Autore Giovanni Lussu
Titolo Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
Sottotitoloe altre storie di grafica
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2014, Scritture 23 , pag. 208, ill., cop.fle., dim. 15x21x1,5 cm , Isbn 978-88-6222-386-7
LettoreGiorgio Crepe, 2014
Classe grafica , libri , comunicazione , semiotica , scrittura-lettura , design , sensi , arte , scienza












 

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Indice


   01  Augh!                                         9

   02  Altri fiumi, altri laghi, altre campagne     23
       Astolfo sulla luna                           43

   03  Divagazioni                                  47

   04  Un labirinto oulipiano                       87

   05  Intagli e relitti                           101

   06  Frammenti                                   115

   07  Memorie del sottosuolo                      169

   08  Contorni                                    177

   09  Per Adrian Frutiger                         185

       Indice dei nomi                             203
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Pagina 11

La gestione delle rappresentazioni grafiche, l'intero campo che sappiamo non avere cesure definitivamente definibili, dalle notazioni alle raffigurazioni, passando per ognuna delle molteplici varietà, compresa la scrittura, è intrinseca alla specie umana così come essa si è evoluta sino a oggi.

La gestione delle rappresentazioni, per la comunicazione, per l'acquisizione, l'elaborazione e la trasmissione della conoscenza è una modalità essenziale e costitutiva del nostro rapporto con il mondo. I segni che ci sono arrivati dal Paleolitico, per quanto in grande quantità, sono solo quei pochissimi che sono stati in grado di attraversare le decine di migliaia di anni che ci separano dalla loro esecuzione; perché graffiti, incisi, su materiali particolarmente longevi, pietra, osso, corno, oppure perché conservati in luoghi eccezionalmente protetti.

Dalla quantità dei segni che possiamo ancora osservare, è banale ipotizzare che quelli in uso nelle comunità paleolitiche, su legno, corteccia, foglie, pelle, terra, e poi ancora disposizioni di pietre, di legni, di semi, segnali di fumo, e inoltre gesti!, fossero di gran lunga più numerosi.

Come è anche banale ritenere che raffigurazioni così potenti come quelle della Grotta Chauvet, avessero alle proprie spalle intere ere di pratiche grafiche.


*

Roy Harris ha raccontato" un'incantevole esperienza condotta dal grande psicologo sovietico Alexandr Lurija , della quale merita qui di essere ricordata la dirompente conclusione.


Lurija si trovò a riflettere sul fatto che i bambini impiegano in definitiva abbastanza poco tempo per imparare a scrivere, un'attività in realtà molto complessa, maturata attraverso millenni di successive sperimentazioni da parte della nostra specie.

Concepì quindi, nel 1928, un esperimento con bambini di diverse età e diverse provenienze, ma tutti prealfabetizzati, ai quali veniva chiesto di "scrivere" sotto dettatura.

Scoprì in questo modo che il bambino, attraversando autonomamente diversi stadi della propria gestione dell'espressione grafica, arriva in qualche modo preparato al vero e proprio apprendimento scolastico, già pronto a intraprendere questa nuova grande avventura.

Come nel celebre, e per la verità tanto abusato, aforisma di Haeckel , "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi", il bambino in qualche modo ripercorre nella propria storia evolutiva quella dell'intera specie. Scrive infatti Lurija alla fine del suo saggio:

Non è la comprensione che genera l'atto, ma piuttosto è l'atto che dà luogo alla comprensione — l'atto spesso precede la comprensione. Prima di aver capito il senso e il meccanismo dello scrivere il bambino ha già tentato di elaborare metodi primitivi; e questi, per lui, sono la preistoria della sua scrittura. Ma anche questi metodi non vengono sviluppati tutti in una sola volta: passano attraverso un certo numero di prove e invenzioni, una serie di passaggi con i quali sarebbe molto utile che l'educatore si familiarizzasse.


*

Ma nella vita sociale come la conosciamo oggi, queste intrinseche predisposizioni, una volta acquisita a scuola la scrittura alfabetica convenzionale, vengono congelate: l'adulto mediamente alfabetizzato non ha addestrato ulteriormente le sue generali capacità grafiche, né a scopo espressivo o ludico né tantomeno conoscitivo.

Al massimo, nei casi migliori, elabora propri elementari codici personali per prendere appunti.

Tutto il resto finisce oggi per essere demandato a specifici ruoli: l'artista, qualunque cosa egli sia, nelle sue innumerevoli declinazioni, il fotografo, il geometra, il grafico o "designer della comunicazione", e chiunque sia l'autore di cose che si comprano.

Ma questo eccessivo delegare non può che portare a una grave riduzione delle potenzialità individuali, e quindi sociali, e ancora più in generale di universale sviluppo della specie.


*

Per quel che riguarda gli aspetti più strettamente relativi alla scrittura, intesa in senso stretto e in senso ampio, una spiegazione del tutto convincente di questo congelamento sta in quella che Roy Harris ha definito la "tirannia dell'alfabeto" , e che può anche essere denominata "pregiudizio aristotelico" o, proprio nella specifica accezione di Thomas Kuhn , "paradigma aristotelico" o "paradigma alfabetico".

Esso, ridotto all'osso, consiste nel dogma che considera, contro ogni evidenza, la scrittura una semplice rappresentazione del discorso orale.

Così nelle parole di Aristotele: "Le cose che sono nella voce sono certo simboli dei moti che sono nell'anima, e i segni scritti [sono simboli] delle cose che sono nella voce" (De interpretatione, 16a, 3-4).

Questo paradigma persiste quasi incontrastato ormai da più di ventitré secoli; così infatti, in modo sostanzialmente identico, in Ferdinand de Saussure , il cruciale maestro svizzero della linguistica moderna: "Lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni: l'unica ragion d'essere del secondo è la rappresentazione del primo" (Cours de línguistique générale, 1916).


Corollario del dogma sarebbe che quello alfabetico è il sistema più evoluto, imperfettibile e quindi eterno.

È invece evidente che è la formulazione del dogma a essere corollario della presenza del sistema alfabetico: è stata proprio la riduttiva e iper-riduzionistica illusione della corrispondenza biunivoca tra suoni e segni grafici, quale appariva ad Aristotele e come tuttora viene insegnata nella scuola primaria, ad aver portato a esso.


*

Una delle manifestazioni più aberranti del paradigma sta nel diffuso fraintendimento, o peggio, della scrittura cinese; la quale continua, e ai più alti livelli accademici, a essere definita inefficiente e arcaica. I suoi caratteri sarebbero addirittura "scarsamente funzionali e poco adatti a rispondere in modo efficiente alle esigenze del mondo moderno", mentre è facile constatare che con essi i cinesi vincono premi Nobel e vanno nello spazio.

Come nello stesso Saussure, che lo etichetta dimostrando di non conoscerlo, a questi più alti livelli, appena intravisto che lì la corrispondenza di cui sopra non può proprio aver luogo, del sistema cinese non ci si interessa più, e non si cerca neanche di capirne i rudimenti.

Saussure, se invece lo avesse conosciuto, forse non avrebbe neanche potuto sviluppare la nozione per lui fondamentale di fonema: c'è infatti da dubitare che essa possa applicarsi al cinese, e appare invece come introdotta a posteriori, più per dar ragione dell'alfabeto che da un'analisi delle effettive caratteristiche fonologiche del linguaggio.

Un altro bel caso è quello della scrittura maya, esemplificazione perfetta di una frase di Max Planck citata da Thomas Kuhn: "Una nuova verità scientifica non trionfa convincendo i suoi oppositori e facendo loro vedere la luce, ma piuttosto perché i suoi oppositori alla fine muoiono, e cresce una nuova generazione che è abituata ad essa".


*

Jack Goody , nel 1977, è stato uno dei primi a mettere esplicitamente in luce il fatto, che di per sé sembrerebbe quanto mai ovvio, che la scrittura, per il fatto di poter essere disposta bidimensionalmente, e non solo in sequenza lineare, consente una strutturazione della conoscenza che non è praticabile con il solo discorso orale.

Quindi, certo, non solo artificio mnemonico (il frusto e fuorviante "verba volant, scripta manent"), ma la possibilità di sviluppare tabelle, matrici, formule e quindi tutto lo strumentario grafico che ha consentito alla specie umana di arrivare sulla Luna: a forza di chiacchiere, sulla Luna non ci si sarebbe mai arrivati.


Linguaggio verbale e scrittura, nel più ampio senso delle rappresentazioni grafiche, sono di fatto sempre stati inestricabilmente complementari, ciascuno con proprie specificità e propri ruoli (voler mettere cesure tra loro, tra l'altro, significa rimanere a un'arcaica catalogazione dei cinque sensi).

Nell'evoluzione della specie umana, l'evoluzione degli strumenti di rappresentazione ha giocato un ruolo fondamentale: dalle antiche notazioni calendariali dell'epoca paleolitica ai primi sistemi contabili mesopotamici, ai tokens di Denise Schmandt-Besserat, ai gusci di tartaruga cinesi, ai winter counts dei nativi americani; alla simbologia delle decorazioni, delle stilizzazioni, della tessitura; e poi a tutta la storia delle raffigurazioni, delle rappresentazioni dello spazio e del tempo, della simbologia matematica; e infine alla fotografia, al cinema, alla televisione, per arrivare alla "metafora di Palo Alto" dei personal computer, al microscopio a scansioni, al radiotelescopio, alla risonanza magnetica e oltre.

Tutto questo, l'intera storia della conoscenza grafica del proprio ambiente da parte della specie umana e della scoperta dei mezzi per interagire con esso, si è sviluppata nella continua e incessante interrelazione con l'evolversi del linguaggio verbale.


Il paradigma alfabetico, con l'invenzione del mito dell'oralità primaria, ha scavato fratture, baratri, tra espressione grafica e linguaggio verbale.

Ma poi, con il minimizzarne o addirittura ignorarne le irriducibili diversità con il testo orale, il paradigma si è appropriato del testo scritto, isolandone arbitrariamente l'apparente monolinearità e la sequenzialità, e lo ha assunto nel dominio dell'oralità.


Da qui la cristallizzazione delle più ottuse tradizioni accademiche che con superbia dispregiano le figure e temono la loro commistione con il testo scritto, presunta pura espressione del presunto puro pensare. Da qui il disprezzo per le pratiche materiali, la tecnica, la scienza, come nel deleterio idealismo crociano.

Da qui l'altrettanto deleteria contrapposizione tra arte e scienza, e poi ancora tra arte e artigianato; e si potrebbe anche aggiungere l'intero irrazionalismo romantico e poi romanticheggiante.


*

La grafica, comunque e a dispetto del paradigma alfabetico quando esso era presente, si è sempre fatta.

Innumerevoli generazioni di artigiani, intagliatori del legno, della pietra, fonditori di metalli, scribi, tessitori, mercanti, contabili, stampatori, naviganti hanno dato il loro apporto a questa grande storia della conoscenza per mezzo delle sue rappresentazioni.

Ci si può invece irrispettosamente chiedere quale sia stato, o se ci sia stato, il contributo a questa grande storia da parte della grafica del novecento, del cosiddetto design della comunicazione nella moderna accezione dello specialista del dare forma grafica.


*

Proviamo, come nel Somnium di Keplero, dove per vedere la Terra si andava sulla Luna, a prendere un po' le distanze, a trasferire il punto di vista all'esterno.

Già isolare il "dare forma", quale che sia il contenuto, appare una novità alquanto bizzarra: in quella grande storia cui si accennava sopra, i protografici che sviluppavano le rappresentazioni lo facevano ciascuno nel proprio campo, che per solito gli era ben conosciuto.

Questo esclusivo dare forma, questo concentrarsi sul configurare che è distintivo della grafica moderna, può certo apparire un improprio sottoprodotto parassitario della terziarizzazione delle moderne società industriali; ma può anche essere visto come tappa importante, per nuove affascinanti ed entusiasmanti avventure. Può portare nuove visioni, nuove sintesi, nuove sinsemie. Ma ben difficilmente, se poi, per favore!, si finisce con il fare solo copertine, "loghi", packaging, manifesti, pieghevoli e tutta l'interminabile e perlopiù futile serie di applicazioni commerciali "creative", che ormai ciascuno si può divertire a fare da sé.


*

Il metagrafico, il metadesigner della comunicazione, il metaconfiguratore, perché possa intervenire per costruire un futuro augurabilmente migliore, e aprire la strada per le stelle, deve essere provvisto di ben salde conoscenze, in primo luogo storiche e scientifiche.

Non ci si arriva dal versante accademico, dalla presunta scienza della comunicazione.

Ci si arriva solo da una pratica consapevole e generosa, dal più pieno orgoglio artigiano.

Augh!

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Pagina 31

03 Cosa vide Astolfo

Non si può far a meno di immaginare, sulla base di questa predilezione per l' Orlando furioso, così magnificamente argomentata, che in quelle fredde notti di osservazione al telescopio Galilei ripensasse, e più volte, all'ottava (34, 72) nella quale viene descritta la superficie della Luna come si presenta al paladino Astolfo, arrivato lì insieme all'evangelista Giovanni sul carro del profeta Elia, alla ricerca del senno perduto di Orlando:

          Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
          sono lassù, che non son qui tra noi:
          altri piani, altre valli, altre montagne,
          t'han le cittadi, han li castelli suoi,
          con case delle quai mai le più magne
          non vide il paladin prima né poi:
          e vi son ampie e solitarie selve,
          ove le ninfe ognor cacciano belve.

04 Scienza antica

Il carattere radicale del Sidereus nuncius, infatti, sta proprio nella rivelazione delle montagne della Luna, per la prima volta palesate alle umane genti per mezzo di "sensate esperienze", vale a dire acquisite attraverso i sensi.

L'astronomia greca, fatta di congetture concettuali su osservazioni a occhio nudo, aveva più volte avanzato audaci ipotesi sulla natura e sulla conformazione dei corpi celesti.

Basti ricordare la teoria eliocentrica proposta da Aristarco di Samo nel III sec. a.C., e la stupefacente misurazione della circonferenza terrestre compiuta secondo alcuni studiosi da Eratostene di Cirene, pochi anni dopo.

Si sapeva che, a mezzogiorno del solstizio d'estate, a Siene (l'odierna Assuan, che si trova sul Tropico del Cancro), il Sole illuminava il fondo di un pozzo, e cioè era allo zenit, o come si dice, a perpendicolo; nello stesso giorno e alla stessa ora, l'ombra di un obelisco ad Alessandria, circa 800 km più a nord di Siene, mostrava che i raggi del Sole avevano un'inclinazione di poco più di 7°.

Assumendo che i raggi del Sole tra Alessandria e Siene fossero paralleli, cosa sostanzialmente corretta data la distanza del Sole, un semplice calcolo trigonometrico applicato alla lunghezza dell'ombra rispetto all'altezza dell'obelisco consentiva di ricavare, con ottima approssimazione, il raggio della Terra.


Lucrezio, nel grande De rerum natura, condensa attraverso Epicuro l'eredità del razionalismo greco.

Poiché la materia è tanta e lo spazio è disponibile, argomenta Lucrezio in un passo del poema, le cose non possono che svolgersi e moltiplicarsi, e prosegue (II, 1070-76):

          Nunc et seminibus si tanta est copia quantam
          enumerare aetas animantum non queat omnis,
          quis eadem natura manet, quae semina rerum
          conicere in loca quaeque queat simili ratione
          atque huc sunt coniecta,

                [se ci sono quindi così tanti atomi, semina, da non
                poterli contare nell'intera vita di tutti gli esseri
                viventi, che hanno le stesse caratteristiche, e che si
                combinano in modo analogo a come si sono combinati qui],

                              necesse est confiteare
          esse alios aliis terrarum in partibus orbis
          et varia hominum gentis et saecla ferarum

                [è necessario ammettere che in altre parti dell'universo
                vi sono altre Terre, e diverse specie di uomini e di animali].


E riferendosi sia esplicitamente a Lucrezio, che implicitamente alle correnti sotterranee di pensiero eterodosso, alcuni anni prima del Sidereus nuncius lo sventurato Giordano Bruno aveva scritto così nel suo De l'infinito, universo et mondi, pubblicato a Londra nel 1584:

          Cotal spacio, lo diciamo infinito, perché non è raggione,
          convenienza, possibilità, senso o natura che debba finirlo;
          in esso sono infiniti mondi simili a questo.

Ma queste, di Lucrezio come di Bruno, erano pure speculazioni intellettuali, esplorazioni della mente, aneliti alla liberazione della conoscenza, all'emancipazione dalle superstizioni, e certo in nessun modo concrete prefigurazioni di questi infiniti mondi, se non in suggestive fantasie come quelle di Ariosto.

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Pagina 35

05 La lista della spesa

Vediamo qualcosa delle avventure di Galilei e del telescopio.

Cominciamo dalla "lista della spesa" annotata su una lettera speditagli dal veronese Ottavio Brenzoni il 23 novembre del 1609 [pag. a fronte, 1:1]: insieme a pantofole (scarfarotti) e cappello per il figlio Vincenzo, a pettini d'avorio per la compagna Marina Gamba, e a provviste alimentari (lenticchie, ceci, riso, farro, uva passa, zucchero, pepe, chiodi di garofano, cannella, spezie, confetture e arance), figurano, in modo a prima vista piuttosto sconcertante, due palle d'artiglieria, una canna d'organo di stagno, vetri "todeschi" spianati, pezzi di specchio, scodelle di ferro, pece greca e così via.

Si tratta in effetti dell'occorrente per molare lenti, mentre la canna d'organo ne costituisce il supporto e l'involucro esterno.

Dopo essersi minuziosamente documentato nelle botteghe degli occhialai veneziani, Galilei si apprestava, proseguendo nella passione dell'infanzia per la costruzione di congegni e macchinette, ad allestire un telescopio perfezionato, con il quale avrebbe fatto le sue scoperte.


06 L'annunciatore celeste

Il Sidereus nuncius, redatto in latino nella certezza di una larga diffusione europea, proclamerà che

          Pulcherrimum atque visu iucundissimum est [...] lunare corpus
          [...] ex tam propinquo intueri [...]

                [Bellissima cosa e piacevolissima alla vista è contemplare
                il corpo lunare da così vicino]

          ex quo deinde sensata certitudine quispiam intelligat,
          Lunam superficie leni et perpolita nequaquam esse indutam,
          sed aspera et inaequali; ac veluti ipsiumet Telluris facies,
          ingentibus tumoribus, profundis lacunis atque anfractibus
          undiquaque confertam existere

                [dal che quindi si può capire con la certezza dei sensi
                che la Luna non è rivestita da una superficie liscia e levigata,
                ma ruvida e ineguale; e, come la faccia stessa della Terra,
                è ricoperta di grandi prominenze, di profonde cavità
                e di anfratti].

L'opuscolo conteneva cinque incisioni che raffiguravano la superficie della Luna [pagg. 28, 30], lavorate frettolosamente da un anonimo artigiano sulla base degli acquerelli di Galilei [pag. a fronte, 1:1] eseguiti "in presa diretta" a partire dal 30 novembre del 1609.

Queste splendide raffigurazioni, rese possibili dall'antica passione giovanile di Galilei per la pittura, sono dunque inscindibili dalla straordinaria fortuna dell'opera, che in poche settimane raggiungerà tutti i maggiori centri culturali europei, da Napoli a Praga, a Parigi, a Colonia, a Londra; e non solo sono inscindibili, ma ne costituiscono, in quanto rappresentazioni certe di "sensate esperienze", il cuore e l'anima.

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Pagina 55

La forma della storia


Difficile menzionare un testo più imprescindibile e fondamentale ecc.

Si tratta di Cartographies of time: a history of the timeline , di Daniel Rosenberg e Anthony Grafton (Princeton Architectural Press, New York 2010), pubblicato anche in italiano a ben più caro prezzo ( Cartografie del tempo , Einaudi 2012).

È una storia della rappresentazione della "linea del tempo", e quindi una storia della rappresentazione in quanto tale ecc. ecc.


Rosenberg è uno storico della University of Oregon, già curatore nel 2005, insieme all'antropologa Susan Harding , della raccolta Histories of the future (Duke University Press, Durham NC 2005), nella quale in saggi di vari autori si esplorano i modi in cui si modella il nostro senso del futuro ("Sempre più esso è condizionato dalla consapevolezza e dalla nostalgia dei futuri che abbiamo già perduto").

Il libro presentava già una collezione di linee del tempo, a cura dello stesso Rosenberg, e inoltre un testo di Jonathan Lethem su Philip K. Dick (vedi Crazy friend, Minimum fax, Roma 2011).


Di Grafton sono stati pubblicati in italiano Il Signore del tempo, su Girolamo Cardano (Laterza, 2002) e Leon Battista Albertí (Laterza, 2003); inoltre, scritto con Megan Williams, un ottimo studio di storia del libro, Come il cristianesimo ha trasformato il libro (Carocci, 2011), nel quale viene analizzato il passaggio dal volumen, il rotolo, al codex, il libro di pagine come tuttora, più o meno, lo conosciamo noi.

Secondo Williams e Grafton, che riprendono un'asserzione di Erasmo da Rotterdam, furono Origene di Alessandria ed Eusebio di Cesarea , intellettuali cristiani vissuti tra il II e il IV secolo, a introdurre il codex, perché il volumen, vincolato all'andamento sequenziale dall'alto verso il basso, non permetteva di presentare le informazioni su più colonne affiancate.

Origene, nell' Exapla ("sestuplo", in greco) mette a confronto il testo ebraico della Bibbia con la traslitterazione in greco e quattro diverse traduzioni; Eusebio va ancora oltre e nella Cronaca presenta le prime timelines, tabelle sinsemiche che mostrano in corrispondenza temporale le storie di diversi popoli.

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Pagina 117

E Gutenberg?


Nicolas Trigault (1577-1628), nativo di Douai, nei Paesi Bassi meridionali (oggi Francia), missionario gesuita in Cina dal 1610 al 1612 e poi dal 1618 al 1628, pubblicò nel 1615 ad Augusta De christiana expeditione apud Sinas suscepta ab Societate Iesu (Spedizione cristiana presso i cinesi, intrapresa dalla Società di Gesù), che fu a lungo in Europa il testo di riferimento per la conoscenza di quei luoghi lontani.

Si trattava sostanzialmente della relazione del collega Matteo Ricci , maceratese (che in Cina era vissuto dal 1582 al 1610, anno della sua morte), nella quale si dava conto di molteplici aspetti di quella società.

Nelle prime pagine, al capitolo IV, sulle arti meccaniche, si trova questa descrizione della stampa:


Antichità della stampa

L'uso della stampa presso i cinesi è alquanto più antico che presso gli europei, documentato infatti da cinque secoli, come essi sostengono, e non mancano coloro che asseriscono che i cinesi la usassero addirittura prima che Dio immortale avesse abbassato se stesso in questo mondo mortale [prima della nascita di Cristo]. In realtà la stampa, presso di loro, differisce non poco dalla nostra, essendo difficilissima per la moltitudine dei loro caratteri geroglifici. Ma ancora oggi [...] incidono i caratteri su tavolette lisce e senza nodi fatte perlopiù di pero, melo o giuggiolo.

Modo di stampare i libri

Su questa tavoletta incollano delicatamente l'intero foglio scritto, e quindi con grande perizia asportano la carta quando è asciutta, in modo che si vedano soltanto leggere tracce dei caratteri, che poi intagliano con sgorbie di ferro finché non appaiono [in rilievo] soltanto i contorni di caratteri e figure. Quindi con incredibile facilità e rapidità stampano quanti fogli vogliono, e spesso un solo stampatore ne stampa più di mille e cinquecento in un giorno. E sono così veloci nell'intagliare le tavolette che non mi è sembrato che impiegassero per completare una pagina più tempo di quello che impiega un nostro [tipografo] a comporne e correggerne una. Questo modo di incidere è più adatto ai caratteri cinesi, che sono di solito abbastanza grandi, piuttosto che ai nostri; che essendo più delicati non mi pare possano essere convenientemente incisi [allo stesso modo] su tavolette di legno. C'è però in questo metodo una cosa meravigliosamente utile, poiché le tavolette, una volta intagliate, vengono conservate e ogni volta che si vuole si può togliere o aggiungere qualcosa, non soltanto una parola ma anche interi periodi, ripristinando poi [con un intarsio] la tavoletta; e lo stampatore, o l'autore, non è costretto con la prima tiratura a pubblicare insieme e in una sola volta un gran numero di copie, ma ogni volta che vorrà o che sarà necessario ne stamperà più o meno, a piacere. Ci è infatti spesso accaduto di stampare nella nostra missione, con l'aiuto dei nostri domestici, libri della nostra religione o delle scienze europee tradotti in cinese da qualcuno di noi. Questo modo di stampare è così semplice che chi una sola volta ne sia stato testimone potrà subito accingersi a fare la stessa cosa. Ciò rende possibile la produzione di una tale gran quantità di libri cinesi a buon mercato che non è facile da far credere a chi non l'abbia vista.


Questa descrizione, con tutta evidenza, suggerisce che la composizione a caratteri mobili, peraltro ideata secoli prima dai medesimi cinesi, non fosse poi così strettamente indispensabile alla diffusione del libro.

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Pagina 163

Uno strano pensiero si insinuò in lei...


Nel ponderoso (pagg. 624) La mente nuova dell'imperatore. La mente, i computer e le leggi della fisica (Rizzoli, 2000), il matematico e fisico Roger Penrose argomenta l'assai condivisibile tesi che i processi mentali non sono algoritmici, non sono cioè riconducibili a una macchina di Turing; entrano infatti in campo nelle molecole dei tessuti neuronali, secondo Penrose, fenomeni quantistici che non possono essere ridotti a sequenze deterministiche.


L'ancora più ponderoso (pagg. 1.116) La strada che porta alla realtà (Rizzali, 2004), è sorprendentemente un libro divulgativo, nel significato migliore e più arduo del termine: per chi abbia la curiosità e la pazienza necessarie (e le indispensabili basi di conoscenza scientifica), Penrose tratteggia un titanico quadro dell'intero universo, nel quale solo la conoscenza del mondo fisico potrà portare a quella della mente umana.

Nel titolo di questa pagina, le ultime parole del libro ("Then an odd thought overtook her..."), quando Alicia, all'alba, vede il raggio verde.


Ma ciò per cui Penrose si trova qui è la sua abitudine a illustrare egli stesso i propri libri, senza fare uso di programmi informatici, vettoriali o raster che siano, ma tutto a mano, con carta e penna; e inoltre, per la sua propensione a ideare sistemi notazionali per semplificare calcoli fisico-matematici particolarmente complessi.

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Pagina 165

Grafici e romanzieri


William Makepeace Thackeray (1811-63) è stato uno dei più popolari scrittori in lingua inglese della metà dell'ottocento, in Italia meno conosciuto di Charles Dickens , ma certamente più di Anthony Trollope (anche dopo la recente pubblicazione di quest'ultimo da parte di Sellerio).

È l'autore di La fiera della vanità (Vanity fair, 1846-48), Le memorie di Barry Lindon (The memoirs of Barry Lindon, 1844), da cui Stanley Kubrick ha tratto il suo bel film in costume, Pendennis e varie altre opere meno tradotte in italiano.

Thackeray è uno dei rari casi di uno scrittore che illustra la propria opera; certo non era facile confrontarsi con i formidabili illustratori di Dickens, George Cruikshank, John Leech e Hablot Knight Brown (Phiz), ma abbiamo l'impareggiabile opportunità di vedere personaggi e situazioni più o meno come se li era immaginati lui.

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Pagina 167

Non mi pare che Len Deighton in Italia si legga oggi più molto. La serie iniziata nel 1962 con The Ipcress file (La pratica Ipcress) ai suoi tempi ha avuto un certo successo, grazie anche all'omonimo film del 1965 (Ipcress), che ha definitivamente lanciato Michael Caine nella sua lunga carriera cinematografica.

Dal 1949 al 1955 Deighton ha frequentato a Londra prima la Saint Martin's School of Art e poi il Royal College of Art, e ha quindi lavorato per alcuni anni come grafico e illustratore, realizzando ad esempio la copertina per la prima edizione britannica di On the road di Jack Kerouac ; in seguito ha illustrato alcuni dei propri libri di storia militare.


Patrick Tilley, invece, popolare qui da noi non lo è mai stato. Eppure il suo Fade-out del 1975 (Garzanti, 1977) è in assoluto uno dei migliori romanzi sul tema del "primo contatto" con entità aliene: tra le selvagge colline del Montana orientale affiora un'impenetrabile piramide nera, la quale, insieme alle sue colleghe opportunamente distribuite sul nostro pianeta, ridefinirà il magnetismo terrestre. Anche Tilley è stato per anni un grafico; qui sotto tre copertine da una serie realizzata per "The Sunday Times" negli anni sessanta.


Conclusione: la grafica, come peraltro sembrerebbe ovvio, giova alla narrativa (sarà vero anche l'inverso?).

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