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| << | < | > | >> |Indice01 Augh! 9 02 Altri fiumi, altri laghi, altre campagne 23 Astolfo sulla luna 43 03 Divagazioni 47 04 Un labirinto oulipiano 87 05 Intagli e relitti 101 06 Frammenti 115 07 Memorie del sottosuolo 169 08 Contorni 177 09 Per Adrian Frutiger 185 Indice dei nomi 203 _________________________________________________________ |
| << | < | > | >> |Pagina 11La gestione delle rappresentazioni grafiche, l'intero campo che sappiamo non avere cesure definitivamente definibili, dalle notazioni alle raffigurazioni, passando per ognuna delle molteplici varietà, compresa la scrittura, è intrinseca alla specie umana così come essa si è evoluta sino a oggi.La gestione delle rappresentazioni, per la comunicazione, per l'acquisizione, l'elaborazione e la trasmissione della conoscenza è una modalità essenziale e costitutiva del nostro rapporto con il mondo. I segni che ci sono arrivati dal Paleolitico, per quanto in grande quantità, sono solo quei pochissimi che sono stati in grado di attraversare le decine di migliaia di anni che ci separano dalla loro esecuzione; perché graffiti, incisi, su materiali particolarmente longevi, pietra, osso, corno, oppure perché conservati in luoghi eccezionalmente protetti. Dalla quantità dei segni che possiamo ancora osservare, è banale ipotizzare che quelli in uso nelle comunità paleolitiche, su legno, corteccia, foglie, pelle, terra, e poi ancora disposizioni di pietre, di legni, di semi, segnali di fumo, e inoltre gesti!, fossero di gran lunga più numerosi.
Come è anche banale ritenere che raffigurazioni così potenti come
quelle della Grotta Chauvet, avessero alle proprie spalle intere ere
di pratiche grafiche.
*
Roy Harris
Lurija si trovò a riflettere sul fatto che i bambini impiegano in definitiva abbastanza poco tempo per imparare a scrivere, un'attività in realtà molto complessa, maturata attraverso millenni di successive sperimentazioni da parte della nostra specie. Concepì quindi, nel 1928, un esperimento con bambini di diverse età e diverse provenienze, ma tutti prealfabetizzati, ai quali veniva chiesto di "scrivere" sotto dettatura. Scoprì in questo modo che il bambino, attraversando autonomamente diversi stadi della propria gestione dell'espressione grafica, arriva in qualche modo preparato al vero e proprio apprendimento scolastico, già pronto a intraprendere questa nuova grande avventura. Come nel celebre, e per la verità tanto abusato, aforisma di Haeckel , "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi", il bambino in qualche modo ripercorre nella propria storia evolutiva quella dell'intera specie. Scrive infatti Lurija alla fine del suo saggio:
Non è la comprensione che genera l'atto, ma piuttosto è l'atto
che dà luogo alla comprensione — l'atto spesso precede la
comprensione. Prima di aver capito il senso e il meccanismo
dello scrivere il bambino ha già tentato di elaborare metodi
primitivi; e questi, per lui, sono la preistoria della sua
scrittura. Ma anche questi metodi non vengono sviluppati tutti
in una sola volta: passano attraverso un certo numero di prove
e invenzioni, una serie di passaggi con i quali sarebbe molto
utile che l'educatore si familiarizzasse.
* Ma nella vita sociale come la conosciamo oggi, queste intrinseche predisposizioni, una volta acquisita a scuola la scrittura alfabetica convenzionale, vengono congelate: l'adulto mediamente alfabetizzato non ha addestrato ulteriormente le sue generali capacità grafiche, né a scopo espressivo o ludico né tantomeno conoscitivo. Al massimo, nei casi migliori, elabora propri elementari codici personali per prendere appunti. Tutto il resto finisce oggi per essere demandato a specifici ruoli: l'artista, qualunque cosa egli sia, nelle sue innumerevoli declinazioni, il fotografo, il geometra, il grafico o "designer della comunicazione", e chiunque sia l'autore di cose che si comprano.
Ma questo eccessivo delegare non può che portare a una grave
riduzione delle potenzialità individuali, e quindi sociali, e ancora
più in generale di universale sviluppo della specie.
* Per quel che riguarda gli aspetti più strettamente relativi alla scrittura, intesa in senso stretto e in senso ampio, una spiegazione del tutto convincente di questo congelamento sta in quella che Roy Harris ha definito la "tirannia dell'alfabeto" , e che può anche essere denominata "pregiudizio aristotelico" o, proprio nella specifica accezione di Thomas Kuhn , "paradigma aristotelico" o "paradigma alfabetico". Esso, ridotto all'osso, consiste nel dogma che considera, contro ogni evidenza, la scrittura una semplice rappresentazione del discorso orale. Così nelle parole di Aristotele: "Le cose che sono nella voce sono certo simboli dei moti che sono nell'anima, e i segni scritti [sono simboli] delle cose che sono nella voce" (De interpretatione, 16a, 3-4).
Questo paradigma persiste quasi incontrastato ormai da più di
ventitré secoli; così infatti, in modo sostanzialmente identico, in
Ferdinand de Saussure
, il cruciale maestro svizzero della linguistica
moderna: "Lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni: l'unica
ragion d'essere del secondo è la rappresentazione del primo"
(Cours de línguistique générale,
1916).
Corollario del dogma sarebbe che quello alfabetico è il sistema più evoluto, imperfettibile e quindi eterno.
È invece evidente che è la formulazione del dogma a essere corollario
della presenza del sistema alfabetico: è stata proprio la riduttiva e
iper-riduzionistica illusione della corrispondenza biunivoca tra suoni
e segni grafici, quale appariva ad Aristotele e come tuttora viene
insegnata nella scuola primaria, ad aver portato a esso.
* Una delle manifestazioni più aberranti del paradigma sta nel diffuso fraintendimento, o peggio, della scrittura cinese; la quale continua, e ai più alti livelli accademici, a essere definita inefficiente e arcaica. I suoi caratteri sarebbero addirittura "scarsamente funzionali e poco adatti a rispondere in modo efficiente alle esigenze del mondo moderno", mentre è facile constatare che con essi i cinesi vincono premi Nobel e vanno nello spazio. Come nello stesso Saussure, che lo etichetta dimostrando di non conoscerlo, a questi più alti livelli, appena intravisto che lì la corrispondenza di cui sopra non può proprio aver luogo, del sistema cinese non ci si interessa più, e non si cerca neanche di capirne i rudimenti. Saussure, se invece lo avesse conosciuto, forse non avrebbe neanche potuto sviluppare la nozione per lui fondamentale di fonema: c'è infatti da dubitare che essa possa applicarsi al cinese, e appare invece come introdotta a posteriori, più per dar ragione dell'alfabeto che da un'analisi delle effettive caratteristiche fonologiche del linguaggio.
Un altro bel caso è quello della scrittura maya, esemplificazione
perfetta di una frase di
Max Planck
citata da
Thomas Kuhn:
"Una nuova verità scientifica non trionfa convincendo i suoi oppositori e facendo
loro vedere la luce, ma piuttosto perché i suoi oppositori alla fine
muoiono, e cresce una nuova generazione che è abituata ad essa".
*
Jack Goody
Quindi, certo, non solo artificio mnemonico (il frusto e fuorviante
"verba volant, scripta manent"), ma la possibilità di sviluppare
tabelle, matrici, formule e quindi tutto lo strumentario grafico che
ha consentito alla specie umana di arrivare sulla Luna: a forza
di chiacchiere, sulla Luna non ci si sarebbe mai arrivati.
Linguaggio verbale e scrittura, nel più ampio senso delle rappresentazioni grafiche, sono di fatto sempre stati inestricabilmente complementari, ciascuno con proprie specificità e propri ruoli (voler mettere cesure tra loro, tra l'altro, significa rimanere a un'arcaica catalogazione dei cinque sensi). Nell'evoluzione della specie umana, l'evoluzione degli strumenti di rappresentazione ha giocato un ruolo fondamentale: dalle antiche notazioni calendariali dell'epoca paleolitica ai primi sistemi contabili mesopotamici, ai tokens di Denise Schmandt-Besserat, ai gusci di tartaruga cinesi, ai winter counts dei nativi americani; alla simbologia delle decorazioni, delle stilizzazioni, della tessitura; e poi a tutta la storia delle raffigurazioni, delle rappresentazioni dello spazio e del tempo, della simbologia matematica; e infine alla fotografia, al cinema, alla televisione, per arrivare alla "metafora di Palo Alto" dei personal computer, al microscopio a scansioni, al radiotelescopio, alla risonanza magnetica e oltre.
Tutto questo, l'intera storia della conoscenza grafica del proprio
ambiente da parte della specie umana e della scoperta dei mezzi
per interagire con esso, si è sviluppata nella continua e incessante
interrelazione con l'evolversi del linguaggio verbale.
Il paradigma alfabetico, con l'invenzione del mito dell'oralità primaria, ha scavato fratture, baratri, tra espressione grafica e linguaggio verbale.
Ma poi, con il minimizzarne o addirittura ignorarne le irriducibili
diversità con il testo orale, il paradigma si è appropriato del testo
scritto, isolandone arbitrariamente l'apparente monolinearità
e la sequenzialità, e lo ha assunto nel dominio dell'oralità.
Da qui la cristallizzazione delle più ottuse tradizioni accademiche che con superbia dispregiano le figure e temono la loro commistione con il testo scritto, presunta pura espressione del presunto puro pensare. Da qui il disprezzo per le pratiche materiali, la tecnica, la scienza, come nel deleterio idealismo crociano.
Da qui l'altrettanto deleteria contrapposizione tra arte e scienza,
e poi ancora tra arte e artigianato; e si potrebbe anche aggiungere
l'intero irrazionalismo romantico e poi romanticheggiante.
* La grafica, comunque e a dispetto del paradigma alfabetico quando esso era presente, si è sempre fatta. Innumerevoli generazioni di artigiani, intagliatori del legno, della pietra, fonditori di metalli, scribi, tessitori, mercanti, contabili, stampatori, naviganti hanno dato il loro apporto a questa grande storia della conoscenza per mezzo delle sue rappresentazioni.
Ci si può invece irrispettosamente chiedere quale sia stato, o se
ci sia stato, il contributo a questa grande storia da parte della grafica
del novecento, del cosiddetto design della comunicazione nella
moderna accezione dello specialista del dare forma grafica.
* Proviamo, come nel Somnium di Keplero, dove per vedere la Terra si andava sulla Luna, a prendere un po' le distanze, a trasferire il punto di vista all'esterno. Già isolare il "dare forma", quale che sia il contenuto, appare una novità alquanto bizzarra: in quella grande storia cui si accennava sopra, i protografici che sviluppavano le rappresentazioni lo facevano ciascuno nel proprio campo, che per solito gli era ben conosciuto.
Questo esclusivo dare forma, questo concentrarsi sul configurare
che è distintivo della grafica moderna, può certo apparire un
improprio sottoprodotto parassitario della terziarizzazione delle
moderne società industriali; ma può anche essere visto come tappa
importante, per nuove affascinanti ed entusiasmanti avventure.
Può portare nuove visioni, nuove sintesi, nuove sinsemie.
Ma ben difficilmente, se poi, per favore!, si finisce con il fare solo
copertine, "loghi", packaging, manifesti, pieghevoli e tutta
l'interminabile e perlopiù futile serie di applicazioni commerciali
"creative", che ormai ciascuno si può divertire a fare da sé.
* Il metagrafico, il metadesigner della comunicazione, il metaconfiguratore, perché possa intervenire per costruire un futuro augurabilmente migliore, e aprire la strada per le stelle, deve essere provvisto di ben salde conoscenze, in primo luogo storiche e scientifiche. Non ci si arriva dal versante accademico, dalla presunta scienza della comunicazione. Ci si arriva solo da una pratica consapevole e generosa, dal più pieno orgoglio artigiano. Augh! | << | < | > | >> |Pagina 3103 Cosa vide Astolfo
Non si può far a meno di immaginare, sulla base di questa predilezione per l'
Orlando furioso,
così magnificamente argomentata, che in quelle
fredde notti di osservazione al telescopio Galilei ripensasse, e più
volte, all'ottava (34, 72) nella quale viene descritta la superficie della
Luna come si presenta al paladino Astolfo, arrivato lì insieme
all'evangelista Giovanni sul carro del profeta Elia, alla ricerca del
senno perduto di Orlando:
04 Scienza antica Il carattere radicale del Sidereus nuncius, infatti, sta proprio nella rivelazione delle montagne della Luna, per la prima volta palesate alle umane genti per mezzo di "sensate esperienze", vale a dire acquisite attraverso i sensi. L'astronomia greca, fatta di congetture concettuali su osservazioni a occhio nudo, aveva più volte avanzato audaci ipotesi sulla natura e sulla conformazione dei corpi celesti. Basti ricordare la teoria eliocentrica proposta da Aristarco di Samo nel III sec. a.C., e la stupefacente misurazione della circonferenza terrestre compiuta secondo alcuni studiosi da Eratostene di Cirene, pochi anni dopo. Si sapeva che, a mezzogiorno del solstizio d'estate, a Siene (l'odierna Assuan, che si trova sul Tropico del Cancro), il Sole illuminava il fondo di un pozzo, e cioè era allo zenit, o come si dice, a perpendicolo; nello stesso giorno e alla stessa ora, l'ombra di un obelisco ad Alessandria, circa 800 km più a nord di Siene, mostrava che i raggi del Sole avevano un'inclinazione di poco più di 7°.
Assumendo che i raggi del Sole tra Alessandria e Siene fossero
paralleli, cosa sostanzialmente corretta data la distanza del Sole, un
semplice calcolo trigonometrico applicato alla lunghezza dell'ombra
rispetto all'altezza dell'obelisco consentiva di ricavare, con ottima
approssimazione, il raggio della Terra.
Lucrezio, nel grande De rerum natura, condensa attraverso Epicuro l'eredità del razionalismo greco.
Poiché la materia è tanta e lo spazio è disponibile, argomenta Lucrezio
in un passo del poema, le cose non possono che svolgersi e
moltiplicarsi, e prosegue (II, 1070-76):
E riferendosi sia esplicitamente a Lucrezio, che implicitamente alle
correnti sotterranee di pensiero eterodosso, alcuni anni prima del
Sidereus nuncius
lo sventurato
Giordano Bruno
aveva scritto così nel suo
De l'infinito, universo et mondi,
pubblicato a Londra nel 1584:
Ma queste, di Lucrezio come di Bruno, erano pure speculazioni intellettuali, esplorazioni della mente, aneliti alla liberazione della conoscenza, all'emancipazione dalle superstizioni, e certo in nessun modo concrete prefigurazioni di questi infiniti mondi, se non in suggestive fantasie come quelle di Ariosto. | << | < | > | >> |Pagina 3505 La lista della spesaVediamo qualcosa delle avventure di Galilei e del telescopio. Cominciamo dalla "lista della spesa" annotata su una lettera speditagli dal veronese Ottavio Brenzoni il 23 novembre del 1609 [pag. a fronte, 1:1]: insieme a pantofole (scarfarotti) e cappello per il figlio Vincenzo, a pettini d'avorio per la compagna Marina Gamba, e a provviste alimentari (lenticchie, ceci, riso, farro, uva passa, zucchero, pepe, chiodi di garofano, cannella, spezie, confetture e arance), figurano, in modo a prima vista piuttosto sconcertante, due palle d'artiglieria, una canna d'organo di stagno, vetri "todeschi" spianati, pezzi di specchio, scodelle di ferro, pece greca e così via. Si tratta in effetti dell'occorrente per molare lenti, mentre la canna d'organo ne costituisce il supporto e l'involucro esterno.
Dopo essersi minuziosamente documentato nelle botteghe degli
occhialai veneziani, Galilei si apprestava, proseguendo nella passione
dell'infanzia per la costruzione di congegni e macchinette, ad allestire
un telescopio perfezionato, con il quale avrebbe fatto le sue scoperte.
06 L'annunciatore celeste
Il
Sidereus nuncius,
redatto in latino nella certezza di una larga
diffusione europea, proclamerà che
L'opuscolo conteneva cinque incisioni che raffiguravano la superficie della Luna [pagg. 28, 30], lavorate frettolosamente da un anonimo artigiano sulla base degli acquerelli di Galilei [pag. a fronte, 1:1] eseguiti "in presa diretta" a partire dal 30 novembre del 1609. Queste splendide raffigurazioni, rese possibili dall'antica passione giovanile di Galilei per la pittura, sono dunque inscindibili dalla straordinaria fortuna dell'opera, che in poche settimane raggiungerà tutti i maggiori centri culturali europei, da Napoli a Praga, a Parigi, a Colonia, a Londra; e non solo sono inscindibili, ma ne costituiscono, in quanto rappresentazioni certe di "sensate esperienze", il cuore e l'anima. | << | < | > | >> |Pagina 55La forma della storiaDifficile menzionare un testo più imprescindibile e fondamentale ecc. Si tratta di Cartographies of time: a history of the timeline , di Daniel Rosenberg e Anthony Grafton (Princeton Architectural Press, New York 2010), pubblicato anche in italiano a ben più caro prezzo ( Cartografie del tempo , Einaudi 2012).
È una storia della rappresentazione della "linea del tempo", e quindi
una storia della rappresentazione in quanto tale ecc. ecc.
Rosenberg
Il libro presentava già una collezione di linee del tempo, a cura dello
stesso Rosenberg, e inoltre un testo di Jonathan Lethem su
Philip K. Dick
(vedi
Crazy friend,
Minimum fax, Roma 2011).
Di Grafton sono stati pubblicati in italiano Il Signore del tempo, su Girolamo Cardano (Laterza, 2002) e Leon Battista Albertí (Laterza, 2003); inoltre, scritto con Megan Williams, un ottimo studio di storia del libro, Come il cristianesimo ha trasformato il libro (Carocci, 2011), nel quale viene analizzato il passaggio dal volumen, il rotolo, al codex, il libro di pagine come tuttora, più o meno, lo conosciamo noi. Secondo Williams e Grafton, che riprendono un'asserzione di Erasmo da Rotterdam, furono Origene di Alessandria ed Eusebio di Cesarea , intellettuali cristiani vissuti tra il II e il IV secolo, a introdurre il codex, perché il volumen, vincolato all'andamento sequenziale dall'alto verso il basso, non permetteva di presentare le informazioni su più colonne affiancate. Origene, nell' Exapla ("sestuplo", in greco) mette a confronto il testo ebraico della Bibbia con la traslitterazione in greco e quattro diverse traduzioni; Eusebio va ancora oltre e nella Cronaca presenta le prime timelines, tabelle sinsemiche che mostrano in corrispondenza temporale le storie di diversi popoli. | << | < | > | >> |Pagina 117E Gutenberg?Nicolas Trigault (1577-1628), nativo di Douai, nei Paesi Bassi meridionali (oggi Francia), missionario gesuita in Cina dal 1610 al 1612 e poi dal 1618 al 1628, pubblicò nel 1615 ad Augusta De christiana expeditione apud Sinas suscepta ab Societate Iesu (Spedizione cristiana presso i cinesi, intrapresa dalla Società di Gesù), che fu a lungo in Europa il testo di riferimento per la conoscenza di quei luoghi lontani.Si trattava sostanzialmente della relazione del collega Matteo Ricci , maceratese (che in Cina era vissuto dal 1582 al 1610, anno della sua morte), nella quale si dava conto di molteplici aspetti di quella società.
Nelle prime pagine, al capitolo IV, sulle arti meccaniche, si trova
questa descrizione della stampa:
Antichità della stampa L'uso della stampa presso i cinesi è alquanto più antico che presso gli europei, documentato infatti da cinque secoli, come essi sostengono, e non mancano coloro che asseriscono che i cinesi la usassero addirittura prima che Dio immortale avesse abbassato se stesso in questo mondo mortale [prima della nascita di Cristo]. In realtà la stampa, presso di loro, differisce non poco dalla nostra, essendo difficilissima per la moltitudine dei loro caratteri geroglifici. Ma ancora oggi [...] incidono i caratteri su tavolette lisce e senza nodi fatte perlopiù di pero, melo o giuggiolo. Modo di stampare i libri
Su questa tavoletta incollano delicatamente l'intero foglio
scritto, e quindi con grande perizia asportano la carta quando
è asciutta, in modo che si vedano soltanto leggere tracce dei
caratteri, che poi intagliano con sgorbie di ferro finché non
appaiono [in rilievo] soltanto i contorni di caratteri e figure.
Quindi con incredibile facilità e rapidità stampano quanti
fogli vogliono, e spesso un solo stampatore ne stampa più di
mille e cinquecento in un giorno. E sono così veloci
nell'intagliare le tavolette che non mi è sembrato che
impiegassero per completare una pagina più tempo di quello
che impiega un nostro [tipografo] a comporne e correggerne
una. Questo modo di incidere è più adatto ai caratteri cinesi,
che sono di solito abbastanza grandi, piuttosto che ai nostri;
che essendo più delicati non mi pare possano essere
convenientemente incisi [allo stesso modo] su tavolette di
legno. C'è però in questo metodo una cosa meravigliosamente
utile, poiché le tavolette, una volta intagliate, vengono
conservate e ogni volta che si vuole si può togliere o
aggiungere qualcosa, non soltanto una parola ma anche interi
periodi, ripristinando poi [con un intarsio] la tavoletta;
e lo stampatore, o l'autore, non è costretto con la prima
tiratura a pubblicare insieme e in una sola volta un gran
numero di copie, ma ogni volta che vorrà o che sarà necessario
ne stamperà più o meno, a piacere. Ci è infatti spesso accaduto
di stampare nella nostra missione, con l'aiuto dei nostri
domestici, libri della nostra religione o delle scienze europee
tradotti in cinese da qualcuno di noi. Questo modo di stampare
è così semplice che chi una sola volta ne sia stato testimone
potrà subito accingersi a fare la stessa cosa. Ciò rende
possibile la produzione di una tale gran quantità di libri
cinesi a buon mercato che non è facile da far credere
a chi non l'abbia vista.
Questa descrizione, con tutta evidenza, suggerisce che la composizione a caratteri mobili, peraltro ideata secoli prima dai medesimi cinesi, non fosse poi così strettamente indispensabile alla diffusione del libro. | << | < | > | >> |Pagina 163Uno strano pensiero si insinuò in lei...
Nel ponderoso (pagg. 624)
La mente nuova dell'imperatore. La mente, i computer e le leggi della fisica
(Rizzoli, 2000), il matematico e fisico
Roger Penrose argomenta l'assai condivisibile tesi che i processi
mentali non sono algoritmici, non sono cioè riconducibili a una
macchina di Turing; entrano infatti in campo nelle molecole dei tessuti
neuronali, secondo Penrose, fenomeni quantistici che non possono
essere ridotti a sequenze deterministiche.
L'ancora più ponderoso (pagg. 1.116) La strada che porta alla realtà (Rizzali, 2004), è sorprendentemente un libro divulgativo, nel significato migliore e più arduo del termine: per chi abbia la curiosità e la pazienza necessarie (e le indispensabili basi di conoscenza scientifica), Penrose tratteggia un titanico quadro dell'intero universo, nel quale solo la conoscenza del mondo fisico potrà portare a quella della mente umana.
Nel titolo di questa pagina, le ultime parole del libro ("Then an odd
thought overtook her..."), quando Alicia, all'alba, vede il raggio verde.
Ma ciò per cui Penrose si trova qui è la sua abitudine a illustrare egli stesso i propri libri, senza fare uso di programmi informatici, vettoriali o raster che siano, ma tutto a mano, con carta e penna; e inoltre, per la sua propensione a ideare sistemi notazionali per semplificare calcoli fisico-matematici particolarmente complessi. | << | < | > | >> |Pagina 165Grafici e romanzieriWilliam Makepeace Thackeray (1811-63) è stato uno dei più popolari scrittori in lingua inglese della metà dell'ottocento, in Italia meno conosciuto di Charles Dickens , ma certamente più di Anthony Trollope (anche dopo la recente pubblicazione di quest'ultimo da parte di Sellerio).È l'autore di La fiera della vanità (Vanity fair, 1846-48), Le memorie di Barry Lindon (The memoirs of Barry Lindon, 1844), da cui Stanley Kubrick ha tratto il suo bel film in costume, Pendennis e varie altre opere meno tradotte in italiano. Thackeray è uno dei rari casi di uno scrittore che illustra la propria opera; certo non era facile confrontarsi con i formidabili illustratori di Dickens, George Cruikshank, John Leech e Hablot Knight Brown (Phiz), ma abbiamo l'impareggiabile opportunità di vedere personaggi e situazioni più o meno come se li era immaginati lui. | << | < | > | >> |Pagina 167Non mi pare che Len Deighton in Italia si legga oggi più molto. La serie iniziata nel 1962 con The Ipcress file (La pratica Ipcress) ai suoi tempi ha avuto un certo successo, grazie anche all'omonimo film del 1965 (Ipcress), che ha definitivamente lanciato Michael Caine nella sua lunga carriera cinematografica.
Dal 1949 al 1955 Deighton ha frequentato a Londra prima la Saint
Martin's School of Art e poi il Royal College of Art, e ha quindi
lavorato per alcuni anni come grafico e illustratore, realizzando
ad esempio la copertina per la prima edizione britannica di
On the road di
Jack Kerouac
; in seguito ha illustrato alcuni dei propri libri di storia militare.
Patrick Tilley, invece, popolare qui da noi non lo è mai stato.
Eppure il suo
Fade-out
del 1975 (Garzanti, 1977) è in assoluto uno dei
migliori romanzi sul tema del "primo contatto" con entità aliene: tra
le selvagge colline del Montana orientale affiora un'impenetrabile
piramide nera, la quale, insieme alle sue colleghe opportunamente
distribuite sul nostro pianeta, ridefinirà il magnetismo terrestre.
Anche Tilley è stato per anni un grafico; qui sotto tre copertine da una
serie realizzata per "The Sunday Times" negli anni sessanta.
Conclusione: la grafica, come peraltro sembrerebbe ovvio, giova alla narrativa (sarà vero anche l'inverso?). | << | < | |