C'è qualcosa di sbalorditivo nella lettura, in quella sospensione del tempo
e dello spazio in cui viaggiamo in altri tempi e altri spazi. È un modo di
sparire da dove ci troviamo per entrare nella mente dell'autore, ma
rapportandoci con lui, così da far nascere qualcosa tra la nostra mente e la
sua. Traduciamo le sue parole in nostre immagini, volti, luoghi, luci e ombre,
suoni ed emozioni. Nella nostra testa nasce un mondo costruito per volere
dell'autore, e la nostra presenza in quel mondo è assenza
dal nostro. Siamo fantasmi in entrambi, sorta di dei in
un mondo che non è proprio quello descritto dall'autore
ma un ibrido prodotto dalla sua immaginazione e dalla
nostra. Le parole sono istruzioni per l'uso, il libro una
cassetta per gli attrezzi, la sua esistenza qualcosa di immateriale, interiore,
evento più che oggetto, che poi diventa influenza e ricordo.
È il lettore a far vivere il libro.
Rebecca Solnit, "Ricordi della mia inesistenza", Ponte alle Grazie, Milano, 2021
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