Autore Yuval Noah Harari
Titolo Homo Deus
SottotitoloBreve storia del futuro
EdizioneBompiani, Milano, 2018 [2017], Tascabili 603 , pag. 548, ill., cop.fle., dim. 13x19,7x3,3 cm , Isbn 978-88-452-9875-2
OriginaleThe History of Tomorrow [2015]
TraduttoreMarco Piani
LettoreRiccardo Terzi, 2019
Classe sociologia , scienze sociali , scienze cognitive , scienze tecniche , informatica: reti , informatica: sociologia , evoluzione , natura-cultura












 

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Indice


1.  Il nuovo programma dell'umanità                     7


    Parte prima. Homo sapiens alla conquista del mondo

2.  L'Antropocene                                      93
3.  La scintilla umana                                129


    Parte seconda. Homo sapiens dà un senso al mondo

4.  I narratori                                       193
5.  La strana coppia                                  221
6.  Il moderno patto di alleanza                      247
7.  La rivoluzione umanista                           273


    Parte terza. Homo sapiens perde il controllo

8.  Una bomba a orologeria in laboratorio             343
9.  La grande separazione                             373
10. L'oceano della coscienza                          429
11. La religione dei dati                             449


    Note                                              487
    Ringraziamenti                                    525
    Indice delle immagini e crediti fotografici       527
    Indice analitico                                  531


 

 

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Pagina 7

1. Il nuovo programma dell'umanità

All'alba del III millennio, l'umanità si risveglia, allunga braccia e gambe e si strofina gli occhi. Reminiscenze di un incubo spaventoso ancora le attraversano la mente. "C'era qualcosa con il filo spinato, e gigantesche nuvole a forma di fungo. Oh, be', si è trattato solo di un brutto sogno." In bagno, l'umanità si lava la faccia, esamina allo specchio le rughe sul viso, poi si prepara una tazza di caffè e apre la sua agenda. "Vediamo che cosa c'è in programma oggi."

Per migliaia di anni la risposta a questa domanda è rimasta immutata. Gli stessi tre problemi hanno angustiato le popolazioni della Cina del XX secolo, dell'India medievale e dell'antico Egitto. Carestie, pestilenze e guerre erano sempre in cima alla lista. Per generazioni e generazioni gli umani hanno invocato ogni sorta di divinità, angelo o santo e hanno inventato innumerevoli strumenti, istituzioni e sistemi sociali - ma continuavano a morire a milioni a causa dell'inedia, delle epidemie e della violenza. Molti pensatori e profeti giungevano alla conclusione che la penuria di cibo, la diffusione delle malattie e i conflitti bellici appartenessero in maniera inscindibile al piano cosmico divino o alla nostra imperfetta natura e niente, eccetto la fine dei tempi, avrebbe potuto liberarci da queste piaghe.

Tuttavia, all'alba del III millennio, il risveglio dell'umanità è accompagnato da una stupefacente constatazione. La maggior parte delle persone di rado ci riflette, ma da qualche decennio siamo riusciti a tenere sotto controllo carestie, pestilenze e guerre. Di sicuro questi problemi non hanno ancora trovato una soluzione definitiva, ma da incomprensibili e incontrollabili forze della natura sono stati trasformati in sfide che possono essere affrontate. Non abbiamo bisogno di pregare alcun dio o santo che ce ne liberi. Possediamo infatti conoscenze sufficienti riguardo a ciò che occorre per prevenire carestie, pestilenze e guerre - e di solito riusciamo nell'intento.

È vero, registriamo ancora significativi fallimenti; eppure, quando prendiamo in considerazione questi insuccessi, non alziamo più le spalle dicendo "Non c'è nulla da fare, è così che vanno le cose nel nostro mondo imperfetto" oppure "Sia fatta la volontà di Dio". Al contrario, quando le carestie, le epidemie o i conflitti sfuggono al nostro controllo abbiamo la sensazione che qualcuno debba aver commesso un grave errore, istituiamo una commissione d'inchiesta, e ci ripromettiamo di fare meglio la prossima volta. E in effetti funziona. In realtà questi eventi calamitosi si susseguono con una frequenza sempre minore. Per la prima volta nella storia si muore più per colpa degli eccessi alimentari che per la mancanza di cibo; la morte ci coglie più spesso in tarda età, per vecchiaia, che in gioventù, per malattie infettive; si cessa di vivere più facilmente per mano propria, con il suicidio, che a causa dei rischi connessi alla presenza di soldati, terroristi e criminali messi insieme. All'inizio del XXI secolo è più probabile che l'umano medio muoia per un'abbuffata da McDonald's piuttosto che per la siccità, il virus Ebola, o un attacco di al-Qaida.

Perciò, anche se le giornate di presidenti, amministratori delegati e generali sono tuttora affollate di impegni relativi a crisi economiche e conflitti militari, sulla scala cosmica della storia il genere umano può sollevare lo sguardo e volgerlo verso nuovi orizzonti. Se in effetti siamo in grado di gestire i vecchi problemi come le carestie, le pestilenze e le guerre, che cosa ne prenderà il posto in cima ai programmi dell'umanità? Alla stregua di pompieri in un mondo senza incendi, il genere umano nel XXI secolo ha bisogno di porsi una domanda inaudita: che cosa vogliamo fare di noi stessi? In un mondo privo di malattie, economicamente prospero e in pace, la nostra attenzione e il nostro ingegno su cosa si eserciteranno? Questa domanda diventa doppiamente urgente a causa degli immensi nuovi poteri che le biotecnologie e le tecnologie informatiche sono in grado di mettere a nostra disposizione. Come utilizzeremo tutto questo potere?

Prima di rispondere a tale quesito occorre che spendiamo ancora qualche parola sulle carestie, le pestilenze e le guerre. Affermare che teniamo sotto controllo questi fenomeni potrebbe sembrare a molti oltraggioso, estremamente naïf o insensibile. Che dire infatti dei miliardi di persone che si affannano per vivere con meno di due dollari al giorno? O in che modo commentare il perdurare dell'AIDS in Africa, o le guerre che stanno devastando la Siria e l'Iraq? Per inquadrare tali questioni, prima di esplorare l'agenda dell'umanità dei prossimi decenni, gettiamo allora uno sguardo più vicino al mondo dell'inizio del XXI secolo.

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Infrangere la legge della giungla


Al terzo posto delle buone notizie troviamo che le guerre stanno scomparendo. Fino a questo punto, la storia umana le ha date per scontate, considerando invece la pace una condizione temporanea e precaria. Le relazioni internazionali erano governate dalla legge della giungla, secondo cui, anche se due entità politiche vivevano in pace, la guerra era sempre un'opzione praticabile. Per esempio, sebbene la Germania e la Francia fossero in pace nel 1913, tutti sapevano che queste due nazioni avrebbero potuto farsi la guerra nel 1914. Quando i politici, i generali, gli uomini d'affari e i comuni cittadini decidevano i loro piani per il futuro, non escludevano mai la guerra. Dall'Età della pietra all'epoca del vapore, e dal Polo Nord al Sahara, ogni persona sulla terra sapeva che in qualsiasi momento i vicini avrebbero potuto invadere i confini del territorio in cui abitava, sconfiggere l'esercito che lo difendeva, massacrare la sua gente e occupare le sue terre.

Durante la seconda metà del XX secolo questa legge della giungla è stata messa in discussione, se non accantonata. Nella maggior parte delle aree del pianeta la guerra è divenuta un fenomeno rarissimo. Mentre nelle antiche società agricole la violenza umana ha provocato lo sterminio di circa il 15% di tutta la popolazione, durante il Novecento la violenza ha causato solo il 5% di tutti i decessi, e all'inizio degli anni Duemila è responsabile di poco più dell'1% della mortalità globale. Nel 2012 sono morte circa 56 milioni di persone nel mondo intero: 620.000 sono state vittime della violenza umana (le guerre hanno ucciso 120.000 persone, il crimine ne ha colpito un ulteriore mezzo milione); 800.000 persone si sono suicidate e 1,5 milioni di individui sono morti di diabete. Lo zucchero è adesso più pericoloso della polvere da sparo.

Fatto ancora più decisivo, una porzione crescente dell'umanità è arrivata a considerare la guerra semplicemente come un evento inconcepibile. Per la prima volta nella storia, quando governi, imprese e semplici individui esaminano il loro futuro immediato, molti di loro non pensano alla guerra come a un evento probabile. Le armi nucleari hanno trasformato la guerra tra superpotenze in un folle atto di suicidio collettivo, e pertanto hanno costretto le nazioni più potenti del pianeta a trovare soluzioni alternative e pacifiche per risolvere i conflitti. Contemporaneamente l'economia globale ha subito una mutazione, passando da un sistema produttivo basato sulle materie prime a uno alimentato dalla conoscenza. In passato le principali fonti di ricchezza erano beni materiali come le miniere d'oro, i campi di grano e i pozzi di petrolio. Oggi la principale fonte di benessere è la conoscenza. E mentre è possibile entrare in possesso di giacimenti petroliferi per mezzo della guerra, non si può fare altrettanto con il sapere. Perciò, quando la conoscenza è divenuta la risorsa economica più rilevante, la profittabilità della guerra è declinata e i conflitti bellici si sono ridotti sempre più a quelle parti del mondo - come il Medio Oriente e l'Africa centrale - dove le economie sono ancora sorrette da sistemi produttivi datati.

Nel 1998 aveva un senso che il Rwanda si impadronisse e saccheggiasse le ricche miniere di columbo-tantalite (coltan) del vicino Congo, poiché la domanda di questo minerale era fortemente accresciuta a causa delle aziende produttrici di telefoni cellulari e laptop, e il Congo deteneva l'80% delle riserve mondiali di coltan. Il Rwanda guadagnava 240 milioni di dollari all'anno dal coltan saccheggiato, che per un paese così povero rappresentava una montagna di denaro. Al contrario, non avrebbe alcun senso per la Cina invadere la California e razziare la Silicon Valley, poiché anche se i cinesi riuscissero a prevalere sul campo di battaglia, non ci sarebbero miniere di silicio da depredare nella Silicon Valley. I cinesi hanno guadagnato miliardi di dollari dalla cooperazione con i giganti dell'hi-tech come Apple e Microsoft, comprando i loro software e fabbricando i loro prodotti. Quello che il Rwanda guadagnava da un intero anno di coltan congolese saccheggiato, i cinesi lo guadagnano in un solo giorno di commercio pacifico.

Di conseguenza la parola "pace" ha acquistato un nuovo significato. Le generazioni passate pensavano alla pace come a una temporanea assenza di guerra. Oggi pensiamo alla pace come a una situazione in cui la guerra non è un evento plausibile. Quando nel 1913 le persone dicevano che la Francia e la Germania erano in pace, essi intendevano che "non c'è una guerra in corso, al momento, tra la Francia e la Germania ma chissà cosa porterà l'anno prossimo". Quando oggi affermiamo che la Francia e la Germania sono in pace, intendiamo che è inconcepibile, in qualsiasi circostanza prevedibile, che possa scoppiare un conflitto tra questi due paesi. Tale condizione pacifica prevale non solo tra la Francia e la Germania, ma perfino tra la maggior parte delle nazioni (benché non tutte). Non esiste alcuno scenario che preveda un grave conflitto bellico tra la Germania e la Polonia, tra l'Indonesia e le Filippine, o tra il Brasile e l'Uruguay.

Questo nuovo ordine mondiale all'insegna della pace non è soltanto un'utopia hippie. Anche governi bramosi di potere e avide società per azioni fanno affidamento su tale condizione. Quando la Mercedes pianifica la sua strategia commerciale nell'Europa orientale, non mette in conto che la Germania possa conquistare la Polonia. Una multinazionale che assoldi lavoratori a basso costo delle Filippine non si preoccupa che l'Indonesia invada le Filippine di lì a poco. Quando il governo brasiliano si riunisce per discutere il budget dell'anno successivo, è inimmaginabile che il ministro brasiliano della difesa si alzi dal suo scranno, batta il pugno sul tavolo e dica ad alta voce "Fermi tutti! Che cosa ne pensate di invadere e conquistare l'Uruguay? Non avete preso in considerazione questa possibilità. Accantoniamo 5 miliardi di dollari per finanziare questa conquista." Di sicuro, esistono alcuni posti dove i ministri della difesa si lanciano ancora in discorsi del genere, e ci sono regioni dove il nuovo, pacifico ordine mondiale non è riuscito a radicarsi. Conosco molto bene la situazione perché io vivo in una di queste regioni. Ma sono eccezioni.

Non abbiamo garanzie, ovviamente, che questo stato delle cose si mantenga per un tempo indefinito. Proprio come le armi nucleari hanno reso possibile innanzitutto il nuovo ordine pacifico, così gli sviluppi tecnologici futuri potrebbero predisporre il palcoscenico per nuove forme di conflitti. In particolare la guerra cibernetica potrebbe destabilizzare il mondo dando la possibilità anche a piccole nazioni e ad attori privi di un'organizzazione statuale di combattere le superpotenze in maniera efficace. Quando gli USA hanno attaccato l'Iraq nel 2003, il paese è precipitato nel caos da Baghdad a Mosul, ma neppure una singola bomba è stata sganciata su Los Angeles o Chicago. In futuro, però, un paese come la Corea del Nord o l'Iran potrebbe ricorrere a "bombe logiche" per rovesciare il governo della California, far esplodere le raffinerie del Texas e provocare collisioni di treni nel Michigan. (Le "bombe logiche" sono codici software dannosi installati durante il periodo di pace e in grado di operare a distanza e nel tempo. È altamente probabile che le reti da cui dipende il controllo delle infrastrutture dei servizi vitali negli USA e in molti altri paesi siano già colme di tali codici.)

In ogni caso non dovremmo confondere la capacità con la motivazione. Benché la guerra cibernetica introduca nuovi mezzi di distruzione, non aggiunge necessariamente nuovi incentivi per impiegarli. Nel corso degli ultimi settanta anni il genere umano non ha solo infranto la legge della giungla, ma ha anche contraddetto la legge di Anton Čechov secondo cui una pistola che faccia la sua comparsa nel primo atto di una pièce teatrale, nel terzo sarà inevitabilmente usata per fare fuoco. Rileggendo la storia, se i re e gli imperatori acquisivano nuove armi, prima o poi erano tentati di usarle. Dal 1945, invece, il genere umano ha imparato a resistere a questa tentazione. La pistola che è apparsa nel primo atto della guerra fredda non ha mai sparato. Da allora ci siamo abituati a vivere in un mondo pieno di bombe non sganciate e di missili non lanciati, e siamo diventati esperti nell'infrangere sia la legge della giungla sia la legge di Čechov. Se un giorno dovessimo pagare il conto per queste infrazioni, sarà solo per colpa nostra - e non di un fato ineluttabile.

Qual è il ruolo del terrorismo, allora? Anche se i governi centrali e le nazioni potenti hanno imparato a controllarsi, i terroristi potrebbero non avere gli stessi scrupoli circa l'uso di nuove e distruttive armi. E questa è una possibilità certamente preoccupante. Tuttavia il terrorismo è una strategia debole, adottata da coloro che sono privi di un accesso al potere reale. Almeno in passato, questa forma di lotta politica ha funzionato disseminando paura piuttosto che causando significativi danni materiali. I terroristi di solito non dispongono delle forze necessarie a sconfiggere un esercito, occupare un paese o distruggere intere città. Mentre nel 2010 l'obesità e le malattie connesse hanno ucciso circa 3 milioni di persone, i terroristi hanno fatto 7697 vittime in tutto il mondo, la maggior parte delle quali nei paesi in via di sviluppo. Per l'americano o l'europeo medio, la Coca-Cola costituisce una minaccia assai più letale di al-Qaida.

Come è possibile allora che i terroristi dominino i titoli degli organi d'informazione e influenzino la situazione politica mondiale? Semplicemente spingono i loro nemici a reagire in maniera eccessiva. Nella sua essenza, il terrorismo è una forma di spettacolo. Chi adotta questa forma di lotta politica mette in scena un terrificante spettacolo di violenza che cattura la nostra immaginazione e ci induce a credere che stiamo regredendo al caos del Medioevo. Di conseguenza gli stati spesso si sentono obbligati a reagire al teatro del terrorismo con una esibizione di forze di sicurezza, orchestrando immensi dispiegamenti di uomini e mezzi, incluse la persecuzione di intere popolazioni e l'invasione di paesi stranieri. Nella maggior parte dei casi, questa risposta sproporzionata costituisce una minaccia alla nostra sicurezza più grave di quella scatenata dagli stessi agenti del terrore.

I terroristi sono come una mosca che cerca di distruggere un negozio di articoli in porcellana. La mosca è così debole che non riesce a spostare neppure una singola tazza da tè. Così trova un toro, si infila all'interno di un orecchio dell'animale e inizia a ronzare. Il toro, impaurito e arrabbiato, monta su tutte le furie e devasta il negozio di articoli in porcellana. Questo è quanto è accaduto in Medio Oriente nell'ultimo decennio. I fondamentalisti islamici non avrebbero mai potuto rovesciare Saddam Hussein da soli. Perciò, hanno fatto inferocire gli USA con l'attacco dell'11 settembre e gli USA hanno distrutto il negozio di articoli di porcellana del Medio Oriente per loro. Adesso prosperano tra le macerie. Da soli, i terroristi sono troppo deboli per trascinarci di nuovo nel Medioevo e ristabilire la legge della giungla. Essi possono provocarci, ma in definitiva tutto dipende dalle nostre reazioni. Se la legge della giungla dovesse essere ripristinata, non sarà per colpa dei terroristi.

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Il riconoscimento dei nostri passati successi ci conforta con un messaggio di speranza e responsabilità, incoraggiandoci a puntare verso traguardi ancora più ambiziosi in futuro. Considerati gli obiettivi raggiunti nel XX secolo, se gli uomini continueranno a soffrire a causa della penuria alimentare, delle malattie infettive o dei conflitti bellici, noi non potremo rimproverare la natura o Dio. Abbiamo il potere di far funzionare meglio le cose e persino di ridurre la quantità di sofferenza nel mondo.

Tuttavia, riconoscere la grandezza dei nostri successi ci porta ad approfondire la nostra riflessione: la storia non tollera il vuoto. Se l'impatto delle carestie, delle pestilenze e delle guerre si sta attenuando, qualcos'altro è destinato a prenderne il posto nei programmi dell'umanità. Dobbiamo osservare attentamente ciò che sta arrivando. Altrimenti potremmo ottenere delle vittorie trionfali sui vecchi campi di battaglia ma essere colti completamente di sorpresa su fronti del tutto ignoti. Quali saranno gli obiettivi che rimpiazzeranno la penuria alimentare, le malattie infettive e i conflitti bellici in cima alla lista dei progetti dell'umanità nel XXI secolo?

Uno degli obiettivi fondamentali sarà proteggere il genere umano e il pianeta come un tutt'uno dai rischi connessi al nostro potere. Siamo riusciti a tenere sotto controllo i vecchi problemi in gran parte grazie alla fenomenale crescita economica, che ha messo a disposizione copiose quantità di cibo, medicine, energia e materie prime. Tuttavia questa stessa crescita è causa di destabilizzazione per l'equilibrio ecologico del pianeta in molteplici modi, che abbiamo soltanto iniziato a esplorare. Il genere umano ha riconosciuto questo pericolo in ritardo e finora non ha fatto granché per porvi rimedio. Nonostante i numerosi dibattiti sull'inquinamento, il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici, la maggior parte dei paesi deve ancora sopportare gravi sacrifici economici o politici per migliorare la situazione. Quando si arriva al momento di scegliere tra la crescita economica e la stabilità ecologica, i politici, gli amministratori delegati e gli elettori quasi sempre sono a favore della prima opzione. Nel XXI secolo dovremo fare di meglio se vogliamo evitare una catastrofe.

Per quale altro obiettivo il genere umano lotterà? Ci limiteremo a congratularci con noi stessi enumerando i nostri successi - tenendo sotto controllo le carestie, le pestilenze e le guerre - e proteggeremo l'equilibrio ecologico? Questo potrebbe essere in effetti il modo più saggio di procedere, ma è improbabile che l'umanità intraprenda questa strada. Gli uomini di rado sono soddisfatti di quello che hanno già. La reazione più comune della mente umana quando ottiene qualcosa non è la soddisfazione, ma il desiderio di avere ancora di più. Gli umani sono sempre all'erta, pronti a cogliere opportunità migliori, più grandi, più allettanti. Quando il genere umano potrà disporre di enormi poteri nuovi e quando la minaccia costituita dai vecchi problemi sarà definitivamente depotenziata, che cosa faremo di noi stessi? Come impiegheranno le loro lunghe giornate gli scienziati, gli investitori, i banchieri e i presidenti? Si dedicheranno alla poesia?

Il successo alimenta l'ambizione e i nostri recenti trionfi stanno spingendo il genere umano verso mete ancora più grandiose. Dopo aver assicurato livelli di prosperità, salute e armonia che non hanno precedenti, e tenendo presente la nostra storia e i nostri valori correnti, gli obiettivi futuri del genere umano saranno l'immortalità, la felicità e la divinità. Dopo aver ridotto le cause di decesso intervenendo sulla carenza alimentare, le malattie e la violenza, miriamo a prevalere sull'invecchiamento e perfino sulla morte stessa. Dopo aver salvato le persone dall'abiezione della miseria, puntiamo a far sì che siano felici per quello che hanno. E infine, dopo aver sollevato l'umanità dal livello bestiale della sopravvivenza, coltiviamo l'ambizione suprema di elevare gli umani al rango di divinità, di trasformare Homo sapiens in Homo Deus.

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Gli dèi del pianeta Terra


Nel tentativo di perseguire beatitudine e immortalità gli uomini, in effetti, stanno cercando di elevarsi al rango di dèi. Non tanto perché queste siano qualità divine, ma perché, al fine di sconfiggere la vecchiaia e l'infelicità, gli uomini dovranno innanzitutto acquisire un controllo sul loro sostrato biologico simile a quello che possiede Dio. Se un giorno dovessimo avere il potere di estromettere la morte e il dolore dalle nostre vite, quello stesso potere sarà probabilmente sufficiente a riorganizzare il nostro sistema biopsichico in quasi tutti i modi che desideriamo, manipolando i nostri organi, le nostre emozioni e la nostra intelligenza in una miriade di modi differenti. Potreste comprarvi la forza di Ercole, la sensualità di Afrodite, la saggezza di Atena o la follia di Dioniso se questo è quello che cercate. Finora, il crescente potere umano si affidava per lo più alle migliorie dei nostri strumenti. In futuro potremo contare di più sul miglioramento del corpo e della mente umani, oppure sulla fusione con i nostri stessi strumenti.

L'innalzamento degli uomini al rango divino può avvenire seguendo indifferentemente tre strade: le biotecnologie, l'ingegneria biomedica e l'ingegnerizzazione di esseri non organici.

L'ingegnerizzazione biologica permessa dalle biotecnologie parte dal presupposto che siamo molto lontani dal dispiegare l'intero potenziale dei corpi organici. Per quattro miliardi di anni la selezione naturale ha aggiustato e ricomposto questi corpi, con il risultato che siamo passati dall'ameba ai rettili, ai mammiferi e agli uomini Sapiens. Tuttavia non c'è motivo per pensare che i Sapiens siano l'ultima stazione. Alcune mutazioni, relativamente piccole, nei geni, negli ormoni e a livello neuronale sono state sufficienti per trasformare Homo erectus - che non era in grado di produrre nulla di più impressionante di coltelli di selce - in Homo sapiens, che costruisce navette spaziali e computer. Chissà dove ci potrebbe condurre un drappello di cambiamenti nel nostro DNA, nel sistema ormonale o nella struttura cerebrale? L'applicazione delle biotecnologie non attenderà pazientemente che la selezione naturale si esibisca con i suoi consueti numeri di magia. Al contrario, gli ingegneri genetici prenderanno il vecchio corpo Sapiens e in modo intenzionale riscriveranno il suo codice genetico, allacceranno in diverse configurazioni i circuiti neuronali, altereranno il suo equilibrio biochimico e addirittura svilupperanno arti del tutto nuovi. Di conseguenza creeranno una nuova specie di divinità minori, che potrebbero essere tanto diverse dai Sapiens quanto noi lo siamo da Homo erectus.

L'ingegneria biomedica ci farà compiere un passo ulteriore, innestando sul corpo organico strumenti non organici come le mani bioniche, gli occhi artificiali o milioni di nanorobot che navigheranno nel nostro sangue, per diagnosticare problemi e riparare danni.

[...]

Addirittura l'ingegneria biomedica è relativamente conservatrice, nella misura in cui presume che i cervelli organici continueranno a essere i centri di comando e controllo della vita. Un approccio più audace accantona del tutto le parti organiche e spera di ingegnerizzare esseri completamente non organici. Le reti neuronali saranno rimpiazzate da un software intelligente, che potrebbe navigare in mondi virtuali e non, libero dalle limitazioni della chimica organica. Dopo aver errato per quattro miliardi di anni nel regno dei componenti organici, la vita evaderà nel vasto e sconfinato reame di quelli inorganici e assumerà forme che non possiamo concepire neppure nei nostri sogni più sfrenati. Dopotutto i nostri sogni più sfrenati sono comunque il prodotto di una chimica organica.

Evadere dal reame organico potrebbe anche metterci nelle condizioni di evadere finalmente dal pianeta Terra. Per quattro miliardi di anni la vita è rimasta confinata in questo minuscolo puntino di pianeta a causa della selezione naturale che ha reso tutti gli organismi profondamente dipendenti dalle condizioni uniche di questo granello di roccia volante. Nemmeno i batteri più resistenti possono sopravvivere su Marte. Al contrario, a un'intelligenza artificiale non organica risulterà molto più facile colonizzare i pianeti alieni. La sostituzione della vita organica con esseri inorganici potrebbe inoltre seminare il germe di un futuro impero galattico, governato da esseri più somiglianti all'androide Data che al capitano Kirk.

[...]

Eppure, per quanto i dettagli siano oscuri, non possiamo negare di riconoscere nella storia una direzione principale. Nel XXI secolo, il terzo grande progetto del genere umano riguarderà l'acquisizione di poteri divini di creazione e distruzione, ed eleverà Homo sapiens a Homo Deus. Questo terzo progetto ovviamente include i primi due, ed è da loro alimentato. Vogliamo avere la capacità di reingegnerizzare i nostri corpi e le nostre menti al fine di, soprattutto, sfuggire alla vecchiaia, alla morte e all'infelicità, ma una volta che possediamo questa capacità, chissà cos'altro ci si potrebbe fare? Pertanto sono in molti a ritenere che i nuovi programmi dell'umanità alla fine si riducano a un unico progetto (con tante diramazioni): acquisire la condizione di esseri divini.

Se può suonare scarsamente scientifico o decisamente bizzarro, è perché la gente spesso non ha chiaro il significato di divinità. Non si tratta di una vaga qualità metafisica. E non coincide neppure con l'onnipotenza. Quando parliamo di elevare gli uomini agli dèi, pensiamo a qualcosa di prossimo agli dèi greci o ai deva indù piuttosto che all'onnipotente Padre nei cieli di biblica memoria. I nostri discendenti avranno le stesse fisime, perversioni e limiti, proprio come Zeus e Indra hanno i loro. Ma essi potranno amare, odiare, creare e distruggere su una scala molto più grande della nostra.

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Pagina 68

Quando le persone si rendono conto di quanto rapidamente stiamo andando verso il grande ignoto, e che non possono fare affidamento sul fatto di essere già morti per evitarlo, la loro reazione è sperare che qualcuno tirerà i freni e rallenterà. Ma non possiamo farlo per parecchie ragioni.

In primo luogo, nessuno sa dove siano i freni. Mentre alcuni esperti hanno familiarità con gli sviluppi in un campo, come l'intelligenza artificiale, la nanotecnologia, i Big Data o la genetica, nessuno è esperto di tutto quanto. Nessuno è capace di connettere tutti i punti e di vedere il quadro nel suo insieme. Differenti campi si influenzano a vicenda secondo modalità così complesse che anche le menti più brillanti non riescono a immaginare come progressi importanti nell'intelligenza artificiale potrebbero impattare sulla nanotecnologia, o viceversa. Nessuno può recepire tutte le più recenti scoperte scientifiche, nessuno può fare previsioni su quale sarà l'assetto dell'economia globale nei prossimi dieci anni, e nessuno ha uno straccio di indizio di dove ci stiamo dirigendo con così tanta fretta. Poiché nessuno comprende più il sistema, nessuno può fermarlo.

In secondo luogo, se pure riuscissimo in qualche maniera a tirare i freni, la nostra economia collasserebbe, e con lei la nostra società. Come ho spiegato in un paragrafo precedente, l'economia moderna necessita di una crescita costante e indefinita per poter sopravvivere. Se la crescita dovesse per qualche ragione arrestarsi, l'economia non troverà un adeguato punto d'equilibrio e cadrà in pezzi. Ecco perché íl capitalismo incoraggia a cercare l'immortalità, la felicità e la divinità. Esiste un limite al numero di scarpe che possiamo indossare, al numero di auto che possiamo guidare, e al numero di giorni di vacanza per andare a sciare di cui possiamo godere. Un'economia che si regge su una crescita infinita ha bisogno di progetti infiniti - proprio come la ricerca dell'immortalità, della beatitudine eterna e dei poteri divini.

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Pagina 76

[...] Possiamo sapere come funzionava l'economia nel passato - ma non riusciamo più a comprenderne il funzionamento presente, per non parlare di quello futuro.

Questo non è un esempio ipotetico. A metà del XIX secolo Karl Marx ebbe alcune brillanti intuizioni economiche. Basandosi su queste intuizioni predisse un acuirsi della violenza nel conflitto tra il proletariato e i capitalisti, che avrebbe condotto inevitabilmente alla vittoria dei primi e al collasso del sistema capitalistico. Marx era sicuro che la rivoluzione avrebbe preso le mosse nei paesi che avevano guidato la Rivoluzione industriale - ovvero la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti - e da lì si sarebbe diffusa nel resto del mondo.

Marx dimenticava che i capitalisti sapevano leggere. All'inizio soltanto un pugno di seguaci prese sul serio il filosofo tedesco e lesse i suoi scritti. Ma quando questi agitatori socialisti raccolsero intorno a loro altri sostenitori e acquisirono potere, i capitalisti si allarmarono. Anche loro cominciarono quindi a compulsare le pagine del Capitale , appropriandosi di molti degli strumenti concettuali e delle intuizioni dell'analisi marxiana. Nel XX secolo, chiunque, dall'ultimo dei monelli di strada ai più importanti presidenti, ha sposato la visione marxista dell'economia e della storia. Perfino gli irriducibili capitalisti che hanno resistito con veemenza alla prognosi di Marx facevano ricorso alla diagnosi di Marx. Quando la CIA analizzava la situazione in Vietnam o in Cile negli anni sessanta del secolo scorso, divideva la società in classi. Quando Nixon o Thatcher guardavano al globo, si domandavano chi deteneva il controllo dei mezzi vitali di produzione. Dal 1989 al 1991 George Bush sovrintese agli ultimi colpi che portarono alla caduta dell'Impero del Male comunista, giusto in tempo per essere sconfitto alle elezioni da Bill Clinton. La vincente strategia della campagna di Clinton era sintetizzata nel motto: "È l'economia, stupido." Marx non avrebbe saputo dir di meglio.

Dopo aver adottato la diagnosi marxista, le persone cambiavano il loro comportamento di conseguenza. I capitalisti nei paesi come la Gran Bretagna e la Francia si sforzarono di migliorare la condizione di gran parte dei lavoratori, rinsaldare la loro consapevolezza nazionale e integrarli nel sistema politico. Pertanto, quando i lavoratori iniziarono a votare alle elezioni e i partiti che portavano avanti la loro causa divennero parte dell'organizzazione del potere in un paese dopo l'altro, i capitalisti poterono ancora dormire sonni tranquilli nei loro letti. Il risultato fu che gli enunciati di Marx finirono per perdere il loro potere predittivo. Le rivoluzioni comuniste non travolsero le potenze industriali; come la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti, e la dittatura del proletariato fu gettata nel secchio dell'immondizia della storia.

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Una breve storia dei prati


Se la storia non segue alcuna regola generale, e noi non possiamo fare previsioni sul suo corso, perché studiarla? Spesso sembra che lo scopo principale della scienza sia fare ipotesi sul futuro: dai meteorologi ci si attende che prevedano se domani farà bello o brutto tempo; gli economisti dovrebbero sapere se svalutare la moneta servirà a evitare che un paese precipiti in una crisi economica o invece produrrà l'effetto opposto; i bravi dottori dovrebbero sapere se sarà più efficace la chemioterapia o la radioterapia nella cura di un cancro ai polmoni. Similmente, agli storici è richiesto di esaminare le azioni dei nostri antenati cosicché possiamo replicare le loro sagge decisioni, scansando i loro errori. Ma non funziona quasi mai in questo modo perché il presente è troppo diverso dal passato. È soltanto uno spreco di tempo studiare le tattiche di Annibale nella seconda guerra punica allo scopo di copiarle nella terza guerra mondiale. Quello che ha funzionato bene nelle battaglie dove era previsto l'impiego di reparti di cavalleria non necessariamente sarà di grande aiuto nella guerra cibernetica.

La scienza, però, non si occupa soltanto di predire il futuro. Gli studiosi di tutti i campi spesso cercano di ampliare i nostri orizzonti, così da preparare prima, per noi, il terreno a nuovi e ignoti futuri. Questo è particolarmente vero per la storia. Benché gli storici di tanto in tanto si cimentino nell'arte di fare profezie (senza peraltro grandi risultati), lo studio della storia mira soprattutto a renderci consapevoli delle possibilità che di norma non prendiamo in considerazione. Gli storici studiano il passato non per ripeterlo, ma per liberarsene.

Tutti quanti noi siamo nati in una data realtà storica, condizionata da particolari norme e valori e gestita da un unico sistema economico e politico. Diamo per scontata questa realtà, pensando che sia naturale, inevitabile e immutabile. Dimentichiamo che il nostro mondo è il prodotto di una catena accidentale di eventi, e che la storia non è plasmata soltanto da tecnologia, politica e società, ma anche da pensieri, paure e sogni. La gelida mano del passato emerge dalla tomba dei nostri antenati, ci afferra alle spalle e dirige il nostro sguardo verso una singola porzione di futuro. Avvertiamo quella presa fin dal momento della nascita, e quindi presumiamo che sia una parte naturale e ineludibile di quello che siamo. Inoltre, di rado cerchiamo di liberarci da questi vincoli, concedendoci la possibilità di immaginare futuri alternativi.

Lo studio della storia ha proprio come obiettivo l'allentamento della presa del passato su di noi. Ci consente di volgere la nostra testa da una parte e dall'altra e cominciare a notare potenzialità che i nostri antenati non potevano, o non volevano, immaginare. Osservando l'accidentale catena di eventi che ci ha condotti fin qui, ci rendiamo conto di come hanno preso forma i nostri pensieri e sogni più intensi - e possiamo iniziare a pensare e sognare in modo differente. Studiare la storia non ci dirà che cosa scegliere, ma almeno ci metterà nelle condizioni di scegliere tra più opzioni.

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Pertanto gli effettivi programmi nel XXI secolo saranno molto più complessi di quanto in questo lungo capitolo introduttivo è stato suggerito. Oggi infatti potrebbe sembrare che l'immortalità, la felicità eterna e uno status divino occupino le posizioni chiave della nostra progettualità. Ma non appena saremo vicini a raggiungere questi obiettivi è probabile che gli sconvolgimenti che ne scaturiranno ci faranno deviare verso esiti del tutto differenti. Il futuro descritto in questo capitolo è meramente il futuro del passato - ovvero un futuro basato sulle idee e le speranze che hanno dominato il mondo durante gli ultimi trecento anni. Il futuro reale - ovvero un futuro nato dalle nuove idee e speranze del XXI secolo - potrebbe essere completamente diverso.

Per comprendere tutto questo abbiamo bisogno di fare un passo indietro e indagare chi è davvero Homo sapiens, come l'umanesimo è diventato la religione mondiale dominante e perché è probabile che il tentativo di portare a compimento il sogno umanista provochi la distruzione del genere umano. Questo è lo scopo fondamentale del presente volume.

La Parte prima del libro affronta la relazione tra Homo sapiens e gli altri animali, cercando di capire ciò che rende la nostra specie così singolare. Alcuni lettori potrebbero meravigliarsi del fatto che in un libro dedicato al futuro si riservi tanta attenzione al mondo animale. Dal mio punto di vista, non si può parlare seriamente della natura e del futuro dell'umanità senza iniziare dai nostri vicini animali. Homo sapiens fa del suo meglio per dimenticarlo, ma anche lui è un animale. Ed è doppiamente importante ricordare le nostre origini in un tempo in cui cerchiamo di trasformarci in divinità. Nessuna indagine sulle nostre prospettive divine può ignorare il nostro passato animale o le nostre relazioni con gli altri animali - poiché la relazione tra umani e animali è il miglior modello che abbiamo per le future relazioni tra superuomini e (semplici) uomini. Volete sapere come androidi super-intelligenti potrebbero trattare umani ordinariamente costituiti di carne e ossa? Meglio cominciare dall'indagare come gli umani trattano i loro meno intelligenti cugini animali. Non è un'analogia perfetta, certamente, ma è il miglior archetipo che possiamo in effetti osservare piuttosto che soltanto immaginare.

Partendo dalle conclusioni della Parte prima, la Parte seconda del libro prende in esame il bizzarro mondo che Homo sapiens ha creato negli ultimi millenni e il percorso che ci ha portati al nostro attuale bivio. Come è giunto Homo sapiens a credere nella fede umanista, secondo cui l'universo ruota intorno al genere umano e gli umani sono la fonte di ogni significato e autorità? Quali sono le implicazioni economiche, sociali e politiche di questo credo? Come plasma la nostra vita quotidiana, la nostra arte e i nostri desideri più reconditi?

La Parte terza ci riporta all'inizio del XXI secolo. Fondata su una più profonda comprensione del genere umano e del culto umanista, descrive la nostra attuale difficile situazione e i futuri possibili che ci attendono. Perché i tentativi di portare a compimento l'umanesimo potrebbero causarne la rovina? In che modo la ricerca dell'immortalità, della felicità eterna e di uno status divino scuoterebbe le fondamenta delle nostre fedi nell'umanità? Quali segni annunceranno questo cataclisma, e come esso si rifletterà nelle decisioni quotidiane che ciascuno di noi prende? E se l'umanesimo è davvero in pericolo, cosa ne prenderà il posto? Questa parte del libro non consiste in un filosofeggiare fine a se stesso o in una futile narrazione futurologica. Al contrario, analizza i nostri smartphone, le modalità di corteggiamento di un possibile partner e il mercato del lavoro assumendoli come altrettanti indizi delle cose che verranno.

Per i veri credenti umanisti, tutto questo può sembrare molto pessimistico e deprimente. Ma è meglio non saltare subito alle conclusioni. La storia è stata testimone dell'ascesa e della caduta di molte religioni, imperi e culture. Rivoluzioni di questa portata non sono necessariamente negative. L'umanesimo ha dominato il mondo per trecento anni, un intervallo di tempo neanche troppo lungo. I faraoni hanno regnato sull'Egitto per 3000 anni e i papi hanno dominato l'Europa per un millennio. Se aveste detto a un Egizio ai tempi di Ramses II che un giorno i faraoni sarebbero scomparsi, probabilmente vi avrebbe guardato con un'espressione incredula, sbigottita. "Come possiamo vivere senza un faraone? Chi garantirà l'ordine, la pace e la giustizia?" Se aveste rivelato alle genti del Medioevo che entro pochi secoli Dio sarebbe morto, sarebbero rimaste sconvolte dall'orrore. "Come possiamo vivere senza Dio? Chi darà alla vita un senso e ci proteggerà dal caos?"

Volgendo lo sguardo al passato, molti pensano che l'estinzione dei faraoni e la morte di Dio siano stati entrambi sviluppi positivi. Forse anche il collasso dell'umanesimo porterà benefici. Le persone di solito sono spaventate dal cambiamento perché temono l'ignoto. Ma l'unica e più grandiosa costante della storia è che ogni cosa cambia.

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Agli inizi del XXI secolo il treno del progresso è di nuovo pronto per riprendere la sua corsa - e questo, probabilmente, sarà l'ultimo treno che partirà ancora dalla stazione chiamata Homo sapiens. Coloro che perdono questo treno non avranno una seconda possibilità. Per ottenere un posto occorre comprendere la tecnologia del XXI secolo, e in particolare il potere delle biotecnologie e degli algoritmi dei computer. Questo potere è assai più grande di quello dispiegato dal vapore e dal telegrafo, non sarà semplicemente usato per la produzione alimentare, tessile, dei trasporti e degli armamenti. I principali prodotti del XXI secolo saranno i corpi, i cervelli e le menti, e le differenze tra chi saprà come ingegnerizzare corpi e cervelli e chi no saranno più grandi delle differenze tra la Gran Bretagna di Dickens e il Sudan del Mahdi. In effetti, saranno più grandi delle differenze tra Sapiens e Neanderthal. Nel XXI secolo, coloro che salteranno sul treno del progresso acquisiranno abilità divine di creazione e distruzione, mentre coloro che rimarranno a piedi andranno incontro all'estinzione.

Il socialismo, che era all'avanguardia un centinaio di anni fa, non è riuscito a tenere il passo con la nuova tecnologia. Leonid Breznev e Fidel Castro si sono attenuti alle idee di Marx e Lenin formulate all'epoca del vapore e non hanno compreso il potere dei computer e della biotecnologia. I liberali, al contrario, si sono adattati molto meglio all'età dell'informazione. Questo in parte spiega perché la profezia di Chrušcëv del 1956 non si è mai concretizzata, e perché sono stati i capitalisti liberali che alla fine hanno sepolto i marxisti. Se Marx tornasse in vita oggi, probabilmente spingerebbe i pochi seguaci residui a dedicare meno tempo alla lettura del Capitale e più tempo a studiare Internet e il genoma umano.

L'islam radicale è in una posizione ancora peggiore del socialismo. Non è venuto nemmeno a patti con la Rivoluzione industriale - nessuna meraviglia che abbia così poco da dire di rilevante sull'ingegneria genetica e l'intelligenza artificiale. L'islam, la religione cristiana e altri culti tradizionali sono ancora attori importanti del mondo. Tuttavia il loro ruolo è adesso soprattutto di retroguardia. In passato, hanno rappresentato forze propulsive, in grado di cambiare il pianeta. La religione cristiana, per esempio, ha diffuso la nozione eretica che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, determinando quindi il cambiamento delle strutture politiche, delle gerarchie sociali e persino delle relazioni di genere. Con il suo discorso della montagna Gesù è andato oltre, insistendo sul fatto che Dio ama particolarmente gli umili e gli oppressi, rovesciando così la piramide del potere e mettendo quindi a disposizione di generazioni di rivoluzionari cospicue riserve di munizioni.

Oltre a queste riforme sociali ed etiche, la religione cristiana è stata responsabile di importanti innovazioni economiche e tecnologiche. La Chiesa cattolica ha istituito il sistema amministrativo più sofisticato dell'Europa medievale e ha introdotto l'uso degli archivi, dei cataloghi, dei calendari e di altre tecniche di elaborazione dei dati. Nell'Europa del XII secolo il Vaticano era l'istituzione più prossima alla Silicon Valley. La Chiesa ha istituito le prime società economiche d'Europa, i monasteri, che per un migliaio di anni hanno guidato l'economia europea e hanno introdotto metodi agricoli e amministrativi avanzati. I monasteri furono le prime organizzazioni a usare gli orologi, e per secoli, insieme alle scuole delle cattedrali, hanno rappresentato i più importanti centri d'istruzione europei, aiutando a fondare le prime università del continente, come quelle di Bologna, Oxford e Salamanca.

Oggi la Chiesa cattolica continua a godere della lealtà e dei tributi di centinaia di milioni di fedeli. Tuttavia il cattolicesimo e le altre religioni teiste da tempo si sono trasformate da forze propulsive in forze reazionarie. Questi culti si preoccupano maggiormente di organizzare azioni di retroguardia più che di esplorare le potenzialità di tecnologie innovative, di metodi economici inediti o di rivoluzionarie idee sociali. Essi per lo più vivono ora un rapporto problematico con le tecnologie, i metodi e le idee diffusi da altri movimenti. I biologi inventano la pillola contraccettiva - e il papa non sa che fare. Gli informatici sviluppano Internet - e i rabbini discutono se agli ebrei ortodossi dovrebbe essere concesso di navigarvi. Le pensatrici femministe fanno appello alle donne perché si impossessino dei propri corpi - e colti muftī dibattono quale posizione prendere rispetto a una simile idea incendiaria.

Chiedetevi qual è stata la scoperta, l'invenzione o la creazione più influente del XX secolo. È una domanda difficile, poiché è arduo scegliere all'interno di una lunga lista di candidati, tra cui scoperte scientifiche come gli antibiotici; invenzioni tecnologiche come i computer; e invenzioni ideologiche come il femminismo. Adesso chiedetevi qual è la scoperta, invenzione o creazione più influente attribuibile a religioni tradizionali come l'islam e il cristianesimo nel XX secolo. Anche questa è una domanda molto difficile, poiché c'è ben poco da scegliere. Che cosa hanno scoperto i preti, i rabbini e i muftī nel XX secolo che possa essere paragonato agli antibiotici, ai computer e al femminismo? Dopo aver rimuginato su queste due domande, da dove pensate che arriveranno i grandi cambiamenti del XXI secolo: dallo Stato islamico o da Google? Sì, lo Stato islamico sa come postare i video su YouTube; ma lasciando da parte l'industria della tortura, quali nuove invenzioni ci sono pervenute dalla Siria o dall'Iraq ultimamente?

Miliardi di persone, tra cui molti scienziati, continuano a usare le Scritture come fonte d'autorità, ma questi testi non sono più fonte di creatività. Pensate, per esempio, all'accettazione del matrimonio gay e del clero femminile da parte dei settori più progressisti del cristianesimo. Da dove origina questa accettazione? Non dalla lettura della Bibbia, di sant'Agostino o di Martin Lutero. Derivano piuttosto dalla lettura di testi come Storia della sessualità di Michel Foucault o Manifesto cyborg: donne, tecnologie e biopolitiche del corpo di Donna Haraway. Tuttavia i veri credenti cristiani - per quanto progressisti - non possono ammettere di far discendere i loro principi etici da Foucault e Haraway. Quindi si rivolgono alla Bibbia, a sant'Agostino e a Martin Lutero, e cercano e cercano. Leggono ogni pagina e ogni storia con la più occhiuta attenzione possibile, finché scoprono, alla fine, ciò di cui hanno bisogno: una qualche massima, una parabola o regola che, se interpretata in modo sufficientemente creativo, significa che Dio benedice i matrimoni gay e che le donne possono essere ordinate sacerdoti. Questi cristiani fanno finta che l'idea abbia origine nella Bibbia, quando in effetti è stata proposta da Foucault. La Bibbia conserva la sua autorità, anche se non è più una fonte autentica di ispirazione.

Ecco perché le religioni tradizionali non offrono una reale alternativa al liberalismo. Le loro Scritture non hanno niente da dire sull'ingegneria genetica o sull'intelligenza artificiale, e la maggior parte dei preti, dei rabbini e dei muftī non comprende le più recenti rivoluzioni nel campo biologico e informatico. Perché se volete comprendere queste rivoluzioni non avete molta scelta: occorre che dedichiate il vostro tempo alla lettura di articoli scientifici e conduciate esperimenti di laboratorio invece di memorizzare e discutere testi antichi.

Questo non significa che il liberalismo possa riposare sugli allori. Vero, ha vinto le guerre umaniste di religione e fino a questo momento non ci sono alternative percorribili. Ma il suo stesso successo può contenere i prodromi della sua rovina. I trionfanti ideali liberali stanno adesso spingendo il genere umano al raggiungimento dell'immortalità, della beatitudine eterna e della divinità. Spronati dai presunti desideri infallibili dei consumatori e degli elettori, gli scienziati e gli ingegneri dedicano sempre più energie a questi progetti liberali. Tuttavia ciò che gli scienziati stanno scoprendo e ciò che gli ingegneri stanno sviluppando può esporre entrambi, involontariamente, alle falle insite nella concezione liberale del mondo e alla cecità dei consumatori e degli elettori. Quando l'ingegneria genetica e l'intelligenza artificiale riveleranno tutto il loro potenziale, il liberalismo, la democrazia e il libero mercato potrebbero diventare obsoleti come i coltelli di selce, le musicassette, l'islam e il comunismo.

Questo libro ha preso le mosse dalla previsione secondo cui nel XXI secolo gli uomini cercheranno di ottenere l'immortalità, la beatitudine eterna e la divinità. Questa previsione non è molto originale o lungimirante. Riflette semplicemente gli ideali tradizionali dell'umanesimo liberale. Poiché l'umanesimo ha a lungo sacralizzato la vita, le emozioni e i desideri degli esseri umani, non sorprende che una civiltà umanista voglia massimizzare la durata della vita media, la felicità e il potere dell'uomo.

Tuttavia nella terza e ultima parte del libro si discuterà del fatto che tentare di realizzare questo sogno umanista minerà le fondamenta dell'ideologia liberale poiché si scateneranno gli effetti delle nuove tecnologie post-umaniste. La fede umanista nei sentimenti ci ha consentito di beneficiare dei frutti del patto della modernità senza pagarne il prezzo. Non abbiamo bisogno di alcun dio che limiti il nostro potere e dia un senso alle nostre vite - le libere scelte dei consumatori e degli elettori ci sostengono con tutto il significato di cui c'è bisogno. Che cosa accadrà, allora, quando comprenderemo che i consumatori e gli elettori non compiono mai libere scelte, e quando avremo a disposizione la tecnologia necessaria per calcolare, progettare e vincere in astuzia i loro sentimenti? Se l'intero universo è appeso all'esperienza umana, che cosa accadrà quando l'esperienza umana diventerà solo uno dei tanti prodotti da progettare, senza alcuna differenza essenziale rispetto a qualsiasi altra merce sugli scaffali di un supermercato?

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8. Una bomba a orologeria in laboratorio



Nel 2017 il mondo è dominato dal "pacchetto liberale" composto da individualismo, diritti umani, democrazia e libero mercato. Eppure la scienza del XXI secolo sta minando le fondamenta dell'ordine liberale. Essa, non occupandosi di questioni di valore, non può stabilire se i liberali facciano bene a considerare la libertà più importante dell'uguaglianza o ad attribuire maggiore rilievo all'individuo rispetto alla collettività. Ma proprio come ogni altra religione, il liberalismo non si basa solo su giudizi morali astratti, bensì anche su quelle che ritiene essere constatazioni di fatto. E queste constatazioni di fatto semplicemente non reggono a un esame scientifico rigoroso.

I liberali riconoscono così tanto valore alla libertà individuale perché credono che gli esseri umani siano dotati di libero arbitrio. Per il liberalismo le decisioni di elettori e consumatori non sono né deterministiche né arbitrarie. Certo, le persone sono influenzate da forze esterne ed eventi casuali, ma alla fin fine ognuno di noi può agitare la bacchetta magica della libertà e decidere per sé. È questo il motivo per cui il liberalismo dà tanta importanza agli elettori e ai consumatori e ci esorta a seguire il nostro cuore e a fare ciò che riteniamo giusto. È il nostro libero arbitrio a infondere senso nell'universo, e dal momento che nessuno all'infuori di noi può sapere davvero che cosa proviamo o prevedere con certezza le nostre scelte, non dovremmo affidare ad alcun Grande Fratello di sorta i nostri interessi e desideri.

Attribuire agli esseri umani il libero arbitrio non è un giudizio morale: vuole essere una descrizione oggettiva del mondo. Questa presunta descrizione oggettiva poteva avere un senso all'epoca di John Locke , Jean Jacques Rousseau e Thomas Jefferson , ma non si concilia con le ultime scoperte nell'ambito delle scienze biologiche. La contraddizione tra libero arbitrio e scienza contemporanea è il proverbiale "elefante nella stanza" (o meglio, nel laboratorio), un problema evidente che molti preferiscono ignorare mentre scrutano nei loro microscopi e negli scanner a risonanza magnetica.

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[...] In modo paradossale, più ci sacrifichiamo per una storia di fantasia, più ci attacchiamo a essa con tenacia, perché vogliamo disperatamente dare un senso a quei sacrifici e alle sofferenze che abbiamo causato.

In politica tutto questo è noto come sindrome da "I nostri ragazzi non sono morti invano". Nel 1915 l'Italia entrò in guerra a fianco dell'Intesa, con lo scopo dichiarato di "liberare" Trento e Trieste, due territori "italiani" che gli austroungarici occupavano "ingiustamente". I politici italiani tennero discorsi infuocati in parlamento, promettendo che avrebbero raddrizzato i torti della storia e riportato il paese ai fasti dell'antica Roma. Centinaia di migliaia di soldati andarono al fronte al grido di "Per Trento e Trieste!" Pensavano che sarebbe stata una passeggiata.

Tutt'altro. L'esercito austroungarico mantenne una forte linea difensiva lungo il fiume Isonzo. Gli italiani la presero d'assalto in undici sanguinose battaglie, guadagnando al massimo una manciata di chilometri, e senza mai riuscire a sfondare le linee nemiche. Nella prima battaglia persero 15.000 unità (tra soldati uccisi, feriti e prigionieri). Nella seconda 40.000. Nella terza 60.000. E così andarono avanti per più di due terribili anni, fino all'undicesima battaglia. Poi, finalmente, gli austriaci contrattaccarono e, nel dodicesimo scontro, meglio noto come battaglia di Caporetto, inflissero una sonora sconfitta agli italiani, respingendoli indietro fin quasi alle porte di Venezia. La gloriosa avventura si trasformò in un bagno di sangue. Alla fine della guerra, tra le file italiane si contarono quasi 700.000 morti e oltre un milione di feriti.

Dopo aver perso la prima battaglia dell'Isonzo, i governanti italiani avevano due possibilità. Potevano ammettere il loro errore e offrirsi di siglare un trattato di pace: l'impero austroungarico non accampava pretese nei confronti dell'Italia e sarebbe stato ben felice di firmare la pace poiché era impegnato a combattere per la propria sopravvivenza contro un esercito molto più forte, quello russo. Ma con che faccia avrebbero potuto dire ai genitori, alle mogli e ai figli dei 15.000 soldati caduti: "Scusate, c'è stato un errore. Speriamo che non la prendiate troppo male, ma il vostro Giovanni è morto invano, e anche il vostro Marco." L'altra possibilità era dichiarare: "Giovanni e Marco sono degli eroi! Hanno dato la vita perché Trieste fosse italiana, e noi ci assicureremo che non siano morti invano. Continueremo a combattere finché la vittoria sarà nostra!" Com'era prevedibile, i governanti preferirono la seconda opzione. Si lanciarono quindi in una seconda battaglia, e persero altri 40.000 uomini. Decisero di nuovo che sarebbe stato meglio proseguire a combattere, perché "i nostri ragazzi non sono morti invano".

Eppure, non si può addossare tutta la colpa ai politici. Anche le masse continuarono a sostenere la guerra. E quando alla fine l'Italia non ebbe tutti i territori che pretendeva, la democrazia italiana affidò la guida del paese a Benito Mussolini e ai fascisti, che promisero di ottenere un giusto indennizzo per i sacrifici fatti dai loro compatrioti. Se per un politico è difficile dire a un padre e a una madre che il loro figlio è morto senza alcun buon motivo, è molto più doloroso per quei genitori dire la stessa cosa a se stessi; ed è ancora più dura per le vittime. Un soldato che ha perso una gamba in battaglia preferirebbe raccontare a se stesso: "Mi sono sacrificato per la gloria eterna della nazione italiana!" piuttosto che: "Ho perso una gamba perché sono stato così stupido da credere a un manipolo di politici che pensavano solo ai propri interessi." E molto più facile vivere nell'illusione, perché l'illusione dà un senso alla sofferenza.

I sacerdoti hanno scoperto questo principio migliaia di anni fa. Esso sottostà a numerosi riti e comandamenti religiosi. Se volete che le persone credano in invenzioni culturali come dèi e nazioni, dovete far sì che sacrifichino qualcosa di prezioso. Più doloroso è il sacrificio, più loro saranno convinte dell'esistenza del destinatario immaginario di quel sacrificio. Un povero contadino che sacrifica un prezioso toro a Giove si convincerà che Giove esiste davvero, altrimenti come potrebbe giustificare la propria stupidità? Il contadino sacrificherà un altro toro, e poi un altro, e un altro ancora, pur di non dover ammettere che tutti i tori precedenti sono andati sprecati. Esattamente per lo stesso motivo, se io ho sacrificato un figlio per la gloria della nazione italiana o una gamba per la rivoluzione comunista, non servirà altro per trasformarmi in un fervente nazionalista italiano o in un comunista entusiasta. Infatti, se i miti nazionalisti italiani o la propaganda comunista fossero solo menzogne, sarei costretto ad ammettere che la morte di mio figlio o la mia invalidità sono del tutto insensate. E poche persone hanno il coraggio di ammettere una cosa del genere.

La stessa logica opera in ambito economico.

[...]

A questo punto, ci rendiamo conto che anche il sé è un'invenzione, proprio come le nazioni, gli dèi e il denaro. Ognuno di noi possiede un sofisticato sistema che cestina la maggior parte delle nostre esperienze, ne conserva solo alcuni campioni scelti, li mescola con stralci di film che abbiamo visto, romanzi che abbiamo letto, discorsi che abbiamo sentito e sogni a occhi aperti che abbiamo assaporato, e da questo calderone ricava una storia apparentemente coerente che racconta chi sono, da dove vengo e dove vado. Questa storia mi dice che cosa amare, chi odiare e cosa fare della mia vita. Può persino indurmi a sacrificare la mia esistenza, se la trama lo richiede. Ciascuno di noi ha il suo genere: qualcuno vive una tragedia, altri sono i protagonisti di uno sceneggiato a sfondo religioso, alcuni affrontano la vita come in un film d'azione, e non pochi si comportano come in una commedia. Ma alla fin fine, queste sono tutte storie. Nient'altro che storie.


Qual è, allora, il senso della vita? Il liberalismo sostiene che non dovremmo aspettarci che un'entità esterna di qualche tipo ci fornisca una risposta preconfezionata. Piuttosto, ciascun individuo, elettore, consumatore e spettatore dovrebbe fare uso del suo libero arbitrio per dare un senso non solo alla propria vita ma all'intero universo.

Le scienze biologiche, però, destabilizzano le fondamenta del liberalismo, perché sostengono che l'individuo libero è soltanto una favola generata da un insieme di algoritmi biochimici. In ogni istante, i processi biochimici del cervello creano un lampo di esperienza che sparisce un attimo dopo. Poi altri flash appaiono e scompaiono, appaiono e scompaiono, in rapida successione, ma queste esperienze momentanee non si sommano per formare un'essenza persistente. Il sé narrante cerca di imporre un ordine a questo caos intessendo una storia infinita nella quale ogni esperienza trova il suo posto, e dunque un senso duraturo. Tuttavia, per quanto possa essere convincente e affascinante, questa storia è pura finzione. I crociati medievali erano convinti che Dio e il paradiso riempissero la loro vita di senso; i liberali moderni sono convinti che le libere scelte dell'individuo riempiano la vita di senso. Tutti quanti si illudono alla stessa maniera.

Dubitare dell'esistenza del libero arbitrio e dell'individuo non è una novità, naturalmente. Più di 2000 anni fa, pensatori indiani, cinesi e greci sostenevano che "il sé individuale è un'illusione". Eppure questi dubbi non cambiano la storia, a meno che non abbiano un impatto sull'economia, la politica e la vita quotidiana. Noi esseri umani siamo maestri della dissonanza cognitiva, e ci concediamo di credere una cosa quando siamo in laboratorio e una completamente diversa quando siamo in tribunale o in parlamento. Come il cristianesimo non è sparito il giorno in cui Darwin ha dato alle stampe L'origine delle specie , così il liberalismo non svanirà solo perché la scienza ha stabilito che non esistono individui liberi.

Anzi, persino Richard Dawkins , Steven Pinker e gli altri paladini della nuova visione scientifica del mondo si rifiutano di abbandonare il liberalismo. Dopo aver dedicato centinaia di pagine erudite a decostruire il sé e il libero arbitrio, si producono in sorprendenti salti mortali intellettuali che, come per miracolo, li fanno atterrare nel XVIII secolo, come se tutte le straordinarie scoperte della biologia evolutiva e delle neuroscienze non incidessero minimamente sulle idee morali e politiche di Locke, Rousseau e Jefferson.

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In passato c'erano molte cose che solo gli umani potevano fare. Ma adesso i robot e i computer ci stanno eguagliando e presto saranno in grado di fare meglio di noi in molti ambiti. Certo, i computer funzionano in maniera assai diversa dagli umani, e sembra improbabile che i computer ci assomiglieranno nel breve periodo. In particolare, non sembra che i computer siano prossimi a diventare coscienti e a sperimentare emozioni e sensazioni. Nel corso della seconda metà del secolo scorso, sono stati fatti passi enormi avanti nel campo dell'intelligenza artificiale, ma siamo ancora al nastro di partenza per quanto riguarda la coscienza dei computer. Per quanto ne sappiamo, i computer nel 2017 non sono più coscienti dei loro prototipi degli anni cinquanta. D'altro canto, siamo sull'orlo di una rivoluzione epocale. Gli uomini corrono il rischio di perdere il loro valore economico poiché l'intelligenza si sta separando dalla coscienza.

Fino a oggi un'intelligenza acuta è sempre andata di pari passo con una coscienza evoluta. Soltanto esseri consapevoli potevano portare a termine compiti che richiedevano notevoli capacità intellettive, come giocare a scacchi, guidare automobili, diagnosticare malattie o identificare terroristi. Ma oggi stiamo sviluppando nuovi tipi di intelligenza non cosciente che possono portare a termine tali compiti in modo assai più efficace degli umani, poiché tutti questi compiti sono basati sul riconoscimento di pattern, e algoritmi incoscienti potranno presto superare la coscienza umana nel riconoscere i pattern.

I film di fantascienza di solito danno per scontato che i computer dovranno sviluppare una coscienza per confrontarsi e superare l'intelligenza umana. In realtà la scienza racconta una storia diversa. Potrebbero esistere numerosi modi alternativi che conducono alla superintelligenza, e solo alcuni di questi passano attraverso i vincoli della coscienza. Per milioni di anni l'evoluzione organica ha navigato lentamente lungo la rotta della consapevolezza. L'evoluzione dei computer inorganici potrebbe aggirare completamente questi stretti vincoli, tracciando un percorso differente e molto più veloce verso la superintelligenza.

Questo solleva una nuova questione: quale delle due è davvero importante, l'intelligenza o la coscienza? Finché sono andate mano nella mano, dibattere sul loro valore relativo era soltanto un piacevole passatempo per filosofi. Ma nel XX secolo tale questione è diventata un tema politico ed economico urgente. Ed è motivo di profonda riflessione constatare che, almeno da parte degli eserciti e delle aziende, la risposta è inequivocabile: l'intelligenza è obbligatoria, la consapevolezza un optional.

Gli eserciti e le aziende non possono funzionare senza agenti intelligenti, ma non hanno bisogno di una coscienza e di esperienze soggettive. Le esperienze soggettive di un tassista in carne e ossa sono infinitamente più ricche di quelle di un'auto a guida autonoma, che non prova assolutamente nulla. Il tassista può godere della musica mentre percorre le strade trafficate di Seul. La sua mente può aprirsi allo stupore quando alza lo sguardo verso le stelle e contempla i misteri dell'universo. I suoi occhi possono riempirsi di lacrime di gioia quando vede la figlia muovere i primi passi. Ma il sistema non ha bisogno di niente di tutto questo da un tassista. Tutto ciò che vuole davvero è che i passeggeri siano portati dal punto A al punto B nel modo più veloce, sicuro ed economico possibile. E l'auto a guida autonoma sarà presto in grado di fare meglio di un conducente umano, anche se non può godere della musica o rimanere impressionata dalla magia dell'esistenza.

Dovremmo ricordarci del destino dei cavalli durante la Rivoluzione industriale. Un qualunque cavallo da fattoria può odorare, amare, riconoscere facce, saltare oltre gli steccati e fare un migliaio di altre cose molto meglio di un modello T della Ford o di una Lamborghini da un milione di dollari. Tuttavia le auto hanno rimpiazzato i cavalli poiché esse riescono meglio in una serie limitata di compiti di cui il sistema ha davvero bisogno. È probabile che i tassisti facciano la fine dei cavalli.

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10. L'oceano della coscienza



È improbabile che i nuovi culti emergano dalle grotte dell'Afghanistan o dalle madrasse del Medio Oriente. Piuttosto, emergeranno dai laboratori di ricerca. Proprio come il socialismo conquistò il mondo promettendo la salvezza grazie al vapore e all'elettricità, nei decenni a venire nuove tecno-religioni potrebbero conquistarlo promettendo la salvezza grazie ad algoritmi e geni.

A dispetto di ciò che predicano l'islam radicale e il fondamentalismo cristiano, il luogo più interessante al mondo da una prospettiva religiosa non è lo Stato islamico o la Bible Belt, ma la Silicon Valley. E lì che i guru dell'hi-tech stanno distillando per noi nuovi arditi culti che hanno poco a che vedere con Dio e molto a che fare con la tecnologia. Promettono tutte le antiche ricompense - felicità, pace, prosperità e persino vita eterna - ma qui sulla terra e con l'aiuto della tecnologia, piuttosto che dopo la morte con l'aiuto di creature celesti.

Queste nuove tecno-religioni possono essere divise in due grandi gruppi: il tecno-umanesimo e la religione dei dati (o datismo). Quest'ultima sostiene che gli esseri umani hanno completato il loro compito cosmico e ora dovrebbero passare la fiaccola a entità di un tipo del tutto nuovo. Discuteremo sogni e incubi della religione dei dati nel prossimo capitolo. Questo, invece, è dedicato al più conservativo credo del tecno-umanesimo, che concepisce ancora gli esseri umani come il vertice del creato e si riallaccia a molti dei valori umanistici tradizionali. Il tecno-umanesimo è d'accordo con chi afferma che Homo sapiens così come lo conosciamo ha ormai esaurito il suo percorso storico e in futuro non sarà più rilevante; ma conclude che proprio per questo motivo dovremmo utilizzare la tecnologia al fine di creare Homo Deus, un modello di umano molto superiore. Homo Deus conserverà alcune caratteristiche umane essenziali, ma potrà anche contare su abilità fisiche e mentali avanzate, che gli permetteranno di tenere testa anche ai più sofisticati algoritmi privi di coscienza. Dal momento che l'intelligenza si sta dissociando dalla coscienza, e che l'intelligenza priva di coscienza si sviluppa a una velocità vertiginosa, gli esseri umani devono aggiornare attivamente le loro menti se vogliono rimanere della partita.

Circa 70.000 anni fa la Rivoluzione cognitiva trasformò la mente dei Sapiens, trasformando un'insignificante scimmia africana nella padrona del mondo. Le menti avanzate dei Sapiens improvvisamente ebbero accesso al vasto dominio dell'intersoggettivo, cosa che rese loro possibile creare divinità e strutture sociali, costruire città e imperi, inventare la scrittura e il denaro e alla fine scindere l'atomo e arrivare sulla Luna. Per quanto ne sappiamo, questa rivoluzione dirompente derivò da pochi piccoli cambiamenti nel DNA dei Sapiens e da una contenuta riorganizzazione dei loro circuiti cerebrali. Se è davvero così, afferma il tecno-umanesimo, forse qualche piccolo cambiamento addizionale del nostro genoma e una nuova riorganizzazione del nostro cervello potrebbero bastare ad avviare una seconda Rivoluzione cognitiva. Le ristrutturazioni mentali della prima Rivoluzione cognitiva guadagnarono ai Sapiens l'accesso al regno dell'intersoggettivo e fecero di loro i dominatori del pianeta; una seconda Rivoluzione cognitiva potrebbe garantire a Homo Deus l'accesso a domini inimmaginabili, incoronandolo signore della galassia.

Questa idea è una variante aggiornata dei vecchi sogni dell'umanesimo evoluzionista, che già un secolo fa invocavano la creazione di superuomini. Tuttavia, se Hitler e i suoi seguaci progettavano di generare superuomini mediante la procreazione selettiva e la pulizia etnica, il tecno-umanesimo del XXI secolo spera di raggiungere questo obiettivo in maniera molto più pacifica, con l'aiuto dell'ingegneria genetica, della nanotecnologia e delle interfacce cervello-computer.

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11. La religione dei dati



Il datismo sostiene che l'universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all'elaborazione dei dati. Questa concezione potrebbe apparirvi come una teoria marginale ed eccentrica, ma in effetti ha già conquistato la maggior parte dell'establishment. Il datismo è nato dalla confluenza esplosiva di due maree scientifiche. Nei centocinquant'anni trascorsi dalla pubblicazione dell' Origine delle specie di Charles Darwin, le scienze biologiche sono giunte a concepire gli organismi come algoritmi biochimici. Contemporaneamente, negli ottant'anni trascorsi da quando Alan Turing formulò l'idea della macchina che porta il suo nome, gli informatici hanno imparato a progettare algoritmi digitali interpretabili da elaboratori elettronici sempre più sofisticati. Il datismo mette insieme queste concezioni, evidenziando che esattamente le stesse leggi matematiche si applicano sia agli algoritmi biochimici sia a quelli computerizzati digitali. Inoltre, questa nuova visione delle cose abbatte il muro tra animali e macchine, e prevede che gli algoritmi computerizzati alla fine decifreranno e supereranno le prestazioni degli algoritmi biochimici.

[...]

Il datismo inverte la tradizionale piramide nel processo dell'apprendimento. Fino a questo momento, i dati sono stati concepiti soltanto come il primo passo nella lunga catena dell'attività intellettuale. Si supponeva che gli uomini distillassero dai dati le informazioni, dalle informazioni la conoscenza e dalla conoscenza la saggezza. I datisti credono che gli umani non siano più in grado di gestire gli immensi flussi di dati, perciò non possono distillare da questi le informazioni, per non parlare di elaborare la conoscenza o tesaurizzare la saggezza. Inoltre il lavoro di elaborazione dei dati dovrebbe essere affidato agli algoritmi digitali, le cui capacità eccedono di gran lunga quelle del cervello umano. In pratica, questo significa che i datisti sono scettici riguardo alla conoscenza e alla saggezza umane, e preferiscono riporre la loro fiducia nei Big Data e negli algoritmi computerizzati.

Il datismo è profondamente radicato nelle sue due discipline madri: l'informatica e la biologia. Delle due la biologia è la più importante. È stato l'abbraccio di quest'ultimo campo di studi con il datismo a trasformare una limitata svolta nell'informatica in un cataclisma sconvolgente che può rivoluzionare radicalmente la natura della vita. Potete non concordare con l'idea secondo cui gli organismi sono algoritmi e le giraffe, i pomodori e gli esseri umani rappresentano soltanto differenti metodi per elaborare i dati. Ma non dovreste ignorare che questo è l'attuale dogma scientifico, che sta cambiando così in profondità il nostro mondo da renderlo irriconoscibile.

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Il capitalismo sconfisse il comunismo non perché era più etico, perché le libertà individuali erano sacre o perché Dio era furente con quei miscredenti dei comunisti. Piuttosto, il capitalismo vinse la guerra fredda perché l'elaborazione dei dati distribuita funziona meglio di quella centralizzata, almeno nei periodi di innovazione tecnologica che ne accelerano il flusso. Il comitato centrale del partito comunista stentava a tenere il passo del mondo che mutava rapidamente verso la fine del XX secolo. Quando tutti i dati sono accumulati in un unico bunker segreto e qualsiasi decisione è presa da un gruppo di vecchi burocrati di partito, essi possono produrre bombe nucleari in quantità, ma di certo non qualcosa come Apple o Wikipedia.

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In un certo senso, questa è un'ottima notizia. Dato che alcune delle grandiose visioni politiche del XX secolo ci hanno condotto ad Auschwitz, Hiroshima e al Grande balzo in avanti, forse è meglio che ci affidiamo a burocrati dalle vedute più ristrette. Mescolare tecnologie dai poteri quasi divini con una politica megalomane è la ricetta giusta per ottenere un disastro. Molti economisti neoliberali e studiosi di scienze politiche sostengono che è meglio demandare tutte le decisioni importanti al libero mercato. In tal modo, forniscono l'alibi perfetto ai politici per l'inattività e l'ignoranza, che sono interpretate come profonda saggezza. I politici trovano conveniente credere che la ragione per cui non comprendono il mondo è che non hanno bisogno di comprenderlo.

Tuttavia mescolare tecnologie dai poteri quasi divini con politiche miopi comporta anche svantaggi. La mancanza di una visione non è sempre una benedizione, e non tutte le visioni sono necessariamente cattive. Nel XX secolo la visione distopica nazista non è venuta meno in modo spontaneo. È stata sconfitta dalle grandi visioni socialista e liberale. È pericoloso affidare il nostro futuro alle forze del mercato, poiché queste forze fanno ciò che è buono per il mercato piuttosto che ciò che è buono per il genere umano o per il mondo. La mano del mercato è cieca tanto quanto è invisibile, e lasciata libera a operare secondo le sue modalità potrebbe evitare di fare qualsiasi cosa a proposito del riscaldamento globale o dei pericoli potenziali dell'intelligenza artificiale.

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La storia in breve


Da una prospettiva datista, possiamo interpretare l'intera specie umana come un unico sistema di elaborazione dati, con gli individui che assolvono la funzione di chip. Se così è, possiamo anche comprendere l'intera storia dell'uomo come un processo di miglioramento dell'efficienza di questo sistema attraverso quattro metodi fondamentali:

1. Aumento del numero di processori. Una città con centomila persone ha un maggior potere di elaborazione di calcolo di un paese di mille persone.

2. Aumento della varietà dei processori. Differenti processori possono usare modi diversi per calcolare e analizzare i dati. L'uso di numerosi tipi di processori in un unico sistema può inoltre incrementare il suo dinamismo e la sua creatività. Una conversazione tra un contadino, un prete e un fisico può produrre idee nuove che non sarebbero mai emerse da una conversazione fra tre cacciatori-raccoglitori.

3. Aumento del numero delle connessioni tra processori. L'aumento della mera quantità e della varietà dei processori ha scarso rilievo se essi sono debolmente connessi fra loro. È probabile che una rete commerciale che connetta dieci città produca molte più innovazioni economiche, tecnologiche e sociali di dieci città isolate.

4. Aumento della libertà di movimento tra le connessioni esistenti. La connessione dei processori è ben poco utile se i dati non possono fluire liberamente. La costruzione di strade tra dieci città non sarà molto utile se sono infestate da rapinatori, o se qualche despota paranoico non permetterà ai mercanti e ai viaggiatori di spostarsi come desiderano.


Questi quattro metodi spesso si contraddicono a vicenda. Maggiori sono il numero e la varietà dei processori, maggiore è la difficoltà di connetterli liberamente. La costruzione del sistema di elaborazione dati dei Sapiens è passata perciò attraverso quattro fasi principali, ciascuna caratterizzata da un'enfasi particolare su un differente metodo.

La prima fase è iniziata con la Rivoluzione cognitiva, che ha reso possibile mettere in connessione ampi gruppi di Sapiens in un'unica rete di elaborazione dati. Questa innovazione ha dato ai Sapiens un cruciale vantaggio su tutte le altre specie umane e animali. Mentre esiste uno stretto vincolo numerico per i gruppi di Neanderthal, gli scimpanzé o gli elefanti che potete mettere in connessione all'interno di una stessa rete, non esiste invece alcun limite numerico per i gruppi di Sapiens.

Essi usarono il loro vantaggio nell'elaborazione dei dati per invadere il mondo intero. D'altro canto, quando si diffusero in differenti terre e climi persero i contatti e si verificarono diverse trasformazioni culturali. Quello che ne risultò fu un'immensa varietà di culture umane, ognuna delle quali caratterizzata da un proprio stile di vita, propri schemi comportamentali e una propria visione del mondo. Pertanto la prima fase della storia ha assistito all'incremento del numero e della varietà dei processori umani, a discapito della connettività: 20.000 anni fa sul pianeta vivevano molti più Sapiens che 70.000 anni fa, e i Sapiens in Europa elaboravano le informazioni in maniera diversa dai Sapiens che risiedevano in Cina. In ogni caso, non esisteva alcuna connessione tra le persone in Europa e in Cina, e sarebbe sembrato del tutto impossibile che un giorno tutti i Sapiens avrebbero potuto essere parte di un'unica rete di elaborazione dati.

La seconda fase prese le mosse con la Rivoluzione agricola e continuò sino all'invenzione della scrittura e del denaro avvenuta circa 5000 anni fa. L'agricoltura accelerò la crescita demografica, cosicché il numero dei processori umani ebbe un'impennata. Contemporaneamente, l'agricoltura permise a molti gruppi più numerosi di vivere insieme vicini gli uni agli altri, dando vita in tal modo a dense reti locali che contenevano quantità di processori senza precedenti. Oltre a ciò, l'agricoltura creò nuovi incentivi e opportunità per diverse reti per commerciare e comunicare reciprocamente. Tuttavia, durante la seconda fase alcune forze centrifughe rimanevano predominanti. In mancanza di scrittura e denaro gli umani non potevano fondare città, regni o imperi. L'umanità restava ancora divisa in innumerevoli piccole tribù, ognuna con il suo proprio stile di vita e la propria visione del mondo. Unire l'intero genere umano non era neppure immaginabile.

La terza fase decollò con l'invenzione della scrittura e del denaro circa 5000 anni fa e durò fino all'inizio della Rivoluzione scientifica. Grazie alla scrittura e al denaro il campo gravitazionale della cooperazione umana ebbe alla fine la meglio sulle forze centrifughe. Gruppi di uomini si univano e si mescolavano per dare vita a città e regni. Anche i legami politici e commerciali tra diverse città e regni si rafforzarono. Almeno dal I millennio a.C. - quando apparvero le prime monete, i primi imperi e le religioni universali - gli umani cominciarono a sognare in maniera consapevole di creare un'unica rete che abbracciasse il globo intero.

Questo sogno divenne una realtà durante la quarta e ultima fase della storia, che cominciò intorno al 1492. I primi moderni esploratori, conquistatori e commercianti diedero vita alla prima sottile trama di fili che abbracciava il mondo intero. Verso la fine dell'età moderna questi fili erano divenuti sempre più forti e robusti, cosicché la tela di ragno dei giorni di Colombo è divenuta la rete di acciaio e asfalto del XXI secolo. In modo ancora più significativo, alle informazioni è stato permesso di fluire con sempre maggiore libertà attraverso questa rete globale. Quando Colombo per primo agganciò la rete euroasiatica a quella americana, soltanto un ristretto numero di bit di dati riusciva ad attraversare l'oceano ogni anno, passando sotto le forche caudine dei pregiudizi culturali, di una severa censura e della repressione politica. Ma quando giunse l'epoca del libero mercato, della comunità scientifica, del ruolo della legge e della diffusione della democrazia queste barriere si sgretolarono. Spesso immaginiamo che la democrazia e il libero mercato abbiano vinto perché sono dalla parte "giusta". In realtà, hanno vinto perché hanno migliorato il sistema globale di elaborazione dei dati.

Quindi, nel corso degli ultimi 70.000 anni, il genere umano si è diffuso sul pianeta, poi si è separato in gruppi distinti e alla fine sí è nuovamente rifuso. Tuttavia il processo di unificazione non ci ha riportati all'inizio. Quando i diversi gruppi umani si sono fusi nell'attuale villaggio globale, ciascuno ha portato con sé la propria eredità di pensieri, strumenti e comportamenti, che è stata raccolta e sviluppata nel corso della sua storia. Le nostre moderne dispense sono oggi colme di grano del Medio Oriente, di patate andine, di zucchero della Nuova Guinea e di caffè etiope. Analogamente, il nostro linguaggio, la nostra religione, la nostra musica e la nostra politica sono pieni di cimeli di famiglia raccolti in giro per il pianeta.

Se l'umanità è in effetti un unico sistema di elaborazione dati, qual è il suo risultato? I datisti direbbero che il suo risultato sarà la creazione di un sistema nuovo e ancora più efficiente di elaborazione dati, chiamato "Internet-di-Tutte-le-Cose". Quando la missione sarà compiuta, Homo sapiens svanirà.

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