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| << | < | > | >> |IndicePrefazione di Jean-Philippe de Tonnac 7 Ouverture: il libro non morirà 15 Niente di più effimero dei supporti durevoli 21 I polli ci hanno messo un secolo per imparare a non attraversare la strada 41 Citare i nomi di tutti i partecipanti alla battaglia di Waterloo 59 La vendetta dei filtrati 73 Ogni libro pubblicato oggi è un post-incunabolo 97 Dei libri che vogliono assolutamente arrivare fino a noi 127 La nostra conoscenza del passato è dovuta a dei cretini, degli imbecilli o degli avversari 147 Niente fermerà la vanità 159 Elogio dell'idiozia 173 Internet o l'impossibilità della damnatio memoriae 191 La censura col fuoco 201 Tutti i libri che non abbiamo letto 219 Libri sull'altare e libri all'"Inferno" 235 Cosa fare della propria biblioteca quando si muore? 261 |
| << | < | > | >> |Pagina 7"Questo ucciderà quello. Il libro farà morire l'edificio." Hugo mette la sua celebre formula in bocca a Claude Frollo, l'arcidiacono di Notre Dame a Parigi. Senza dubbio l'architettura non morirà, ma perderà la sua funzione di stendardo di una cultura che si trasforma. "Quando la si paragona al pensiero che si fa libro, e a cui bastano un po' di carta, un po' di inchiostro e una penna, come stupirsi del fatto che l'intelligenza umana abbia lasciato l'architettura per la stampa?" Le nostre "Bibbie di pietra" non sono scomparse, ma l'insieme della produzione dei testi manoscritti poi stampati, questo "formichiere di intelligenze", questo "alveare in cui tutte le immaginazioni, le api dorate, arrivano col loro miele", le ha improvvisamente, alla fine del Medioevo, singolarmente declassate. Analogamente, se anche il libro elettronico finisse per imporsi a spese del libro stampato, non c'è ragione per cui riesca a farlo uscire dalle nostre case e dalle nostre abitudini. L'e-book, insomma, non ucciderà il libro. Più o meno come Gutenberg e la sua geniale invenzione non hanno eliminato da un giorno all'altro l'uso del codex né questo il commercio dei rotoli di papiro o dei volumina. Le pratiche e le abitudini coesistono e non c'è niente che amiamo di più che ampliare il ventaglio delle nostre possibilità. I film hanno forse ucciso i quadri? La televisione il cinema? Benvenuti, dunque, i supporti e le periferiche che ci assicurano l'accesso, attraverso un solo schermo, alla biblioteca universale ormai digitalizzata. Il punto, piuttosto, è sapere quale cambiamento introdurrà la lettura a video di ciò che fino a oggi abbiamo conosciuto solo pagina dopo pagina. Cosa guadagneremo con questi nuovi piccoli libri bianchi, cosa perderemo? Antiquate abitudini, forse. Una certa sacralità di cui il libro è stato circondato nel contesto di una cultura che l'aveva messo sull'altare. Un'intimità particolare fra l'autore e il suo lettore, che la nozione di ipertestualità certamente metterà in crisi. L'idea di "chiusura" che il libro simboleggiava e anche, di conseguenza, certe pratiche di lettura. "Spezzando il legame ancora stretto fra i discorsi e la loro materialità," dichiarava Roger Chartrier in occasione della sua lezione inaugurale al Collège de France, "la rivoluzione digitale obbliga a una radicale revisione dei gesti e delle nozioni che associamo al testo scritto". Profondi sconvolgimenti, probabilmente, da cui comunque ci riprenderemo. La posta in gioco nel dialogo fra Jean-Claude Carrière e Umberto Eco non è pontificare sulla natura delle trasformazioni e delle perturbazioni che possono derivare dall'adozione su larga scala (o meno) del libro elettronico. La loro esperienza di bibliofili, collezionisti di libri antichi e rari, cercatori e cacciatori di incunaboli, li porta piuttosto a considerare il libro come la ruota, una sorta di perfezione insuperabile dalla nostra immaginazione. Quando la civiltà inventa la ruota, essa è condannata a ripetersi ad nauseam. Sia che scegliamo di far risalire l'invenzione del libro ai primi codices (circa il II secolo d.C.) sia che ci riferiamo ai più antichi rotoli di papiro, ci troviamo di fronte a uno strumento che, per quante mutazioni abbia subito, si è comunque mostrato di una straordinaria fedeltà a se stesso. Il libro appare come una sorta di "ruota del sapere e dell'immaginario" che le rivoluzioni tecnologiche annunciate o temute non elimineranno. Una volta fatta questa puntualizzazione, può iniziare la vera discussione. Il libro si appresta a fare la sua rivoluzione tecnologica. Ma cos'è un libro? Cosa sono i libri che, sui nostri scaffali, su quelli delle biblioteche del mondo intero, racchiudono le conoscenze e le fantasticherie che l'umanità accumula da quando è in grado di scrivere? Che immagine abbiamo attraverso di essi della umana odissea dello spirito? Quali specchi ci offrono? E nel limitarci a considerare solo il meglio di questa produzione – i capolavori attorno ai quali si stabilisce il consenso culturale – restiamo fedeli alla loro funzione, che è semplicemente quella di mettere al sicuro ciò che l'oblio minaccia continuamente di annientare? O forse dobbiamo accettare un'immagine meno lusinghiera di noi stessi, riflettendo sulla straordinaria indigenza che comunque caratterizza anche questa profusione di scritti? Il libro è necessariamente il simbolo di quei progressi su noi stessi che ci fanno dimenticare le tenebre da cui crediamo ormai di essere usciti per sempre? Di cosa ci parlano esattamente i libri? A queste preoccupazioni sul tipo di testimonianza che le nostre biblioteche portano per una più sincera conoscenza di noi stessi, vanno ad aggiungersi gli interrogativi su ciò che esattamente è arrivato fino a noi. I libri sono il riflesso fedele di ciò che il genio umano, ispirato più o meno bene, ha prodotto? Appena formulata, la domanda genera in noi dei dubbi. Come a un tratto non ricordarci dei roghi in cui tanti libri continuano a consumarsi? Come se i libri e la libertà di espressione di cui sono diventati immediatamente il simbolo avessero generato altrettanti censori preoccupati di controllarne l'uso e la diffusione e talvolta di confiscarli per sempre. E quando non è stata questione di distruzione programmata, il fuoco, per semplice passione di bruciare e di ridurre in cenere, ha condotto al silenzio biblioteche intere – come se i roghi si nutrissero l'uno dell'altro fino a generare l'idea che quest'incontrollabile profusione legittimasse una maniera come un'altra di regolazione. Così la storia della produzione dei libri è indissociabile da quella di un autentico "bibliocausto" sempre rinnovato. Censura, ignoranza, stupidità, Inquisizione, autodafé, negligenza, distrazione, incendi, hanno rappresentato poi altri scogli, talora fatali, sul cammino dei libri. Tutti i nostri sforzi di archiviazione e di conservazione non sono riusciti a impedire che alcune Divine commedie siano comunque per sempre sconosciute. Da queste considerazioni sul libro e sui libri che, a dispetto di tutti gli slanci distruttivi, sono arrivati fino a noi, derivano due idee, intorno a cui questo dialogo a ruota libera, a Parigi a casa di Jean-Claude Carrière e a Monte Cerignone a casa di Umberto Eco, si è organizzato. Ciò che chiamiamo cultura è in realtà un lungo processo di selezione e di filtraggio. Intere collezioni di libri, di quadri, di film, di fumetti, di oggetti d'arte sono state bloccate dalla mano dell'inquisitore, o sono scomparse nelle fiamme, o si sono perdute per semplice negligenza. Erano la parte migliore dell'immenso lascito dei secoli precedenti? Erano la parte peggiore? Nel tal campo dell'espressione creativa, abbiamo raccolto pepite o fango? Leggiamo ancora Euripide, Sofocle, Eschilo, li guardiamo come i tre grandi poeti tragici dell'antica Grecia. Ma quando Aristotele nella sua Poetica, dedicata alla tragedia, cita i nomi dei suoi più illustri rappresentanti, non li menziona. Ciò che abbiamo perso era meglio, più rappresentativo del teatro greco, di ciò che abbiamo conservato? Chi ci toglierà a questo punto un tale dubbio? Ci consoleremo pensando che, tra i rotoli di papiro dispersi nell'incendio della biblioteca di Alessandria, e di tutte le biblioteche andate in fumo, sonnecchiavano probabili B-movie, capolavori di cattivo gusto e stupidità? Di fronte ai tesori di nullità che nascondono le nostre biblioteche, sapremo relativizzare le immense perdite del passato, questi omicidi (volontari o meno) della nostra memoria per soddisfarci di ciò che abbiamo conservato e che le nostre società, forti di tutte le tecnologie del mondo, cercano ancora di mettere al sicuro senza riuscirci in modo duraturo? Quale che sia la nostra insistenza a far parlare il passato, potremo trovare nelle nostre biblioteche, nei nostri musei o nelle nostre cineteche solo le opere che il tempo non ha fatto (o non ha potuto far) sparire. Più che mai capiamo che la cultura è tutto ciò che rimane quando tutto il resto è stato dimenticato. Ma la cosa più piacevole di queste conversazioni forse è l'omaggio reso alla stupidità che veglia, silenziosa, sull'immensa tenace fatica dell'uomo e non si scusa mai di essere talvolta così perentoria. È proprio in questo che l'incontro fra il semiologo e lo sceneggiatore, collezionisti e innamorati dei libri, assume più forza. Il primo ha raccolto una collezione di libri molto rari sul falso e l'errore umano, che secondo lui, condizionano ogni tentativo di fondare una teoria della verità. "L'essere umano è una creatura davvero straordinaria. Ha scoperto il fuoco, edificato città, scritto magnifiche poesie, dato interpretazioni del mondo, inventato mitologie ecc. Ma allo stesso tempo non ha smesso di fare la guerra ai suoi simili, non ha smesso di ingannarsi, di distruggere l'ambiente circostante. La somma algebrica fra vigore intellettuale e coglioneria dà un risultato quasi nullo. Dunque, decidendo di parlare di imbecillità, rendiamo in un certo senso omaggio a questa creatura che è per metà geniale, per metà imbecille." Se consideriamo i libri l'esatto riflesso delle aspirazioni e delle attitudini di un'umanità alla ricerca di crescita e miglioramento, allora essi devono necessariamente tradurre quest'eccesso di onore e questa vergogna. Per questo non speriamo di sbarazzarci né di queste opere menzognere, erronee, né del nostro punto di vista, ugualmente stupidi. Ci seguiranno come ombre fedeli fino alla fine del tempo e ci parleranno senza mentire di ciò che siamo stati e soprattutto di ciò che siamo. Vale a dire cercatori appassionati e tenaci ma anche senza troppi scrupoli. L'errore è umano nella misura in cui appartiene solo a coloro che cercano e che si sbagliano. Per ogni equazione risolta, per ogni ipotesi verificata, per ogni progetto realizzato, per ogni visione condivisa, quanti i percorsi che non hanno portato da nessuna parte? Così i libri illuminano il sogno di un'umanità affrancata infine dalle sue stancanti turpitudini, ma contemporaneamente lo oscurano e lo appannano. Sceneggiatore di fama, uomo di teatro, saggista, Jean-Claude Carrière non ha meno simpatia di Eco per questo monumento misconosciuto, e secondo lui non abbastanza visitato, che è la stupidità, cui ha dedicato un'opera continuamente ristampata: "Quando abbiamo iniziato, negli anni sessanta, io e Guy Bechtel, il nostro Dictionnaire de la bêtise, che ha avuto più edizioni, ci siamo detti: ma perché dedicarsi solo alla storia dell'intelligenza, dei capolavori, dei grandi monumenti dello spirito? La bêtise, cara a Flaubert, ci sembrava infinitamente più diffusa, va da sé, ma anche più feconda, più rivelatrice e in un certo senso più opportuna." Questa attenzione verso la stupidità lo ha messo nella situazione di capire benissimo gli sforzi fatti da Eco per raccogliere le testimonianze più eclatanti di questa ardente e cieca passione di andare fuori strada. Senza dubbio si poteva scorgere fra l'errore e la stupidità una sorta di parentela o di segreta complicità che niente, attraverso i secoli, era riuscito a spezzare. Ma la cosa più stupefacente per noi è stato scoprire che fra le domande dell'autore del Dictionnaire de la bêtise e quelle di chi ha celebrato i falsi più grotteschi in Dalla periferia dell'impero, esistono affinità elettive ed emotive che queste conversazioni hanno molto chiaramente rivelato. Osservatori e raccontatori divertiti di questi incidenti di percorso, convinti che possiamo cogliere qualcosa della umana avventura sia nelle sue punte che nei suoi smacchi, Jean-Claude Carrière e Umberto Eco si danno a un'improvvisazione brillante sulla memoria, a partire dai fallimenti, dalle lacune, dagli oblii e dalle perdite irrimediabili che, tanto quanto i nostri capolavori, la costituiscono. Si divertono a mostrare come un libro, a dispetto dei danni che i filtraggi hanno fatto, alla fine ha superato tutte le trappole, bene o male. Di fronte alla sfida che rappresentano la digitalizzazione universale degli scritti e l'adozione dei nuovi strumenti di lettura elettronica, questa evocazione delle fortune e delle sventure del libro permette di relativizzare le mutazioni annunciate. Omaggio sorridente alla Galassia Gutenberg, queste conversazioni avvinceranno tutti i lettori e gli amanti del libro. Forse, susciteranno anche una certa nostalgia in chi possiede ormai gli e-book. Jean-Philippe de Tonnac | << | < | > | >> |Pagina 114JCC Kircher è stato anche il primo a pubblicare una specie di enciclopedia sulla Cina, China monumentis illustrata.
UE
È stato il primo ad accorgersi che gli ideogrammi
cinesi avevano un'origine iconica.
JCC Senza dimenticare la sua ammirabile Ars magna lucis et umbrae, in cui si trova la prima rappresentazione di un occhio che guarda immagini mobili attraverso un piatto girevole, cosa che lo rende l'inventore teorico del cinema. Si dice, del resto, che avesse introdotto in Europa l'uso della lanterna magica. A quanto pare, dunque, ha toccato tutti i campi del sapere della sua epoca. Si potrebbe dire che Kircher è una sorta di Internet ante litteram, sapeva tutto quello che si poteva sapere, e in questo sapere il 50 per cento era esatto, il 50 per cento sbagliato o inventato. Proporzione che forse va attribuita anche a ciò che vediamo sui nostri schermi. E aggiungiamo, inoltre – perché è anche per questo che lo amiamo – che si era immaginato un'orchestra di gatti (bastava tirargli le code) e una macchina per pulire i vulcani. Si faceva calare in una grande cesta in mezzo ai fumi del Vesuvio, sostenuto da un esercito di piccoli gesuiti.
Ma Kircher viene cercato dai collezionisti prima di tutto
perché le sue opere sono di una bellezza eccezionale. Credo
che noi siamo entrambi appassionati di Kircher, o almeno
delle sue opere così splendidamente curate. A me ne manca
una sola, ma senza dubbio una delle più importanti, l'
Oedipus aegyptiacus.
È considerato uno dei più bei libri del mondo.
UE
Per me il più curioso è l'
Arca Noe,
con la tavola più volte ripiegata della sezione dell'Arca con tutti gli
animali, compresi i serpenti che si nascondono nella sentina sul fondo della
stiva.
JCC
E la magnifica tavola del diluvio. E non dimentichiamo il
Turris Babel.
Vi mostra, a partire da calcoli
sapienti, che la torre di Babele non ha potuto essere
completata perché, se per sfortuna lo fosse stata, avrebbe
fatto ruotare la Terra sul suo asse, a causa della sua altezza
e del suo peso.
UE Vedi l'immagine della Terra che è ruotata e la torre che esce da una parte, in orizzontale, come se si trattasse del suo membro virile. Geniale!
Io ho anche le opere di Gaspar Schott, un allievo di
Kircher, altro gesuita tedesco, ma non voglio fare l'elenco
delle opere che ho. La questione che ci possiamo porre è
quella delle motivazioni che guidano il collezionista verso
questo o quell'oggetto di bibliofilia. Perché ad esempio
entrambi possediamo le opere di Kircher? Ci sono diverse
considerazioni che entrano in causa nella scelta di un'opera antica. Ci può
essere il puro amore per l'oggetto libro.
Esistono dei collezionisti che, avendo un'opera del XIX
secolo ancora intonsa non ne taglieranno le pagine per
niente al mondo. Si tratta di proteggere l'oggetto in quanto tale, di
conservarlo intatto, vergine. Esistono poi collezionisti che si interessano solo
al tipo di rilegatura. Non
sono interessati al contenuto delle opere che possiedono.
Ci sono quelli che sono interessati agli editori e che cercheranno di mettere le
mani sulle opere stampate da Manuzio,
per esempio. Alcuni si appassionano solo a un titolo.
Vorrebbero possedere tutte le edizioni della
Divina commedia.
Altri si limitano a un solo campo: la letteratura francese del XVIII secolo. Ci
sono anche persone che formano
la loro personale biblioteca intorno a un solo argomento.
È il mio caso; io colleziono, come ho detto, tutto ciò che ha
a che fare con la scienza falsa, strampalata, occulta, e con le
lingue immaginarie.
JCC
Puoi giustificare questa strana scelta?
UE
Sono affascinato dall'errore, dalla malafede e dalla stupidità. Sono molto
flaubertiano. Come te, adoro la stupidità. Ho scritto nel mio
Dalla periferia dell'impero
delle mie visite ai musei americani che raccolgono riproduzioni
di opere d'arte (compresa una Venere di Milo in cera, con le
braccia). Nei
Limiti dell'interpretazione
ho elaborato una teoria del falso e dei falsari. E infine, fra i miei romanzi,
Il pendolo di Foucault
è ispirato agli occultisti che credono a tutto con fanatismo. Quanto a
Baudolino,
il protagonista è un falsificatore geniale, e dopo tutto benefico.
JCC
Anche perché, certamente, il falso è l'unica strada possibile per il vero.
UE
I falsi mettono in discussione qualsiasi tentativo di
fondare una teoria della verità. Se è possibile paragonare un
falso all'opera autentica, esiste un modo di provare che è un
falso. Ma quello che è difficile è dimostrare che un'opera
autentica è autentica.
JCC Io non sono un vero collezionista. Per tutta la vita ho comprato libri semplicemente perché mi piacevano. Soprattutto, in una biblioteca, amo il contrasto, la vicinanza di oggetti diversi, che magari sono del tutto opposti. | << | < | > | >> |Pagina 135JCC Senza dimenticare che, fra le opere di Sofocle, certe sono andate perdute. Le opere perdute erano di più alta qualità rispetto a quelle conservate? Forse quelle che abbiamo conservato sono quelle che il pubblico ateniese preferiva, senza per questo essere le più interessanti, almeno ai nostri occhi. Forse oggi ne preferiremmo delle altre. Chi ha deciso di conservare, di non conservare, di tradurre in arabo quest'opera e non un'altra? Quanti sono i "grandi autori" di cui non abbiamo saputo nulla? E, anche senza libri, la loro gloria talvolta è immensa. Ritroviamo qui l'idea dei fantasmi. Chi può dirlo? Forse lo scrittore più grande è proprio quello di cui non abbiamo letto nulla. Al sommo della gloria non può che esserci l'anonimato, senza dubbio. Penso a tutte quelle discussioni sulle opere di Shakespeare o di Molière per sapere, domanda idiota, chi le ha scritte. Che importanza ha? Il vero Shakespeare sparisce nella gloria di Shakespeare. Shakespeare senza le sue opere non sarebbe nessuno. L'opera di Shakespeare, invece, senza Shakespeare resterebbe l'opera di Shakespeare.
UE
Non solo. Su ogni libro si incrostano, col tempo,
tutte le interpretazioni che ne abbiamo dato. Noi non
leggiamo Shakespeare così come lui ha scritto. Il nostro
Shakespeare è molto più ricco di quello che veniva letto ai
suoi tempi. Perché un capolavoro sia un capolavoro, è sufficiente che sia
conosciuto, vale a dire che assorba tutte le
interpretazioni che ha sollecitato, che vanno a contribuire
a fare di lui quello che è. Un capolavoro sconosciuto non ha
avuto abbastanza lettori, letture, interpretazioni. In fondo,
si potrebbe dire che è il Talmud che ha prodotto la Bibbia.
JCC
Ogni lettura modifica il libro, certo, come gli
eventi che attraversiamo modificano noi. Un grande libro
resta sempre vivo, cresce e invecchia con noi, senza mai
morire. Il tempo lo vivifica e lo modifica, mentre le opere
di nessun interesse scivolano accanto alla storia e svaniscono. Mi sono
ritrovato, qualche anno fa, a rileggere l'
Andromaca
di Racine. Sono capitato su una tirata in cui Andromaca racconta alla sua serva
il massacro di Troia:
"Pensa, pensa, Céphise, a questa notte crudele | che fu per
un intero popolo una notte eterna". Noi leggiamo queste
parole in modo diverso dopo Auschwitz. Il giovane Racine
ci descriveva già un genocidio.
UE
È la storia di
Pierre Ménard
di Borges. Egli immagina che un autore si sia sforzato di riscrivere il
Chisciotte assimilando la storia e la cultura della Spagna del XVII
secolo. Scrive dunque un Chisciotte che è, parola per parola, identico a quello
di Cervantes, ma il cui senso cambia
perché la stessa frase detta oggi non ha lo stesso significato
che a quei tempi. E noi la leggiamo in modo diverso, anche
a causa delle infinite letture che ha suscitato e che sono
diventate parte integrante del testo originale. Un capolavoro sconosciuto non ha
questa chance.
JCC Un capolavoro non nasce tale, lo diventa. Bisogna aggiungere poi che le grandi opere si influenzano reciprocamente attraverso di noi. Possiamo senza dubbio spiegare come Cervantes abbia influenzato Kafka. Ma possiamo anche dire, Gérard Genette lo ha chiaramente mostrato, che Kafka ha influenzato Cervantes. Se leggo Kafka prima di leggere Cervantes, attraverso di me e a mia insaputa, Kafka modificherà la mia lettura del Chisciotte. Allo stesso modo in cui i nostri percorsi di vita, le nostre personali esperienze, l'epoca in cui viviamo, le informazioni che riceviamo, tutto, anche i nostri incidenti domestici o i problemi dei nostri figli, tutto influenza la nostra lettura delle opere antiche.
Mi capita di tanto in tanto di aprire dei libri a caso. Così,
il mese scorso, apro il
Chisciotte
nella sua parte finale, quella che si legge meno. Sancho, di ritorno dalla sua
"isola", incontra uno dei suoi amici, di nome Ricote, che è un
converso,
vale a dire un moro convertito che un decreto
reale (il fatto è realmente accaduto) ha appena deciso di
rispedire nella zona settentrionale dell'Africa, paese che
lui non conosce, di cui non parla la lingua, di cui non pratica la religione,
dicendosi un buon cristiano, nato in Spagna
come i suoi genitori. Questa pagina è stupefacente. Ci parla
direttamente di noi, in modo semplice, senza intermediazioni. "In nessun luogo
troviamo l'accoglienza che le nostre
sventure meriterebbero," dice il personaggio. Autorità,
familiarità e attualità di un grande libro: lo apriamo e ci
parla di noi. Perché noi vivevamo già allora, e la nostra
memoria si è accresciuta, si è mescolata col libro.
UE È il caso della Gioconda. Leonardo ha fatto delle cose che io considero più belle, per esempio la Vergine delle rocce o La dama con l'ermellino. Ma la Gioconda ha ricevuto più interpretazioni che, come degli strati sedimentari, si sono deposti col tempo sulla tela, trasformandola. Eliot aveva già detto tutto questo nel suo saggio su Amleto. Amleto non è un capolavoro, è una tragedia disordinata che non riesce ad armonizzare fonti differenti. Per questa ragione è diventata enigmatica e tutti continuano a interrogarsi su di essa. Amleto non è un capolavoro per le sue qualità letterarie; ma è diventato un capolavoro perché resiste alle nostre interpretazioni. Certe volte basta pronunciare delle parole insensate per passare alla posterità. | << | < | > | >> |Pagina 159JPT Il passato ci arriva deformato nei modi più diversi e questo avviene soprattutto quando è la stupidità a trasmettercelo. Voi avete insistito nel dire che la cultura preferisce conservare solo i picchi della creazione, gli Himalayas, trascurando la quasi totalità di coloro che non hanno fatto una bella figura. Potreste darci qualche esempio di quest'altra categoria di pretesi "capolavori"? JCC Mi viene subito in mente un'opera straordinaria in tre volumi, La folie de Jésus, in cui l'autore spiega che questo personaggio era in realtà "un degenerato fisico e mentale". L'autore, Binet-Sanglé, era in effetti un professore di medicina, molto stimato, che pubblicò il suo saggio all'inizio del XX secolo, nel 1908. Cito qualche brano d'antologia: "Avendo presentato una anoressia di lunga durata e una crisi di ematidrosi, morto prematuramente sulla croce per una sincope di deglutizione facilitata dall'esistenza di un versamento pleurico probabilmente di natura tubercolotica collocato a sinistra..." L'autore precisa che Gesù era piccolo di statura e magro, che era figlio di una famiglia di vignaioli in cui si beveva buon vino ecc. In breve, "da 1900 anni l'umanità si basa su un errore diagnostico". È il libro di un folle ma scritto con una serietà tale da meritare rispetto. Ho anche un altro gioiello. Si tratta di un prelato francese del XIX secolo che un giorno viene colpito da un'illuminazione. Si convince che gli atei non sono dei perversi né delle persone cattive. Sono semplicemente dei folli. Il rimedio quindi è molto semplice. Bisogna chiuderli in manicomi per atei e curarli. Il metodo prevede una doccia con acqua fredda e l'imposizione della lettura di venti pagine di Bossuet ogni giorno. La maggior parte di loro sarà ricondotta alla santità.
L'autore, che si chiamava Lefebre, visibilmente invasato, avrebbe voluto
presentare il suo libro ai grandi alienisti
del suo tempo, Pinel, Esquirol, che però evidentemente
non lo hanno voluto ricevere. Ho scritto un film per la televisione,
Credo,
realizzato venticinque anni fa da Jacques Deray, sviluppando la follia di questo
prelato sregolato,
deciso a rinchiudere e lavare tutti gli atei. Avevo letto su "Le
Monde" un articolo che diceva che un professore di storia
di Kiev, in Ucraina, era stato arrestato dal KGB, interrogato,
ritenuto folle e rinchiuso perché credeva in Dio. Ho immaginato tutto
l'interrogatorio.
UE Bisognerebbe risalire all'indietro. Lavorando al mio libro sulla ricerca della lingua perfetta, ho trovato dei linguisti folli, autori di teorie deliranti sull'origine del linguaggio, fra cui i più divertenti erano i nazionalisti, secondo i quali la lingua del loro paese era quella di Adamo. Per Guillaume Postel i celti discendevano da Noè. Altri, in Spagna, hanno fatto risalire l'origine del castigliano a Toubal, il figlio di Japhet. Per Goropius Becanus, tutte le lingue derivavano da una lingua primaria che era il dialetto di Anversa. Anche Abraham Milius ha mostrato come la lingua ebraica abbia generato la lingua teutonica, la forma più pura del dialetto di Anversa. Il barone De Ryckholt sosteneva che il fiammingo era la sola lingua parlata alle origini dall'umanità. Sempre nel XVII secolo Georg Stiernhielm, nel suo De linguarum origine praefatio, mostrava che il gotico, che per lui era l'antico norvegese, era all'origine di tutte le lingue conosciute. Un saggio svedese, Olaus Rudbeck, nel suo Atlantica sive Mannheim vera Japheti posterorum sedes ac patri (3000 pagine!), sosteneva che la Svezia era stata la patria di Japhet e lo svedese la lingua originale di Adamo. Uno dei contemporanei di Rudbeck, Andreas Kempe, ha scritto una parodia di tutte queste teorie, in cui Dio parlava svedese, Adamo danese mentre Eva era sedotta da un serpente francofono. Per arrivare poi a Antoine de Rivarol che non sosteneva che la lingua francese fosse la lingua originaria, certo, ma che essa era la più razionale perché l'inglese era troppo complicato, il tedesco troppo brutale, l'italiano troppo confuso ecc. Dopodiché arriviamo a Heidegger che afferma che la filosofia può essere fatta solo in greco e in tedesco – e peccato per Descartes e Locke...
Più di recente ci sono i piramidologi. Il più celebre,
Charles Piazzi Smith, astronomo scozzese, ha trovato nella
piramide di Cheope tutte le misure dell'universo. Il genere è molto ricco, e
oggi rilanciato da Internet. Prova a mettere la parola "piramide" in Internet.
L'altezza della piramide moltiplicata per un milione rappresenta la distanza fra
la Terra e il Sole; il suo peso moltiplicato per un
miliardo corrisponde al peso della Terra; raddoppiando la
lunghezza dei quattro lati si ottiene un sessantesimo di
grado alla latitudine dell'equatore: quindi in conclusione
la piramide di Cheope rispetto alla Terra è in scala 1:43.200.
JCC
Allo stesso modo in cui molti si chiedono, per
esempio, se Mitterrand è la reincarnazione di Tutmosis II.
JPT
Stessa cosa con la piramide in vetro del Louvre, ricoperta, si dice, di 666
quadrati di vetro, anche se questa cifra è stata regolarmente smentita da coloro
che l'hanno concepita e vi hanno lavorato. È vero, però, che Dan Brown l'ha
confermata...
UE Il nostro catalogo di follie potrebbe continuare all'infinito. Per esempio, conosci il celebre dottor Tissot e le sue ricerche sulla masturbazione come causa di sordità, cecità, dementia precox e altre disgrazie? Aggiungerei anche l'opera di un autore di cui non ricordo il nome, sulla sifilide come malattia pericolosa perché potrebbe portare alla tubercolosi.
Un certo Andrieu, nel 1869, ha pubblicato un libro sugli
inconvenienti dello stuzzicadenti. Un certo signor Ecochoard ha scritto sulle
diverse tecniche per impalare; un
altro, tale Foumel, nel 1858, sulla funzione dei colpi di
bastone fornendo una lista di scrittori e artisti celebri che
erano stati bastonati, da Boileau a Voltaire a Mozart.
JCC Non dimenticare Edgar Bérillon, membro dell'Istitut de France, che nel 1915 scrive che i tedeschi defecano più dei francesi. È anche dal volume dei loro escrementi che si capisce se e dove sono passati. Un viaggiatore, dunque, può sapere che ha superato la frontiera che separa la Lorena dal Palatinato esaminando, ai lati delle strade, la taglia degli stronzi. Bérillon parla della "polichesia della razza tedesca". Questo è anche il titolo di uno dei suoi libri. | << | < | > | >> |Pagina 188UE Possiamo insistere sui progressi della cultura, che sono manifesti e che toccano categorie sociali che prima ne erano escluse. Ma contemporaneamente, c'è sempre più imbecillità. Non è che, perché stavano zitti, i contadini di un tempo fossero scemi. Essere colti non significa necessariamente essere intelligenti. No. Ma oggi tutte queste persone vogliono farsi sentire e fatalmente, in alcuni casi, ci fanno sentire solo la loro imbecillità. Quindi possiamo dire che l'imbecillità di un tempo non si esponeva, non si faceva riconoscere, mentre adesso offende le nostre giornate.
Nello stesso tempo questa linea di separazione fra intelligenza e stupidità
non è fissa. Se io devo cambiare una
lampadina, sono un perfetto cretino. In Francia avete delle
variazioni in merito a "Quanti... sono necessari per
cambiare una lampadina, no? Noi in Italia abbiamo una
lunga serie di varianti. Prima i protagonisti erano i cittadini di Cuneo:
"Quante persone di Cuneo servono per cambiare una lampadina?" La soluzione era
cinque: una che tiene la lampadina e quattro che fanno girare il tavolo. Ma
la barzelletta esiste anche negli Stati Uniti: "Quanti californiani servono per
cambiare una lampadina?" "Una che cambia la lampadina e quattordici che
condividono l'esperienza."
JCC
Tu parli della gente di Cuneo e Cuneo è nel Nord
dell'Italia. Ho l'impressione che per ogni popolo le persone più stupide siano
sempre al Nord.
UE Certo, perché è al Nord che si trova la maggior parte delle persone che ha il gozzo, è al Nord che ci sono le montagne che simbolizzano l'isolamento, è sempre al Nord che sono comparsi i barbari che si sono poi lanciati sulle nostre città. È la vendetta delle persone del Sud, che hanno meno denaro e sono tecnicamente meno sviluppate. Quando Bossi è sceso a Roma la prima volta per pronunciare un discorso, si dice che tra la folla si vedeva un cartello che diceva: "Quando voi vivevate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci".
La gente del Sud ha sempre rimproverato alla gente del
nord di mancare di cultura. La cultura, talvolta, è l'ultima
risorsa della frustrazione tecnologica. Nota che ormai gli
abitanti di Cuneo in Italia sono stati sostituiti dai carabinieri. Ma i nostri
carabinieri hanno avuto il colpo di genio di
sfruttare le leggende che circolavano su di loro per riderci
su. Il che è prova di intelligenza. Dopo i carabinieri è stato
il turno di Francesco Totti, il calciatore, e lui ha addirittura
pubblicato un libro che raccoglieva tutte le storie su di lui,
dando i diritto d'autore a un'associazione di beneficenza.
Colpo da maestro.
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