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| << | < | > | >> |IndiceINTRODUZIONE DI ALBERT DUCHASSE 9 1. LA NASCITA 17 2. LA NON-NASCITA 20 3. I BAMBINI 22 4. L'EDUCAZIONE 25 5. L'ADDESTRAMENTO 28 6. LA FAMIGLIA 30 7. LA SCUOLA 33 8. L'UNIVERSITÀ 35 9. I PREGIUDIZI 39 10. LA SCIENZA 42 11. LA SALUTE 44 12. LA MALATTIA 47 13. LA MORTE 49 14. LA CITTÀ 53 15. LA CULTURA 57 16. IL MONOPOLIO CULTURALE DELLA SINISTRA 60 17. IL TEATRO E IL CINEMA 61 18. L'ARTE 65 19. IL VIAGGIO 67 20. LA TERRA 70 21. L'ENERGIA 73 22. L'ECOLOGIA 76 23. IL NUCLEARE 79 24. LE ENERGIE ALTERNATIVE 82 25. IL TEMPO 84 26. IL LAVORO 86 27. IL SALARIO 88 28. LA RENDITA 91 29. LA FABBRICA 93 30. LA PRECARIETÀ 96 31. LA CASA 99 32. L'ORDINE 103 33. LA SICUREZZA 105 34. L'IMMIGRAZIONE 107 35. LA RAZZA 110 36. LE FRONTIERE 112 37. I PASSAPORTI 116 38. IL MONDO 118 39. L'EUROPA 120 40. L'AMERICA 124 41. IL SUDAMERICA 127 42. L'AFRICA 129 43. L'ORIENTE 131 44. LA RELIGIONE 134 45. LA CHIESA 136 46. L'AMORE 139 47. IL SESSO 142 48. IL MATRIMONIO 144 49. IL GENERE 147 50. LA DISABILITÀ 149 51. LE MINORANZE 151 52. L'INFORMAZIONE 153 53. IL WEB 157 54. LA DEMOCRAZIA 161 55. IL VOTO 163 56. I CORPI INTERMEDI 164 57. I PARTITI 167 58. I SINDACATI 170 59. LA COSTITUZIONE 172 60. IL GOVERNO 175 61. IL PARLAMENTO 179 62. LA LEGGE ELETTORALE 181 63. LA GIUSTIZIA 183 64. IL CARCERE 186 65. LA PENA 188 66. IL DENARO 190 67. LE BANCHE 193 68. LA BORSA 196 69. LE TASSE 199 70. IL REDDITO E LA PROGRESSIVITÀ DELLE IMPOSTE 202 71. L'EVASIONE FISCALE 206 72. LA CORRUZIONE 208 73. LA CENSURA 210 74. LA POLIZIA 212 75. I SERVIZI SEGRETI 215 76. IL CONTROLLO 217 77. L'ESERCITO 220 78. LE ARMI 223 79. LA PATRIA 226 80. LA GUERRA 228 81. LA PACE 231 82. LA RESPONSABILITÀ 233 83. LA VOLONTÀ 235 84. LA RAGIONE 237 85. LA SPERANZA 239 86. LA CONDIVISIONE 247 87. LA SOLIDARIETÀ 243 88. LA VELOCITÀ 245 89. L'ASCOLTO 247 90. LA COSCIENZA 249 91. LA DIFFERENZA 252 92. LA PAURA 254 93. LA BELLEZZA 256 94. IL CORPO 258 95. LA GIOVINEZZA 260 96. LA VECCHIAIA 262 97. LA VERITÀ 264 98. LA LIBERTÀ 268 99. IL CASO 269 100. IL DESTINO 271 LE MIE FONTI 274 |
| << | < | > | >> |Pagina 9In un suo fortunato saggio di qualche anno fa, Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti, Gérard Thomas partiva dall'assunto che «i bambini capitalisti quando nascono non sono ancora capitalisti», sottintendendo in questo modo che sia naturalmente umano avere un approccio di tipo «comunista» alla socialità e che soltanto la mediazione culturale e l'educazione a un certo tipo di approccio, di tipo appunto «capitalista», renda poi invece normale considerate il mondo e gli altri non come pari e uguali, ma piuttosto come avversari o concorrenti verso i quali ingaggiare una battaglia per il proprio personale tornaconto. È un approccio originale e interessante. Thomas Hobbes , prima di tutti, aveva cercato di convincerci nel XVII secolo che le cose stessero in modo diametralmente opposto. Che è a sua volta il contrario di quanto sembrava pensare Gesù di Nazareth un millennio e mezzo prima di lui. Si potrebbe obiettare che Gesù è stato crocifisso proprio per l'inaccettabilità del suo messaggio e Hobbes ha invece ottenuto onori e glorie spegnendosi nel suo letto a 91 anni, un'età assolutamente incredibile per la sua epoca. Ma è anche vero, d'altro canto, che forse il messaggio cristiano ha avuto nel tempo e nel mondo una diffusione leggermente più ampia di quello hobbesiano. La questione quindi rimane irrisolta. Quello che però Thomas cerca di raccontare in questo suo nuovo volumetto è meno utopistico e, se possibile, assai attuale e concreto. Lo scopo è infatti spiegare come praticamente ogni aspetto del vivere sociale possa essere affrontato - o «declinato», come va di moda dire oggi - sia con un approccio di destra che con un approccio di sinistra e come i due approcci siano assolutamente diversi e soprattutto carichi di conseguenze assai differenti per la vita degli individui. L'assunto dell'autore, ovviamente, potrebbe essere accusato di essere «di parte», visto che come è facile intuire dal titolo di questo libro il corollario dell'analisi di ogni tema è spiegare perché l'approccio di sinistra sia più auspicabile rispetto a quello di destra. Ma a me appare altrettanto evidente un movente più «alto», nella redazione di questa sorta di «breviario», di un necessariamente limitato universo tematico del vivere sociale: dimostrare che il brodo stantio e vagamente nauseabondo nel quale da qualche anno, e in particolar modo a partire dal fatidico 1989, i nostri riferimenti politici sembrano essersi diluiti e annacquati ha essenzialmente prodotto una rinascita (o forse una inattesa crescita) dei populismi, delle semplificazioni, delle superficialità, delle false notizie, e ancora di paure, diffidenze, distanze, rabbie che non raramente si trasformano in azioni violente e di stampo tipicamente fascista un po' in tutto il mondo, ma che in particolare sembrano arare un terreno sempre più fertile per permettere l'inarrestabile crescita di un capitalismo sempre più spietato, globale e libero da ogni limite etico, sociale e politico. Anche io, come Gérard Thomas, sono convinto che per contrastare questa scivolosa e pericolosa deriva, oltre settant'anni dopo la fine della guerra mondiale contro i fascismi e lo sterminio e che marxianamente considero un effetto quasi diretto della Terza Rivoluzione Industriale, sia importante tornare ad affermare con tutta la forza possibile che la politica e le idee - se non più forse le ideologie, visti gli innegabili danni che più o meno volontariamente hanno prodotto - continuano a mantenere un valore fondante, imprescindibile, essenziale per la vita di noi tutti. [...] Un'ulteriore precisazione di metodo: in questo modello non esiste un «centro», semplicemente perché il centro non ha un colore esatto e preciso, e quindi ontologicamente non ha realtà. Non stiamo parlando dello spettro dei colori che si vedono nell'arcobaleno. Stiamo parlando di sistemi di riferimento, e non mi pare forzato dividere i possibili sistemi in due grandi insiemi, quello di destra e quello di sinistra. Ossia appunto il nero e il rosso, come aveva intuito Stendhal già nel 1830, ben prima di Karl Marx e Friedrich Engels. Il pensiero nero è il pensiero di destra, di tutte le destre, anche quelle populiste e semplicistiche che in vari luoghi del nostro mondo sono emerse negli ultimi venti-trenta anni. È un pensiero di conservazione, di protezione, di ordine, che fa sempre appello all'individuo e ai suoi bisogni. Il pensiero rosso è il pensiero di sinistra, di qualsiasi sinistra, anche di quelle ecologiste e libertarie. È un pensiero di innovazione, di progresso, di confronto, che fa sempre appello alla collettività e alle possibilità di convivenza sociale. Per il pensiero nero gli individui non sono tutti uguali e l'io viene prima del tu. Le differenze sono date dalla «razza», dal denaro, dalla classe da cui si proviene, dal sesso, dalla fede religiosa, a volte perfino dall'aspetto fisico che si ha. I valori di riferimento sono la patria, la famiglia, il dovere, la disciplina e il successo, soprattutto economico. Per il pensiero rosso gli individui sono tutti uguali e devono in partenza avere tutti uguali diritti, e il tu vale quanto l'io e su entrambi prevale il noi. L'obiettivo principale della politica e dell'agire sociale per il pensiero rosso è esattamente l'opposto di quello del pensiero nero, e cioè impedire, cercando di rimuoverle, che le differenze di «razza», di censo, di classe, di sesso, di fede religiosa, perfino di aspetto fisico abbiano conseguenze pratiche nella vita degli individui. I suoi valori di riferimento sono la solidarietà, la responsabilità, l'eguaglianza, e soprattutto la libertà. Forse già questo basterebbe per essere di sinistra, chiudere il libro e andare a fare una passeggiata all'aria aperta, ma l'intenzione di Gérard Thomas è quella di andare un po' oltre, e di spiegare perché, rifacendosi a quanto detto all'inizio sui bambini, non si possa naturalmente che essere di sinistra. La dedica chiarisce le intenzioni: cercare di convincere a ridiventare di sinistra chi non ci si identifica più, chi vorrebbe identificarcisi ma non ci riesce e chi non ci si è mai identificato. Albert Duchasse, Université Paris V | << | < | > | >> |Pagina 15A chi non ci crede più A chi vorrebbe crederci A chi non ci ha mai creduto | << | < | > | >> |Pagina 15Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino. «Che nome gli metterò?» disse fra sé e sé. «Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l'elemosina». Collodi, Le avventure di Pinocchio È il mistero supremo, quello di cui chiunque ne abbia sperimentato da attonito spettatore la meraviglia, ne ha insieme e spesso inconsciamente intuito anche l'incommensurabile grandezza e la irriducibile infinitezza. Tutto parte da qui. E quasi tutto qui si definisce, in quei brevissimi folgoranti psichedelici precipitosi istanti nei quali la magia si compie dando vita a un individuo. Ogni storia comincia con una nascita. Ogni vita, ogni destino. Ogni racconto prende vita nel momento in cui la luce del mondo entra nelle pupille nuove di chi prima non c'era e improvvisamente invece inizia a esserci. Da questa finestra che inaspettatamente si apre discende ogni cosa, che nel momento di questa apertura non ha ancora colore né direzione e ha quindi per un infinitesimo momento qualsiasi strada davanti. L'attimo dopo è già tardi: si ha un nome, un aspetto, una casa, una madre e un padre, il loro conto in banca, il loro lavoro; si ha un luogo in cui si è nati, dei valori che ci verranno insegnati, un percorso che inizierà a compiersi. L'immanenza di questo percorso è tipicamente di destra. Il pensiero che d'ora in avanti definiremo «nero» considera che quell'istante di magia non esista, che cioè ogni individuo possa essere quello che è destinato a essere. L'individuo, cioè, non è per questo pensiero qualcosa di puro e indefinito, nemmeno per quel brevissimo istante: chi nasce - ancora prima di nascere - nasce figlio di qualcosa o di qualcuno e il suo destino è essere quel qualcosa o quel qualcuno. La libertà di percorso è invece tipica del pensiero che d'ora in avanti definiremo «rosso», che considera quell'istante in tutta la sua purezza cristallina e dà a tutto ciò che dall'istante immediatamente successivo in poi si riversa sull'individuo - e quindi la famiglia, la sua collocazione sociale, i suoi riferimenti culturali e sociali e tutto il resto - la responsabilità di iniziare a definire esattamente quel percorso. Che tuttavia, nel pensiero rosso rimane fino all'ultimo respiro di vita almeno per un sottilissimo spiraglio aperto a direzioni diverse. Ma la differenza ancora più determinante sta nel credere che ogni individuo abbia la possibilità (e anche la incontenibile e irriducibile capacità) di costruire da sé il proprio destino e definire la propria direzione. Il pensiero nero nega questa possibilità, il pensiero rosso la considera centrale in ogni esistenza. E siccome la libertà è la cosa più preziosa che ci sia dato di conoscere nella vita, questo è il primo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 20Ci sono pochi argomenti a proposito dei quali la società borghese manifesti una maggiore ipocrisia: l'aborto è un crimine ripugnante ed è indecente alludervi. Se uno scrittore descrive le gioie e le sofferenze di una donna che ha partorito, tutto va bene; se parla di una donna che ha abortito, è accusato di abbandonarsi all'oscenità e di vedere l'umanità sotto un aspetto ignobile. Simone de Beauvoir, Il secondo sesso Legata e speculare alla questione della nascita è quella della non-nascita, o per meglio dire della libertà di abortire. Detto della assoluta complessità e sofferenza della faccenda, che richiama al senso più profondo e intimo dell'esistenza, e che mai e in nessun caso può essere affrontata con superficialità o leggerezza, potendo segnare non solo la vita (anzi, di fatto la morte) di un individuo anche se non ancora del tutto tale, ma anche quello della madre (e del padre, seppure in second'ordine), qui le posizioni del nero e del rosso sono molto nette e definite, ancor più che in altri ambiti. Sia per quanto riguarda il ruolo della madre, che per il nero è del tutto secondario e per il rosso è invece assolutamente primario. Sia per il quasi individuo di cui si decide la non-nascita. Per il pensiero nero è qualcosa di inaccettabile e immorale. Salvo poi consentire, clandestinamente, che questa pratica venga compiuta nei modi più ambigui e anche pericolosi. Per il pensiero rosso è invece un diritto da garantire. Prima di tutto in una realistica ottica di «minor danno»: essendo qualcosa che può sfortunatamente rendersi necessario, una tutela legale e di conseguenza una garanzia di farlo rientrare in un sistema sanitario controllato rende più rare e meglio gestibili le situazioni di oggettivo pericolo. Ma ancor più forte idealmente è la considerazione che quello di abortire debba essere un diritto garantito alle donne, rispettandone fino in fondo l'autonomia e la possibilità di determinare individualmente, consapevolmente e soprattutto in piena e totale ed effettiva libertà qualcosa che riguarda il loro corpo e la loro esistenza, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico. E questo è il secondo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 57«O frati», dissi, «che per cento mila perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» Danne Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI Sulla cultura vale in gran parte quanto ho già detto sulla scuola, sull'università, sulla scienza. La cultura è elemento di progresso e in ultima analisi di uguaglianza, dunque è sovversiva proprio perché dà la possibilità di capire e di pensare, e pensare di fronte a un mondo ingiusto porta ad agire per cambiarlo. Le idee più diffuse del pensiero nero rispetto alla cultura sono fondamentalmente due. La prima è che con la cultura non si mangia, e quindi che gli intellettuali sono persone inutili, parassiti mantenuti da chi produce. La seconda è che la cultura, intesa in senso più ampio possibile, è dannosa perché induce a non rispettare l'ordine e a sovvertire le regole. Per il pensiero nero è bene che alle bambine sia insegnato a cucire e cucinare per imparare a essere buone mogli e fattrici e ai bambini si dia un pallone e una pistola giocattolo per allenarsi a essere atleti e soldati nel mondo di domani. Per il pensiero rosso invece è essenziale che a bambine e bambini, senza alcuna distinzione, siano dati libri e capacità di leggerli, capirli, farli propri e produrre di conseguenza propri pensieri, pensieri liberi dunque, ma anche solidi perché costruiti su basi che sono date esattamente dalla cultura. Nel passato i libri sono stati messi all'Indice, censurati, e in tempi non troppo lontani sono stati anche bruciati. Per proteggere un ordine e delle regole - religiose, politiche - che quei libri mettevano in discussione. Ed epigoni del pensiero nero orientato verso un cieco fanatismo religioso non hanno esitato in tempi recentissimi a distruggere monumenti e opere d'arte che avevano l'unica colpa di essere patrimonio storico di tutti. In molti luoghi del mondo ancora oggi le bambine e le ragazze, e anche grandissima parte dei bambini e dei ragazzi, non possono studiare ed è perfino bene che non sappiano leggere. In molti luoghi del mondo non esistono biblioteche, non esistono librerie, non esistono musei, non esiste nemmeno la possibilità teorica di ascoltare parole diverse da quelle della famiglia o del caporale che decide le differenti ma sempre terribili forme di sfruttamento della manodopera non qualificata di questi stessi bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Il socialismo (o comunismo) è diventato quello che è diventato non nel 1848, quando a Londra è stato pubblicato il Manifesto del Partito Comunista , ma quando sono state create scuole e luoghi nei quali gli operai e i braccianti hanno potuto finalmente imparare a leggere e a scrivere, hanno trovato libri, hanno potuto conoscere drammi, poesie, romanzi, film che raccontavano mondi diversi dal loro o spiegavano i meccanismi attraverso i quali la forma del loro sfruttamento si era plasmata, attraverso i quali si era inventata una struttura esistenziale tale da poter usare la vita di molti per il profitto di pochi. Per questo è parte essenziale del pensiero rosso il cosiddetto «lavoro culturale». E questo è il quindicesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 96Come fai a spaventare un uomo quando quello che lo tormenta non è fame nella sua pancia ma fame nella pancia dei suoi figli? Non puoi spaventarlo: conosce una paura peggiore di tutte le altre. John Steinbeck, Furore È una delle forme di controllo sociale più infallibili, perché chi non ha certezze è debole, incerto, più facilmente manipolabile. La precarietà ci viene raccontata come una delle inevitabili conseguenze della crisi, della difficoltà di fare impresa, a cui si pensa di poter rispondere offrendo agli imprenditori forme sempre più ampie di quella che è considerata la panacea dei nostri tempi, la flessibilità. Chi lavora deve essere disponibile a non avere orari, a non avere certezze, a cambiare, a spostarsi, ad adeguarsi alle esigenze produttive. Deve essere disponibile a non avere una vita propria, a non poter scegliere, a mettere il proprio destino nelle mani di chi può offrirgli un salario, anche se minimo, spezzato, discontinuo. L'alienazione marxiana assume in questo modo una veste nuova, e investe anche altre classi e altri strati sociali oltre a quello che un tempo si chiamava proletariato. Diventa il «sistema» del lavoro. E il sindacato - ne parleremo più avanti - per garantire la propria esistenza e riprodurre se stesso finisce per concentrarsi sui lavoratori tradizionali e i pensionati, rifiutandosi anche solo di capire, non solo di rappresentare, questa nuova ampissima fascia di lavoro debole. Maggioritaria ormai nei servizi, diffusissima nel secondo settore, in crescita nel primo. E - quel che è più grave e direi inaccettabile - ormai presente in misura crescente anche nel pubblico impiego, nella scuola, nella sanità, in tutti i servizi pubblici. È l'alienazione industriale capitalista aggiornata ai nostri tempi: l'alienazione che garantisce la riproduzione e lo sviluppo del turbocapitalismo, ancora più feroce e inumano del capitalismo poiché non ha volto né nome, ed è quindi difficile anche solo identificare colui che ti sfrutta, tanto che lo sfruttamento che subisci finisce per diventare normale. Quello che è certo è che il pensiero nero da sempre considera le esigenze del capitale decisamente prevalenti su quelle di chi il capitale produce, ma è anche drammaticamente vero che il pensiero rosso è stato ed è ancora molto in ritardo su questi temi, e spesso, soprattutto durante le ripetute e non si sa bene quanto reali crisi, li ha assecondati, assumendo come propri i messaggi del mercato, della necessità di un'offerta di lavoro flessibile, di una sostanziale disponibilità al ricambio, all'intermittenza, all'incertezza. Ci sono due intere generazioni, che stanno diventando ormai tre, di individui che convivono con questa incertezza e che su questo lago ghiacciato hanno costruito vite, messo al mondo (o spesso non messo al mondo) i loro figli. La sinistra è certamente l'unica forza politica che può iniziare, facendo una severa autocritica, a rispondere a questa tragedia umana. E questo è il trentesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 110Io non domando a che razza appartenga un uomo, basta che sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio. Mark Twain, L'uomo che corruppe Hadleyburg Se parliamo di razza non possiamo prescindere dalla Shoah, il più immane, inaccettabile e sanguinoso evento della storia dell'uomo, lo sterminio di sei milioni di ebrei avvenuto tra il 1942 e il 1945 in Europa. Ogni discorso, ogni accenno, ogni anche lontano richiamo alla razza, alla sua purezza, alla sua protezione, alla sua virtù, deve fare i conti con tutta questa morte e con tutta questa sofferenza. E con lo sterminio degli Indiani d'America. E con almeno un secolo di schiavitù degli africani portati nelle piantagioni del Sud degli Stati Uniti e sfruttati come bestie da macello. Tutte cose avvenute in nome della razza, uno dei più mostruosi e falsi concetti mai concepiti dall'essere umano. Credo che in questo caso non occorra nemmeno declinare il concetto per concludere che si tratta del trentacinquesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 164Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo. Paulo Freire Un sistema sociale è un sistema complesso, spesso molto complesso. Una recente illusione propria di alcuni «movimenti» politici è quella di interrompere i meccanismi di mediazione interpretati dai cosiddetti «corpi intermedi» e di creare un legame diretto tra il «popolo» e il «potere». Mi paiono evidenti, in questa ottica - che reputo assai pericolosa e dannosa - da un lato la estrema semplificazione di una realtà come abbiamo appena detto invece molto complessa, e dall'altro il potenziale di manipolazione e di assenza di elaborazione insiti in questo approccio, che sta purtroppo raccogliendo crescenti consensi. Sono convinto che siano consensi destinati a una vita piuttosto breve, perché gli individui che pure possono cedere alla tentazione di affidarsi a queste strutture si rendono poi rapidamente conto che le questioni complesse non si risolvono in modo semplice e superficiale, ma i danni che possono essere fatti sono enormi, perfino irreparabili, o comunque recuperabili soltanto in tempi molto lunghi e con grande fatica e dispendio di energie. I partiti, i sindacati, le associazioni, gli organismi di categoria, ormai quasi universalmente rappresentati come malefiche lobby nelle quali si insediano nella migliore delle ipotesi persone che non hanno voglia di lavorare, sono invece essenziali in un sistema politico collettivo, da un lato perché la democrazia diretta è possibile - ammesso che sia augurabile - soltanto in collettività ridotte e territorialmente limitate, e dall'altro perché il sistema produttivo, economico, sociale, è qualcosa che occorre analizzare, capire, studiare per poter elaborare politiche che non siano banali semplificazioni o slogan utili solo a raccogliere voti in campagna elettorale. La politica è una cosa difficile, non possono farla tutti. E non può avvenire tramite il Web, ma va costruita nella pratica quotidiana, nel confronto, nel dialogo, nel compromesso. Penso che questo sia un approccio del tutto integrato al pensiero rosso, che è in sé un pensiero più complesso e contraddittorio e conflittuale del pensiero nero, che si richiama invece tendenzialente a totem semplici, immediati e più rumorosi. E quindi è il cinquanteseiesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 172Come pensate che possa essere effettuata la transizione dalla situazione attuale alla comunanza della proprietà? La prima, fondamentale condizione per l'introduzione della comunanza della proprietà è la liberazione politica del proletariato attraverso una costituzione democratica. Friedrich Engels, Confessione di fede di un comunista La prima risale al 1215, si chiamava Magna Charta, e fu concessa dal re Giovanni d'Inghilterra ai nobili del suo Paese per evitare che lo deponessero scegliendo un altro sovrano. Da allora ne sono state scritte e approvate molte, e tra le più belle e celebri vanno sicuramente ricordate quella americana del 1776, quella francese del 1789 e, tra le più recenti, quella italiana del 1948. La Costituzione è o può essere fondamentalmente due cose: un documento a garanzia dei cittadini e dei loro diritti e un elenco di intenti, un programma politico, una traccia con i principi fondamentali a cui uno Stato deve ispirarsi. Il primo aspetto ha prevalso per secoli, il secondo è emerso più di recente. Ci sono Costituzioni molto brevi ed essenziali e altre lunghissime e piene di particolari. Di solito la sintesi deriva o da una generalizzata certezza diffusa tra i cittadini sulle minime garanzie e sui loro diritti oppure, al contrario, da una voluta vaghezza che possa consentire soprusi e alterazioni del diritto. La esplicitazione formale in Costituzione dell'organizzazione dello Stato è invece frequente quando si approva una Costituzione in una situazione incerta o nuova o potenzialmente pericolosa, come è il caso della appena citata Costituzione italiana del 1948, creata dalle forze politiche che avevano contribuito a rovesciare il fascismo nella lotta di Liberazione. Quella Costituzione, tra le più belle in vigore nel mondo, è anche un ampio progetto politico, in gran parte inattuato, proprio perché l'Italia uscita dalla guerra e da vent'anni di dittatura doveva essere creata e inventata poiché di fatto non era mai esistita. La Costituzione, talvolta è accaduto anche in tempi recenti, può anche diventare uno strumento per modificare le regole del gioco in senso regressivo, ad esempio consentendo che un presidente venga rieletto oltre i limiti consentiti dalle regole precedenti. In questi casi si ricorre solitamente a un plebiscito per dare una parvenza di legittimità a queste operazioni di esautoramento della carta fondamentale. Detto in estrema sintesi, ma veramente estrema poiché l'ambito del «diritto costituzionale» è vastissimo e assai complesso, possiamo dire che la Costituzione è uno strumento, ormai considerato ineludibile, per sancire le regole fondamentali di una collettività politica. La considerazione che ne hanno il pensiero nero e il pensiero rosso è assai diversa. Il pensiero nero la considera al meglio una necessità o un mezzo per dare legittimità ai propri disegni politici. Il pensiero rosso invece ritiene che la Costituzione debba contenere i princìpi pià importanti dell'etica cui si ispira quella collettività, che debba garantire i cittadini e che debba porre limiti precisi ai diversi poteri. Mi pare che questo possa configurare il cinquantanovesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 183La giustizia, in ultima istanza, ha a che fare con la vita vissuta delle persone, non soltanto con la natura delle istituzioni che la circondano. Amartya Sen, L'idea di giustizia Non stiamo ovviamente parlando qui di «giustizia» come concetto, che è quanto di più individuale e opinabile si possa concepire. Proseguendo il ragionamento dei capitoli immediatamente precedenti, vorrei cercare di capire in che modo il sistema giudiziario, e non quindi la giustizia in sé, possa essere pensato dal nero o dal rosso, dalla destra o dalla sinistra, e in che modo i due punti di vista si differenzino. La citazione di Amartya Sen già ci dà una prima indicazione. In linea teorica, ma davvero molto teorica, i manuali di scienza politica e anche quelli di giurisprudenza ci dicono che un sistema giudiziario per essere tale e per funzionare dovrebbe fare riferimento alla legge e soltanto dalla legge essere guidato. Fuori dalla teoria dobbiamo tenere presenti due cose fondamentali. La prima è che la magistratura, ossia l'insieme degli organi che costituiscono il sistema giudiziario, è fatta di esseri umani e si confronta con altri esseri umani, con le loro debolezze, le loro crudeltà, le loro difficoltà, le loro insufficienze. La seconda è che le leggi non sono leggi universali, ma derivanti da scelte politiche ben precise, da momenti storici, da mutamenti del costume, da ideologie. La certezza della legge e l'inflessibilità della giustizia si specchiano dunque nell'incertezza del legislatore e nella flessibilità di chi deve giudicare. Niente è certo, tutto è modificabile e opinabile. Questa almeno è la posizione tendenzialmente più diffusa nel pensiero rosso. Il pensiero nero, al contrario, è portato a considerare che la giustizia sia una e una sola, soprattutto quando si scaglia contro chi non rientra nell'ordine e nelle regole del controllo, e quando non si mette in testa di perseguire l'illegalità del potere, cosa rara ma non impossibile. Credo che la cosa migliore, e più rossa, sia considerare la giustizia come uno strumento di interpretazione del mondo che si ponga come obiettivo la garanzia e la difesa di pochi princìpi fondanti del vivere collettivo che si richiamano ai soliti concetti di liberta e uguaglianza. Una giustizia che non è uguale per tutti non è giustizia. Una giustizia che non mira in ultima analisi alla libertà degli individui non è giustizia. Ma quando la giustizia osserva questa direzione è qualcosa di essenziale nel gioco democratico. Almeno quanto il Parlamento, almeno quanto la libertà di opinione, almeno quanto l'informazione. E questo è il sessantatreesimo motivo per essere fermamente di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 220Avevamo diciott'anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l'esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale Mentre la polizia difende il potere dai potenziali nemici interni che possono mettere in pericolo il suo mantenimento e il suo perpetuarsi, l'esercito difende il potere dai potenziali nemici esterni, i quali non sono poi nient'altro che poteri alternativi e avversari e possono avere mire di sostituirsi al potere che governa un determinato territorio. Anche in questo caso la chiave determinante è il monopolio della violenza, affidato dallo Stato al proprio esercito. Quando questo monopolio viene meno si configurano le possibilità di una cosiddetta «guerra civile», che altro non è se non uno scontro tra un esercito ufficiale e un esercito non ufficiale, entrambi interni a un territorio nazionale. Ancor più della polizia, l'esercito si richiama a valori - la patria, l'onore, la disciplina, l'obbiedienza - che sono completamente ascrivibili al pensiero nero. In alcuni Paesi, ad esempio nella mia Svizzera, ma anche in Israele, i civili sono impegnati periodicamente a prestare servizio nelle forze armate. È un modo per impedire che l'esercito si allontani dalla società e si configuri come un corpo a se stante e potenzialmente in grado di minacciare la collettività anteponendo i propri obiettivi - o quelli di un centro di potere alternativo - a quelli della difesa dello Stato a cui l'esercito appartiene. I casi in cui questo è accaduto, moltissimi nel corso della storia, hanno dimostrato in modo direi «plastico» il modo in cui l'esercito sia alla fine diretta emanazione del potere. In questi casi un potere alternativo non solo a quello per il quale l'esercito era stato creato, ma anche al suo dovere di fedeltà a quel potere. Sto parlando dei cosiddetti «colpi di Stato», la maggior parte dei quali si sono risolti con una presa di potere dei militari in contrapposizione a presunte debolezze di governi democratici. In alcuni periodi storici anche recenti si è tentato, attraverso il servizio civile, di introdurre elementi di democrazia all'interno delle forze armate inserendo giovani di ogni estrazione sociale e politica proprio perché rappresentativi di tutti i cittadini. Soprattutto durante gli anni Settanta alcuni movimenti studenteschi consideravano possibile, facendo il militare, portare nell'esercito idee libertarie e ideali diversi da quelli dominanti. Il risultato è stato quasi sempre dapprima un'esclusione e un isolamento di questi elementi «ribelli» e infine un progressivo ritorno indietro verso una chiusura delle forze armate alla società civile, per muoversi in direzione di eserciti professionali. Verso i quali si indirizzano, ancor più di quanto avvenga nella polizia, individui - in grande maggioranza maschi - portatori di valori piuttosto lontani da quegli ideali. Il corollario di questo ragionamento mi pare ovvio: l'esercito è quasi completamente sovrapponibile al pensiero nero e tendenzialmente ostile al pensiero rosso. Non so se ciò sia sufficiente per considerare questo il settantasettesimo motivo per essere di sinistra, ma se chi mi legge non ama troppo fucili, stellette e ordini che non si discutono nemmeno quando si viene costretti a uccidere dei propri simili, direi proprio di sì. | << | < | > | >> |Pagina 231Immagina che non esistano nazioni Non è difficile farlo Niente per cui uccidere o morire E nessuna religione Immagina che tutti, Vivano la loro vita in pace. John Lennon, Imagine C'è poco da aggiungere a quanto abbiamo detto nel capitolo precedente. Se non considerare che la pace possa e debba essere un valore indispensabile per ogni collettività libera e democratica almeno quanto la libertà e l'uguaglianza. E forse anche valorizzarla non solo in contrapposizione alla guerra, ma anche come valore opposto semplicemente allo scontro e al conflitto. Il pacifismo, la non violenza, il deporre le armi mettendo in mano al nostro nemico perfino la nostra vita, da Mohandas Karamchand Gandhi in avanti è dimostrato essere la più grande forza rivoluzionaria di sempre, ma soprattutto quella più capace di costruire un «dopo» rispetto al momento del conflitto, nel quale lo sconfitto ha talmente interiorizzato le ragioni dell'altro da non poter considerare rivincite o vendette. Chi vince pacificamente vince davvero e per sempre, chi si arrende alla non violenza ammette le ragioni dell'avversario e quindi si trasforma in compagno di strada. È una concezione completamente appartenente al pensiero rosso e lontana anni luce dal pensiero nero, che anzi la considera assolutamente inaccettabile, ed è quindi l'ottantunesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 245Vi fu sempre nel mondo assai più di quanto gli uomini potessero vedere quando andavano lenti, figuriamoci se lo potranno vedere andando veloci. John Ruskin Uno dei frutti più malati e perversi del dominio del capitalismo e delle rivoluzioni industriali, anche di questa Terza di cui stiamo vivendo l'epoca di massimo splendore e devastazione, è l'emergere di concetti come l'ambizione, la grinta, la capacità di vincere, che sono riassumibili nel più ampio concetto di velocità. Correre più degli altri, superarli, batterli: è diventato questo l'obiettivo delle nostre esistenze. E chi perde non ha solo perso, ma è perduto. Viviamo in una società che non accetta la sconfitta come non concepisce la lentezza. La frase di John Ruskin che ho messo in esergo a questo capitolo è di oltre un secolo fa, e Ruskin, che fu tra i più attenti e raffinati osservatori del mondo, aveva già intuito allora la povertà e la pochezza di questo vagare talmente veloci da trasformarsi in un nulla, in un'assenza di visione, in una inutilità. La lentezza, il silenzio, l'attenzione, la concentrazione, l'umiltà di guardare, la capacità di perdere e di perdersi sono l'opposto di tutto questo. E appartengono tutti al mondo della sconfitta e degli sconfitti, al mondo da cui dobbiamo allontanarci e fuggire. Il pensiero nero, con i suoi richiami alla forza, al dominio, alla vittoria, è quanto mai dentro il pensiero dominante. E non è raro che i suoi maestri considerino i rossi dei perdenti, degli sconfitti, dei deboli. Basterebbe questo per individuare l'ottantottesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 264Come fai a vedere le cose così chiaramente? fu domandato al maestro. E lui rispose: Chiudo gli occhi. Storia zen Ci sono poche cose che il potere teme più della verità. Perché il potere si costruisce e si perpetua sulla paura, sulla divisione, sul sospetto, sull'interiorizzazione di proiezioni individuali e di modelli adatti a diffonderne il consenso, e spesso anche su miti falsi costruiti per dargli fondamenta ideologiche capaci di generare adesione il più possibile dogmatica. Abbiamo citato la Piana dei Merli del nazionalismo serbo. Possiamo ricordare i Protocolli di Sion o il Piano Kalergi, tutte invenzioni che hanno il preciso scopo di dare una patente ai populismi e ai fascismi. E infatti il pensiero nero, almeno nelle sue ali più estreme, non ha alcuna simpatia per la libertà di stampa né per quella di opinione, che con il semplice buon senso e la normale ricerca della verità potrebbero danneggiare facilmente la solidità del loro consenso. Ma la verità è come l'acqua, è quasi impossibile fermarla. E non si nutre solo di evidenze. È fatta anche di pensiero e di riflessione, di analisi e approfondimento. Mi viene sempre in mente un celebre scritto del poeta italiano Pier Paolo Pasolini , che fu tra i più impegnati intellettuali di sempre. Lo pubblicò sul più diffuso quotidiano del suo paese, quasi un anno esatto prima di essere ucciso: «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile». È ovviamente necessario conoscere la storia dell'Italia di quegli anni per capire nei dettagli quello che Pasolini voleva dire, ma il senso, oltre alla bellezza di questa prosa, è molto chiaro: la verità è frutto del pensiero, dell'analisi dei fatti, di una visione che tenga insieme le cose e le confronti senza timori. È un pensiero del tutto rosso, ed è anche il novantasettesimo motivo per essere di sinistra. | << | < | > | >> |Pagina 268Nessuno può essere libero se costretto a essere simile agli altri. Oscar Wilde L'ho messa qui, quasi in fondo, perché è la cosa più importante di tutte. Come l'aria, l'acqua, la terra. Come il respiro e l'amore. Come i figli e come i padri e le madri. E tutto quello che abbiamo, insieme alla nostra vita. Ed è l'anima stessa del pensiero rosso, ciò che gli dà ritmo e colore e direzione di fronte a qualsiasi scelta.
E il novantottesimo motivo, ma tra tutti il
principale, per essere di sinistra.
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