di questo periodo, si riveli di conseguenza, ora, come potere originario di differenziazione». Ma, nel contesto che stiamo esaminando, l'elemento di maggior rilievo riguarda l'innocente amoralità di Alice che realizza il linguaggio di verità cui lei non sa rinunciare, anche quando dirla la espone a orribili incomprensioni. Il gioco degli opposti si presenta simultaneamente e in superficie nelle parole di Alice, poiché, come suggerisce G. Deleuze: «Alice non può più sprofondare, libera il suo doppio incorporeo. È seguendo la frontiera, procedendo lungo la superficie, che si passa dai corpi all'incorporeo. Paul Valery ebbe una parola profonda: 'il più profondo è la pelle'. Scoperta stoica che presuppone molta saggezza e comporta tutta un'etica». Alice vuol dire la verità anche quando sarebbe per lei conveniente usare le astuzie della «bugia bianca». È questo lo humour che fa irrompere nel linguaggio la verità cancellando ogni prudenza. L' umorismo ha costituito sin dall'antichità, soprattutto a partire dalla Stoa, un elemento inquietante, avvertito con sospetto dal linguaggio ufficiale o da quello codificato, così, ancora per G. Deleuze: «L'umorismo è quest'arte della superficie, contro la vecchia ironia, arte della profondità o delle altezze. I sofisti e i cinici già avevano fatto dell'umorismo un'arma filosofica contro l'ironia socratica, ma con gli stoici l'umorismo trova la sua dialettica, il suo principio dialettico e il suo luogo naturale, il suo puro concetto filosofico». È l'umorismo che con leggerezza, con l'evidenza della superficie, dimostra che «il re è nudo». | << | < | > | >> |Pagina 95Al declino delle grandi narrazioni che hanno caratterizzato tutto il Novecento fa riscontro, nel periodo più recente, il dispiegarsi del mitologema della tecnica. Le moderne tecnologie richiedono però uno sforzo di analisi che non ci consente di riprendere tout court il dibattito sulla tecnica così come lo si era affrontato nelle epoche precedenti. Talune innovazioni richiedono un approccio specifico capace di indagare il campo in cui si esercitano, le mutazioni del sentire che inducono, nonché la produzione di nuovi rapporti sociali, economici e culturali. La forza di questa mitologia si esercita, in primo luogo, sulla sfera sensoriale, modificandone sia l'esperienza che l'espressione. Le tante protesi che caratterizzano il nostro vivere quotidiano non sono soltanto dei potenziamenti dei nostri organi, ma sono delle interazioni che mutano il nostro rapporto con il sentire e l'ambiente nel quale agiamo. Secondo A. Caronia: «Domandarsi se un cyborg è uomo o macchina, equivale a rimettere in discussione le nostre credenze e le nostre convinzioni su che cosa sia l'uomo, quale sia la sua natura, o, dal punto di vista linguistico, la sua definizione. E se nella tradizione dualistica del pensiero occidentale la linea di demarcazione tra umano e non umano sta piuttosto sul versante della mente che non su quello del corpo (Descartes aveva individuato nel linguaggio la caratteristica distintiva dell'uomo rispetto agli animali), non si può negare che nella coscienza di sé la forma corporea sia strettamente associata all'attività mentale. Ma la scienza moderna, come abbiamo visto, individuando il corpo dell'uomo come oggetto di una specifica disciplina, gli ha sottratto la possibilità di funzionare come luogo di mediazione tra il sé e la natura, come supporto di processi simbolici di comunicazione tra i codici». Ancor più rilevanti, in questo senso, sembrano tutte quelle biotecnologie che intervengono sulla fisiologia del corpo modificandone le funzioni e mettendo quindi in discussione lo statuto stesso del corno come finora lo si era inteso. Non è perciò un caso che l'avvento di questa vera e propria mutazione antropologica chiami in causa tutti gli aspetti disciplinari costringendoli a rivedere e a riformulare i propri statuti. A titolo esemplificativo possiamo richiamare tutto il dibattito che si è aperto intorno allo «statuto» dell'embrione che ha coinvolto medici, giuristi, religiosi ecc., poiché per la prima volta nella storia dell'umanità ci si trova dinnanzi alla possibilità di dover indicare un sistema dei diritti che sia capace di individuare l'origine della vita e quindi dei «diritti ad essa connessi». Controllo genetico, donazione, virtualizzazione sono veri e propri ambiti di conflitto nei quali sono chiamate a confrontarsi le istituzioni. Vi è però un problema che a questo punto è importante non trascurare e che riguarda la parte in ombra di questo processo. Se è vero che la frontiera verso la quale si sono spinte le odierne tecnologie investe il piano carnale, è d'altro canto necessario rilevare qual è l'eccedenza che mette in crisi questa propensione. Questa eccedenza riguarda i corpi che vengono sempre più confinati in una condizione di obsolescenza a causa della loro finitudine. Il corpo sezionato, medicalizzato, interfacciato non è solo la figura prometeica che intende sconfiggere la morte, ma è anche una struttura dispotica che nega il divenire della carne, il suo disfarsi, il suo mutare di stato. Ed è proprio sul versante della odierna tanatologia in Occidente che possiamo scoprire i motivi del divorzio che si è stabilito tra i vivi e i morti. La mercificazione dei rapporti umani appare mutuata dalla struttura delle relazioni di impresa; nelle ricerche di P. Baudry, la logica di mercato viene descritta in tutta la sua tentacolare diffusione in ambito sociale. Ecco come questo studioso indica la trasformazione di ogni transazione: «È notoriamente il caso in cui le transazioni si inscrivono in reti all'interno delle quali entrano in gioco delle relazioni personali». La morte e tutto l'apparato scenico che ad essa si accompagna non sfuggono a questa logica, anzi sono la cartina di tornasole dell'uso strumentale degli affetti. Nel suo interessante studio sulla morte in Occidente, M. Vovelle rileva: «È il caso, del tutto particolare per quanto concerne la tanatologia, del sistema dei funerali e dell'istituzione del cimitero. Il tempo del ritratto caricaturale dell' american way of dying di Jessica Mitford e altri appare ben datato. Possiamo stupirci o dispiacerci del fatto che, dal potere economico, l'accento sia passato sul potere medico, che non può, ma che non vorrebbe mai. Se la critica è meno esplicita, forse riflette un approfondimento, richiamandosi in termini meno meccanici, alle forme di spersonalizzazione dell'individuo di fronte alla morte. Il fatto è che, in ogni caso, le cronache americane sui funeral directors aumentano». Il «divenire inorganico» viene percepito, in questo contesto, come un'assoluta minaccia, eppure il timore sociale per la morte, che induce alla negazione/rimozione del dolore non fa che attualizzare la morte stessa. Negando la carne, se ne nega sia la felicità che il dolore in nome di un'asettica e dematerializzata «vita migliore». Per questo motivo, e proprio in ragione della carne che siamo, il «superuomo» odierno appare sospeso tra il ripristino decorativo, estetizzante, di antichi rituali tribali e l'automa bionico. | << | < | > | >> |Pagina 201Come si è visto precedentemente, assistiamo al prodursi di una nuova cartografia connessa alle attuali configurazioni spaziali che si realizzano nel ciberspazio. È opportuno a questo punto soffermarsi sul problema della mappatura del territorio e dei risvolti ad essa collegati. In primo luogo è bene tener sempre presente, nell'analisi delle tendenze in atto, il persistere di una pluralità di elementi che mostrano condizioni spazio-temporali articolate e contraddittorie; detto in altri termini, accanto alla cartografia virtuale e ai suoi recenti impieghi persistono svariate forme, più tradizionali, di mappatura del territorio che corrispondono a esigenze che sono insite nel sistema di relazioni socio-economiche che avevano caratterizzato il modello fordista. L'informatizzazione dei processi produttivi, nonché la «digitalizzazione delle relazioni» trovano una rispondenza in questo nuovo contesto cartografico, che costruisce tramite essi una «rete affettiva», una rete che emargina tutti coloro che non sono compatibili con il nuovo modello ultra-liberista. A questo proposito nel testo che A. Marcellini ha consacrato all'attuale configurazione dell'eugenetica discreta, possiamo leggere come «la questione che ormai si pone consiste nel sapere se questo trasferimento di responsabilità da uno Stato autoritario e costrittivo al cittadino, nel momento in cui è personalmente interessato, è un progresso nelle libertà individuali, o al contempo uno spostamento, o il mascheramento di un dibattito fondamentale sugli usi e gli abusi sociali delle conoscenze scientifiche. Le opposizioni ideologiche di questo dibattito sono in qualche modo eluse, eufemizzate, negate. È il problema che dobbiamo porci collettivamente, ossia semplicemente sapere se non stiamo per realizzare, tramite le nostre scelte individuali e liberamente consentite, l'ideologia eugenista che diciamo di rifiutare». La sussunzione della sfera relazionale negli attuali sistemi di mappatura pone pertanto una serie di problemi nuovi che mettono in questione le attuali dinamiche e tecnologie biopolitiche. Il sistema delle relazioni appare completamente colonizzato dalle nuove tendenze economiche che fondandosi sulla polverizzazione del sociale, richiedono una ridefinizione dei legami sociali in termini di tenuta produttiva. A questa mercificazione non corrisponde un innalzamento e un potenziamento dei legami stessi, ma una compiuta reificazione di questi nell'ambito delle attuali strategie di controllo. La cartina tornasole di quanto descritto è costituita in modo particolare dalla rete virtuale, dai flussi di comunicazione in rete, dalle comunità che vi si costituiscono e dall'insieme di pratiche chiamate a ricucire le slabbrature di un modello esistenziale da cui ogni dimensione istintiva ed emozionale è stata duramente scacciata. Le cartografie virtuali non sono surrogati di esistenze «povere di mondo», ma sono la modalità attraverso la quale la biopolitica disciplina i nuovi codici relazionali rinviandoli sostanzialmente a due orizzonti di senso: il posizionamento entro strategie di potere (all'incremento del numero di relazioni corrisponde un incremento di potere), e la liquidazione di ogni piano della sensazione in favore della creazione di un piano della rappresentazione. Nel primo caso il problema appare molto delicato, poiché si tratta di una tendenza che prescinde dalle diverse appartenenze ideologiche, e fa leva sul solipsmo narcisistico ed effimero che caratterizza oggi le interazioni sociali e istituzionali. La cartografia delle relazioni finisce con l'essere il presupposto costitutivo delle odierne cartografie geopolitiche. Laddove i corpi e i territori sono assunti nella loro totale reificazione non vi può essere alcun intento di valorizzare la vita, poiché le tecniche di coercizione ne sviliscono la potenza. Il bisogno di elevare il proprio potere d'uso del sistema-relazione coincide con la volontà di tutelare la propria creazione identitaria che in questo senso non può che essere dispotica. Un simile assetto non dev'essere quindi solo oggetto di critica più o meno illuministica, ma dev'essere posto in crisi nei suoi stessi fondamenti. In secondo luogo, la colonizzazione dei corpi e dei territori consiste soprattutto nel loro essere divenuti meri simboli di rimando in rapporto alla rappresentazione della mappa virtuale. Detto più semplicemente essi sono stati deprivati di senso. Infatti, corpi e territori virtuali riscrivono completamente il proprio «valore d'uso» in un piano virtuale, il cui fine resta sostanzialmente il disciplinamento delle pratiche emozionali e delle sensazioni. A quest'ordine di considerazioni tornano di nuovo utili alcune sottolineature di U. Beck: «Cosa ne consegue per l'identità degli uomini? [...] In biografie articolate in più luoghi, transnazionali, glocali, si ampliano e si moltiplicano i punti di contatto e di incontro tra gli uomini. Forse riguardo a ciò sono esemplari le forme (virtuali) di contatto della comunicazione via computer. La rappresentazione del 'villaggio globale' è sbagliata non da ultimo perché fa credere in un ritorno della 'comunità'. Tuttavia, la caratteristica dei media elettronici sta nella loro capacità in linea di principio mobilitante e per ciò cor potenzialmente politica». Ma questa dimensione politica non è foriera di nuove comunità, quanto della messa in opera di codici e linguaggi normativi che sono resi particolarmente evidenti dalla continua delimitazione dei territori virtuali. La mappa virtuale è oggetto di attenzioni specifiche proprio in ragione di quella capacità «potenzialmente politica» che ne caratterizza il valore d'uso. Come si è spesso sottolineato, lo spazio della cura sottintende un'assunzione di questa nella sfera immediatamente produttiva. Le soggettività che predispongono in rete i luoghi di questa espressione della cura, più che un intervento adeguato, realizzano un «luogo di attenzione». Che cos'è allora questo luogo d'attenzione, e perché costituisce una proliferazione di nodi «affettivi» che altrimenti non saprebbero come connettersi? La moltiplicazione delle dimensioni spaziali di cui ci siamo a lungo occupati ci induce a considerare la frantumazione del tempo vita in tante schegge di esistenza che inevitabilmente rimandano a luoghi differenziati. Tra tutti questi luoghi possibili e produttori di nuove realtà, la comunicazione in rete svolge un compito peculiare: predispone luoghi di attenzione svincolati da una corporeità immediata e spesso avvertita come ingombrante. Nella comunicazione in rete l'attenzione è più erratica, fluttuante e si sensibilizza su tracciati di interesse che non implicano un'immediata ricaduta sulla disponibilità di tempo e sensazione che si è sempre più in difficoltà ad esprimere. A ragione, R. Marchesini, nel suo importante lavoro dedicato alle trasformazioni tecnologiche, afferma che: «Secondo il pensiero transumanista l'uomo sta entrando — o, meglio, è già entrato — in una fase di transizione postbiologica caratterizzata da una profonda e pervasiva rivisitazione del corpo e delle sue prestazioni a opera della tecnologia. [...] Il transumanesimo, in qualità di processo capace di rendere possibile e fondare il post-uomo, è, a detta dei suoi fautori, una vera e propria uscita dal meccanismo darwiniano, ossia una riappropriazione del futuro evolutivo sostenuta da ciascuna entità dotata di senzienza». Questa prospettiva liquida in sostanza il tessuto emozionale considerato solamente come un residuo le cui resistenze impedirebbero il pieno esplicarsi del controllo sul corpo, inteso a questo punto come un imbarazzante ingombro arcaico.
Il disciplinamento delle pratiche di «cura del sé» è anche un
disciplinamento emozionale che, emancipandoci dal «corpo proprio», ci prefigura
una cartografia di comportamenti intessuti di «opinioni» spacciate per
attenzioni e valorizzazioni del piano emozionale.
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